20.11.13

Rukmini Devi che rivoluzionò la danza indiana (Maria Cuffaro)

Il "bhava" della ballerina
La prima notizia che ebbi tramite una lettera di una mia amica indiana: Rukmini Devi è morta. A questa lettera se ne aggiunsero altre, più formali che mi informavano della morte di un illustre personaggio indialo, Rukmini Devi, piangendo la morte della più grande ballerina indiana.
Alcune lettere erano semplicemente riempite da ritagli dei giornali. L'“Indian Express” pubblicava la versione integrale del telegramma di cordoglio del presidente indiano. “The Times of India” pubblica un corto curriculum della sua vita.
Le lettere continuavano ad arrivare. Da Kalakshetra, l'accademia fondata da lei, venivo informata di nuovo della sua morte. Le notizie si protrassero per alcuni mesi. Ero sommersa da lettere che si arrogavano il diritto di annunciare la fine di Rukmini Devi, personaggio politico per alcuni, culturale e sociale per altri. Era una morte annunciata.
Da più di vent'anni la sua arte e il suo personaggio erano diventati istituzione, e come istituzione erano stati archiviati nei libri di storia, formando un capitolo finito.
Ma il suo passato era ancora presente, nell'84 aveva girato con la sua troupe la Repubblica Popolare Cinese, era venuta in Italia, manteneva stretti contatti con gli Stati Uniti. In tutti questi paesi lei si mostrava al presente, non come nostalgia folkloristica, ma immersa nell'attuale e nell'India. Nei moderni teatri del ricco mondo occidentale apparivano le sue ballerine nelle vesti dei mitici personaggi, e il pubblico bianco, ricco e privo d'illusioni applaudiva e si commuoveva di fronte al «verbo sacro» delle tradizioni.
Le stesse scene in India riscuotevano scarso successo, se non fra i vecchi appartenenti del movimento per la liberazione, che avevano lottato per riconquistare le loro tradizioni e la loro terra.
Per i giovani e per tutti coloro nati dopo il 1949 la cultura tradizionale è sinonimo del passato. Il presente è caratterizzato dall'arrendersi al nuovo colonialismo commerciale, creato dall'occidente.
È passato un anno dal mio ultimo incontro con Rukmini Devi a Madras. La ricordo alzarsi dal suo enorme trono di vimini ed indicarmi una sedia, anch'essa di vimini ma infinitamente più piccola. Ricordo i passi silenziosi dei suoi collaboratori, il suo sorriso regale nell'accogliermi, sapendomi straniera per nascita e per cultura. Rukmini Devi era bella, di quella bellezza indiana dove niente si mostra, niente è esplicito. La bellezza è casta e provocatoria, risiede nei capelli, nei gesti, negli sguardi.
Sedeva immobile nel suo enorme sari bianco. Nel suo studio avevano abbassato tutte le persiane e la penombra la rendeva remota nel tempo. Un piccolo spostamento, un gesto della testa e l'ombra creava Rukmini Devi a trent'anni, che con fiera bellezza sfidava la morale comune, definendosi ballerina. Si spostò nuovamente e la vidi vecchia, vedevo il gonfiore delle guance, il pallore del suo viso. Un altro movimento e scomparve il gonfiore e la pesantezza, e fu di nuovo regina.
Prima di iniziare qualsiasi conversazione mi fece portare un caffè da una signora anziana anch'essa vestita di bianco. Rukmini Devi aspettò che finissi il caffè per porgermi un'enorme busta di plastica verde: all'interno c'era un bellissimo sari di cotone intrecciato con dei fili d'oro. «È solamente di cotone», quasi si scusò e poi sorrise. Mi sentii uno sconosciuto ricevuto dalla regina.
Per raccontare la sua storia, il suo personaggio e il suo impegno artistico si deve ricreare lo scenario di cui lei faceva parte, l'India all'inizio del secolo, l'India che iniziava a svegliarsi dopo 200 anni di rassegnazione.
