Il battesimo delle bambole a Barile |
«Li vestiti ci tucchéme,
e cumpari ci facémo», «i vestiti ci tocchiamo e compari ci
facciamo» recitano, secondo una formula stereotipa, i ragazzi e le
ragazze della Ciociaria, quando intendono stringere una parentela
«scherzo», tuttavia ricca di conseguenze umane. Si toccano per tre
volte gli indumenti e si segnano: la nuova solidarietà è conclusa
in un ritualità ingenua. A Barile, uno dei paesi albanesi della
Lucania, dove ancora è viva la memoria della trasmigrazione, a San
Giovanni, il 24 giugno, si celebra un comparatico straordinario, che
vedremo, lo spero, sulla nostra terza rete nella intelligente
ricostruzione del regista Sandro Lai: è il comparatico delle
bambole, nel corso del quale fanciulline tenui e indifese fanno da
mamma e altre da madrina. Accompagnano, queste protagoniste della
etichetta contadina, allo spiazzo della stazione ferroviaria le loro
fantastiche bambole, pupe montate con sapienza di nonne e di madri
intorno al mestolo e avvolte in fasce, come è del Cristo bambino
nell’iconografia rinascimentale. La bambola viene deposta ai piedi
di alcuni scalini, e la madrina, la «cummare», salta, con la sua
agilità fanciullesca, gli scalini e la bambola, recitando la
formula: «Pupe de Sante Giuvanne, battizimi sti panne, sti panne so
battizzate, tutti cummari simi chiamate» (il singolare suono
intermedio della a, che diventa ae, potete verificarlo nella fonetica
ordinaria di De Mita).
La stessa notte magica e
stregonica di San Giovanni, lungo il fiume Liri, incontrate coppie di
ragazzi che, scesi nelle acque spesso diacce, immergono le destre
annodate, mignolo stretto a mignolo, e si fanno compari. E pure ho
visto, in Abruzzo, un’altra cerimonia di comparatico: i ragazzi a
coppie si strappano un ciuffo di capelli, lo legano l’un l’altro
e lo lanciano al vento o anche pongono qualche capello su un sasso,
sputandovi sopra e lanciandolo in un corso d’acqua, quasi a
significare che il comparatico così realizzato potrà essere sciolto
soltanto se si riesce ritrovare i capelli lanciati al vento. Ma
singolare fra tutti è quel «comparatico» della spina o dell’arco,
che una volta diffuso dalla Svezia al Portogallo, è presente in gran
parte del Meridione in occasione di festività varie. Due uomini (in
Spagna un uomo e una donna che assumono i nomi evangelici di Juan e
Maria) reggono, l’uno di fronte all’altro, un ramo spaccato di
querciolo o di altro albero, e un infante, spesso di pochi mesi,
viene «passato» attraverso la spaccatura perché sia preservato
dall’ernia scrotale, in effetti perché gli sia garantita nelle
società contadine la capacità generativa per il futuro. I due
uomini che praticano il passaggio del bambino nudo per tre volte e in
posizione di parto, con la testa in avanti, divengono i suoi «compari
della spina», con riferimento, per quanto riguarda la «spina» al
rovo che spesso sostituisce il querciolo.
Ora nelle varie feste che
andiamo seguendo lungo l’estate «nascosta» della storia
subalterna, questi comparatici «scherzosi» sono frequenti e
ricorrono, naturalmente, nelle festività invernali e primaverili. Il
loro significato è di ben difficile individuazione. Appartengono
certamente a quell’istituto del padrinato che ha trovato, qualche
anno fa, la sua rigorosa analisi in un bel libro di Italo Signorini
(Padrini e compari, 1981), e tuttavia esulano dalle forme
classiche secondo le quali da noi e nei paesi dell'America Latina si
stringa il vincolo della cosiddetta parentela spirituale. Il compare
di battesimo, di cresima, talvolta di matrimonio, originariamente
testimoni dell’iniziazione cristiana del figlioccio o della
figlioccia, istituisce un vincolo fortemente sacralizzato nelle
tradizioni rurali e pastorali. Indipendentemente dalla regole di
diritto canonico che vietano il matrimonio fra padrino e figlioccio
di battesimo e lo considerano incesto, le culture inseriscono nel
vincolo una serie di obblighi, fra i quali principale, secondo
Signorini, è quello del «rispetto». In Macedonia, si dice «quando
il kum, il compare, entra nella tua casa, anche la paglia si alza»,
e in Lucania «bisogna baciare la porta su cui la comare ha posato la
mano». In Abruzzo e nelle Marche, il compare resta una sorta di
presenza vigilante e continua, protettiva garante: il bracciante che
va alla fatica nelle prime ore del mattino deposita un sassolino sul
davanzale del suo figlioccio, per rappresentargli miticamente la sua
presenza, e proprio al compare spetta di portare alla casa del
figlioccio gli annunzi buoni e cattivi, i segni della gioia e della
morte. Ho avuto occasione di conoscere contadini che hanno
procrastinato il matrimonio dei figli in attesa che il compare,
emigrato in Venezuela, avesse la possibilità economica di procurarsi
un biglietto di aereo per essere presente alla cerimonia.
Accanto al sistema
liturgico di padrinato, la rete della solidarietà si apre verso
impensate occasioni festive per confermare nuovi rapporti al di fuori
della liturgia ufficiale. In Messico l’erezione di una croce
funeraria, la benedizione di ornamenti della chiesa o quella
dell’immagine di un santo, l’accompagnamento di una puerpera alla
messa di purificazione dopo il quarantesimo giorno del parto, la
donazione del primo paio di orecchini a una ragazza sono esempi, fra
molti altri, di compadrinaggio non sacramentale. Da noi il
pellegrinaggio festivo, soprattutto a piedi, è un tempo alto, carico
di energie numinose, nel quale si dischiude il nascosto bisogno di
amicizie e parentele. E forse uno dei meccanismi sociali sottostanti
a queste cerimonie appartiene all’intima struttura dei gruppi
rurali-pastorali: sono comunità, che, all’osservazione di chi
veramente le conosce, appaiono attraversate da forti conflittualità
e tensioni. Le parentele di sangue e di affinità sono spesso aree di
odi, di gelosie, di allarmi: i parenti di sangue e gli affini sono
coloro che appaiono pronti a sottrarti, nelle lunghe controversie
ereditarie, la «roba», i pochi metri di campo, la casa. Di qui
l’uso presente in molte parti del sud di esorcizzare con il sale
gettato a terra il passaggio di un parente. L’invenzione dei
padrinaggi, dei comparatici, delle parentele spirituali e fittizie
realizza il reinserimento di una società estremamente esposta e
insicura in una sicurezza di relazioni più efficaci di quelle
parentali. E queste intricate realtà della nostra storia culturale
hanno, al di là della funzione di garanzia un forte valore
iniziatico: ogni comparatico stretto nelle vie polverose dei
pellegrinaggi o presso le fonti o nelle chiese, commemora e ripete il
distante esempio modulare di Gesù che, immerso nelle acque del
Giordano, si fa battezzare dal selvatico Giovanni, il signore delle
desolazioni del deserto, mangiatore di cavallette e vestito di pelli
animali.
“il manifesto”,
ritaglio senza data, probabilmente 1981
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