Paris, musée de l’Armée, Auguste
Estienne (1794-1865) Giuseppe Garibaldi après le combat de Morazzone le 26 août 1846,(1856)
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Alle varie celebrazioni per
l'Unità d'Italia mancava solo quella di chi l'Unità l'ha in parte fatta: i
francesi. Provvede adesso il Musée de l'Armée, agli Invalides, con la mostra Naissance d'une Nation, ovvero
«Napoleone III e l'Italia». Come dire: il Risorgimento visto dall'altra parte
delle Alpi. Mostra molto ufficiale, con doppio alto patronato (Sarkozy e
Napolitano), non tropo ricca ma per fortuna non sciovinista come si poteva
temere nè celebrativa come si poteva pensare. E incentrata sul personaggio tuttora
più enigmatico di tutto l'Ottocento, quel Napoleone III già sbeffeggiato dagli
storici della Terza Repubblica ma oggi rivalutato. E tuttavia sempre amletico,
ambiguo, contradditorio: uno di quei politici che rimangono invischiati nelle
loro stesse reti.
Così il Risorgimento si può
leggere anche attraverso gli avanti e indietro sull'Italia di Luigi Napoleone
Bonaparte, uscito da una famiglia che, dopo il crac del Primo Impero e
aspettando di rifarsi con il Secondo, si era installata a Roma. Il futuro
Napoleone III debutta come rivoluzionario pro-italiano nel 1831 ma, da «Prince-Président» dell'effimera Seconda
Repubblica, spedisce il maresciallo Oudinot a schiacciare la Repubblica romana
di Mazzini e Garibaldi. Poi diventa Imperatore e torna italofilo: la Crimea e
la guerra del 1859, decisa peraltro dopo che l'italiano Orsini aveva tentato di
ucciderlo e lasciata a metà a Villafranca con grande ira del conte di Cavour
(qui fotografato al Congresso di Parigi più giovane e meno barbuto del solito).
Poi Napoleone III chiude un occhio su Garibaldi a Napoli, poi provoca
indirettamente Aspromonte (bellissima fotografia di Garibaldi che fu ferito a
una gamba appunto lì), poi cede il Veneto all'Italia, poi difende il Papa a
Mentana e poi finalmente viene fatto sloggiare dai prussiani: si capisce che
anche i francesi sono sconcertati dalla sua politica, che era poi la loro.
Ma forse la mostra si può godere
anche solo con gli occhi. E' splendido un ritratto di Estienne di un giovane
Garibaldi con la camicia rossa, lo sguardo fiero e una bandana in testa: l'eroe
byroniano è servito. Invecchiato, andrè a combattere per la Francia tornata
repubblica e invasa dai tedeschi e Victor Hugo dirà all'Assemblée Nationale:
«E' il solo nostro generale che non è stato vinto». E poi la contessa di
Castiglione vestita da Vendetta a un bal masqué, un piccolo Fattori (L'assalto alla Madonna della Scoperta)
che distrugge tutti gli altri quadroni di battaglie, il grande plastico delle
difese di Roma nel '49, Plon-Plon e la Principessa Clotilde in coppia già
chiaramente scoppiata e le uniformi splendide e poco pratiche dell'Armée di
Napoleone III, rutilante ed esotica con i suoi zuavi, turcos, spahis.
Si scopre che circa mille e
cinquecento francesi fecero il Quarantotto in Italia, anche difendendo Roma
contro i loro compatrioti, però non mancano gli «zuavi pontifici», sempre
francesi, impegnati a difendere il traballante potere temporale. La solita
schizofrenia. Nasceva la fotografia e ci sono i primi reportage di guerra,
dall'assedio di Roma alla Crimea. Ma non si poteva scattare nel mezzo
dell'azione, quindi i soggetti sono solo rovine, panorami e cimiteri, mentre i
soldati o sono in posa o sono morti. Notevole la serie sui campi di battaglia
italiani del Primo e del Secondo Impero del principe Roland Bonaparte. Manca,
gravissimo, Maria Sofia di Napoli, pure presente in Proust «bravant la mitraille sur les remparts de
Gaete». E sono pessime le didascalie, o almeno la loro traduzione: i
celebri «cannoni Cavalli» (il grande artigliere Giovanni Cavalli, tenente
generale e senatore del Regno) diventano i «canons Chevaux», ma per carità!
“La Stampa”, 19 ottobre 2011
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