1904 Madras.
Il sud di un paese dove il sud era estremità, limite, bellezza, disperazione. Allora l'India era un ricordo: esistevano gli inglesi, esisteva la ribellione e la rassegnazione. Resistevano le tradizioni che condensavano il ricordo dell'India: un'immagine cristallizzata nei riti.
In questi anni Annie Besant, inglese, suffragetta pensò di riportare l'India all'India tramite la Società Teosofica.
Propagandava l'universalità dello spirito, l'amalgamarsi di tutte le religioni del misticismo indiano, scandito dal razionalismo inglese e dal tormento russo. La fondatrice storica della Società Teosofica, Helen Blavatzky era infatti russa. Lo scopo della Società venne riassunto da lei in tre comandamenti: formare nuclei di fratellanza universale, senza distinzione di razza, di fede, di colore, casta o sesso. Incoraggiare lo studio comparato delle religioni, della filosofia e della scienza. Investigare sulle leggi inspiegabili della natura e sui poteri latenti nell'uomo. (Questi «poteri latenti dell'uomo» negli anni '30 furono esplicitamente definiti «occultismo».)
All'inizio degli anni '20 Annie Besant collabora con il movimento per la liberazione dell'India, pur non accettando mai il concetto di disobbedienza civile di Gandhi. La Società Teosofica diventò punto di riferimento per molti intellettuali indiani ed europei. Il misticismo finì col colorarsi di socialismo.
Rukmini Devi crebbe in questo duplice clima di misticismo e di rivolta. A 16 anni sposò George Arundale, teosofo inglese molto più anziano di lei. Il matrimonio fece scandalo non tanto per la differenza d'età quanto per la differenza di razza. Si rifugiarono allora in Australia. Lì Rukmini Devi incontrò Anna Pavlova, la più famosa ballerina russa. Da lei apprese i segreti della danza classica occidentale. Era forse la prima volta che una donna indiana usava il proprio corpo come strumento d'arte e lo mostrava senza vergogna, e senza volgarità.
La danza in India, pur avendo origini antichissime non veniva allora considerata arte: era un espressione di devozione verso gli dei. Ma, pur avendo questo carattere religioso, era una devozione dei sensi: era la carne che si offriva. Una espressione impura. Le Devadasi (ballerine dei tempio) erano prostitute divine, nulla più.
Rukmini Devi invece imparò a ballare alla maniera occidentale, incurante del giudizio dell'India. Tornata in India continuò a studiare danza e presto volle ballare la sua danza, quella del suo paese. Il Bharatanatyam (Bharata: figura leggendaria che stabilì i codici della danza ricevendoli da Shiva. Natyam, danza). Riscoprì le fonti scolpite sui tempi, copiò i costumi dalle antiche sculture, riscrisse le saghe dei mitici eroi che il ballo aveva il compito di far rivivere.
1935. Rukmini Devi tenne la prima rappresentazione pubblica di Bharatanatyam. Superando il momento puramente devozionale e sensuale per arrivare ad un'arte intesa come creazione individuale. Per la prima volta una donna indiana aveva preteso dal pubblico indiano di accettare la danza come arte ed espressione. Rukmini Devi incontrò gli ostacoli del perbenismo e della pubblica morale. Continuò a lottare, per e con la sua arte sino ad ottenere di rappresentare liberamente al pubblico i suoi balletti. Nel 1936 fondò Kalakshetra, un'accademia dove si insegna il Bharatanatyam e la musica carnatica (musica tradizionale dell'India meridionale).
L’accademia è costruita sulla riva dell'oceano. Ogni aula è formata da una capanna di bambù e ricoperta da foglie di palma, che oltre a mantenere fresco l'ambiente, rispecchiano il rifiuto di Rukmini Devi a piegarsi ad un consumismo di tipo occidentale. Allievi ed insegnanti iniziano la giornata alle 8.30 con preghiere tratte da tutte le religioni, le lezioni continuano fino alle 12.00, ora del pranzo. Alle 13.30 riprendono le lezioni per altre tre ore.
