“Il
manifesto” pubblicò nel 2006 come anticipazione l'introduzione di
Mario Tronti al volume L'archivio di Pietro Ingrao. Nel
testo Tronti parla poco dell'archivio in questione e si produce al
contrario su una breve riflessione filosofico-politica sulla
necessità e sulla funzione della memoria, una memoria, quella del
patrimonio di lotte e di organizzazione del movimento operaio,
non solo da conservare, ma da riorganizzare dopo la sconfitta del
Novecento. (S.L.L.)
Non
dimenticare viene prima del ricordare. È una mossa intellettuale,
che solo in apparenza ha un segno negativo. In realtà impone, in via
preliminare, un atteggiamento che porta a costruire poi il ricordo.
Viviamo in un'età della smemoratezza. Siccome ciò che è stato non
doveva essere, allora va cancellato dalla memoria. Noi siamo
portatori di un'altra idea, opposta. Ciò che è stato doveva essere
altrimenti. Dunque conoscerlo significa non ripeterlo. Quello della
memoria è oggi un campo di battaglia.
Più che sui
contenuti del passato, la disputa è su come dobbiamo atteggiarci di
fronte ad esso. L'età della tecnica è l'età del dominio della
tecnica. La rapida obsolescenza del prodotto è essenziale per la
efficiente produzione del profitto. La parola magica è: innovazione.
Chi non innova, muore. Chi non dice di voler innovare, non ha ragioni
per esistere. Il «nuovo inizio» è la narrazione ideologica
post-novecentesca. Una truffa. Come azzerare il contachilometri prima
di vendere un'automobile usata. La storia diventa un ferrovecchio. E
questo mondo di plastica non sopporta la ruggine del tempo. Il grande
concetto di eredità storica scompare dall'orizzonte. E si capisce
perché. Il patrimonio di lotte e di organizzazione del movimento
operaio fa più paura di tutti i nuovi partiti che si possono
inventare. Ma l'accumulo di esperienze è indispensabile per
ricomporre un «che fare». Riappropriarsene diventa un compito
culturale e una necessità politica. Sapere ciò che siamo stati fa
capire molto su ciò che siamo oggi e che cosa possiamo diventare.
Verrebbe da dire: la memoria prima di tutto. Prima dei programma e
del progetto. Cioè, prima della tattica e della strategia. Non è
una legge generale. E' una decisione imposta dalla contingenza.
Purtroppo, sul qui e ora pesa molto oggi ciò che era, pesa poco ciò
che sarà.
Sapere ciò che siamo stati fa capire molto su ciò che siamo oggi e che cosa possiamo diventare. Verrebbe da dire: la memoria prima di tutto. Prima dei programma e del progetto. Cioè, prima della tattica e della strategia. Non è una legge generale. E' una decisione imposta dalla contingenza. Purtroppo, sul qui e ora pesa molto oggi ciò che era, pesa poco ciò che sarà.. Tesi XII: «Il soggetto della conoscenza
storica è la classe oppressa che combatte. In Marx essa appare come
l'ultima classe schiava, come la classe vendicatrice, che porta a
termine l'opera di liberazione in nome di generazioni di vinti».
Questa coscienza è sempre stata ostica alla socialdemocrazia. «Essa
si compiaceva di assegnare alla classe operaia la parte di redentrice
delle generazioni future. E così le spezzava il nerbo migliore della
sua forza. La classe disapprese a questa scuola sia l'odio che la
volontà di sacrificio. Poiché entrambi si alimentano all'immagine
degli avi asserviti, e non all'ideale dei liberi nipoti».
Quando
diciamo Archivio Ingrao, non riusciamo che a metterlo a questa
altezza. O così, o non ne varrebbe la pena. È la personalità
stessa di Pietro Ingrao a spingerci a pensare le sue «Carte» come
il deposito di un'esperienza politica carica di storia. E che questa
storia tenga insieme il passato della classe e la gestione della
democrazia, fa di queste «Carte» un unicum nel panorama dei fondi
archivistici, perché si tratta di un patrimonio di parte che
appartiene a tutto il Paese. Il direttore dell'Unità sta insieme al
Presidente della Camera dei deputati, il membro della segreteria del
partito insieme al presidente del Centro per la riforma dello Stato.
«Masse e potere» non vuol dire semplicemente cittadini e governo
ma, più in grande, popolo e Stato. È in questo senso che pensiamo
l'Archivio Ingrao come il nucleo fondante di una Fondazione di studi,
che del Crs raccolga la tradizione di ricerche e iniziative, per
aggiornarla e svilupparla ai compiti di pensiero e di azione che
l'età presente ci impone.
Questo
progetto che punta a riaprire una stagione di analisi e di
riflessione, capace di riprendere il passo di una battaglia delle
idee, ha come condizione indispensabile un ritorno della memoria. Le
forme di lotta e le esperienze di organizzazione del movimento
operaio, che hanno attraversato il Novecento, meritano di
sopravvivere oltre se stesse, come figure soggettive che hanno
segnato la storia di un'epoca. Perdere questa parte di sé sarebbe
una perdita per l'umanità tutta.
Sappiamo chi
ha interesse a dimenticare: sono quelli che vogliono seppellire ogni
istanza di un possibile futuro riscatto di chi sta in basso nella
società, con sopra di sé privilegi e poteri, ricchezze e culture.
Salvare il passato del movimento operaio: ecco un lavoro
intellettuale che vale la pena oggi di affrontare. Un'archeologia
industriale dovrebbe ormai riguardare non solo gli spazi della
produzione di capitale, ma anche i tempi dei soggetti produttori.
Ora, se sono in molti a fare storia dell'impresa, ben pochi sono
quelli che fanno storia del lavoro, che è poi storia dei lavoratori.
Tra questi pochi sarebbe intanto importante stabilire un
collegamento, per dividersi i compiti e mirare a un unico scopo. Il
sogno è quello di una Mnemosyne alternativa, più che un Archivio,
un Atlante della memoria operaia. Aby Warburg apriva, con
queste parole, l'Introduzione al suo Atlante: «Introdurre
consapevolmente una distanza tra l'io e il mondo esterno è ciò che
possiamo senza dubbio designare come l'atto fondatore della
civilizzazione umana». L'«uso mnemico del patrimonio ereditario
inalienabile» è l'atto civilizzatore che bisogna riproporre ora da
quest'altra parte. L'Archivio Ingrao parte, senza modestia, avendo in
mente questo quasi impossibile obiettivo.
“il
manifesto”, 30 marzo 2006
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