Durante il Festival vengono rappresentati interi poemi come la Ramayana (storia di Rama), Mahabharata (storie dei Pandavas) e la Buddhavatara (storia di Buddha). Il Bharatanatyam, la. rappresentazione di questi miti sacri attraverso la danza che si compone da diversi movimenti prestabiliti chiamati mudras. Ogni mudra esprime una parola o un concetto; si riesce così ad ottenere una «trascrizione» letterale del testo. Le ballerine usano le mani, le dita e le braccia per raccontare il volo di un uccello, la forza di un re, la bellezza di un guerriero; ad ogni parola corrisponde un gesto. La ballerina potrà solamente soddisfare appieno il pubblico se oltre a scrivere la storia riesce a trasportare gli spettatori con lei nel racconto. Per ottenere tale risultato deve aggiungere ai mudras il bhava, l'espressione del viso, la mimica del sentimento. Tramite il bhava deve rendere la paura, l'amore, la saggezza, in modo che lo spettatore rida, pianga e sospiri con ogni suo movimento. Nel Bharatanatyam non esiste distinzione fra ballo, musica e teatro, tutti i mezzi espressivi vengono impiegati pur di vivere e di esprimere il sacro.
Durante il mio ultimo incontro con Rukmmi Devi le avevo chiesto di parlarmi del Bharatanatyam. Rimase un attimo in silenzio e quindi scandì: «La verità è la bellezza, e la bellezza è verità». Così iniziò il suo pensiero, senza nesso apparente alla mia domanda, ma forse non voleva rispondere. «Io aspiro», continuò «all'universalità dello spirito, dell'arte. Voglio che la mia danza sia comprensibile a tutti!» Cosa vuol dire ballare il Bharatanatyam?, continuai a chiederle. «Se una ballerina deve impersonare Radha, l'amata di Krishna, e non crede a Radha e a Krishna, non potrà mai mostrare il loro tormento; il tormento amoroso di  Radha non avrà risposta tra gli spettatori. Lei dovrà essere Radha in ogni attimo, per poterla rappresentare e per farla amare».
Era di grande vigore spirituale. Le chiesi cosa pensasse del balletto moderno occidentale, cose come il repertorio di Linsday Kemp o del Wuppertaler-Theater, quella danza che si è staccata dalle tradizioni classiche per una ricerca di nuovi metodi espressivi. Ma lei, una donna che aveva dato la vita per un'arte spirituale rimase impassibile: «La danza moderna mostra dei corpi brutti, delle situazioni brutte. Potranno anche essere reali, ma l'arte ha il compito di trascendere: tutto deve tendere al bello, alla spiritualità, all'estetica. La coreografia moderna crea solamente delle forme geometriche a cui si adeguano i corpi». Lei esprimeva la pienezza spirituale e il rigore morale che formano le innumerevoli sfumature del tessuto culturale e spirituale indiano.
Rukmini Devi pretendeva dalle sue ballerine che fossero effettivamente Radha, pretendeva una estrema coerenza con i testi classici. Ma era stata proprio lei ad infrangere la tradizione e a riportare la danza al suo paese, rivoluzionandone i canoni.
Lei non volle più parlare di Bharatanatyam, quasi a non voler infrangere qualcosa di sacro. Raccontò invece a lungo del suo primo viaggio in Italia, e del suo primo impatto con il cristianesimo a Ravenna, guardando i mosaici bizantini: «Mi spaventai, tanta crudeltà, dappertutto uomini; impauriti che scappavano dalle fauci di mostri orribili e la figura del Cristo che alto si ergeva a giudice imponente e minaccioso».
Come poteva lei accettare l'orrore, anche se religioso provenendo da dove la bellezza e l'armonia coincidevano con la verità? La verità di Rukmini Devi stava nella fede assoluta nella spiritualità universale. Il Bharatanatyam rispecchia questa sua spiritualità nella danza. Negli ultimi anni voleva vivere questo assoluto spirituale sempre e comunque, nel cibo vegetariano, nel vestire solo tessuti naturali, nel pensare solamente in maniera «retta». Tutto doveva tendere verso la purezza estrema. «Si deve entrare attivamente nel mondo dei miti, si deve vivere e pensare come essi, essendo la verità riposta in loro”.

"il manifesto", 4 agosto 1986

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