Ora che sono in vacanza,
lasciateli (anche) giocare. Scorrazzare in un parco, popolare un
mondo incantato di maghe e di mostri, e anche restarsene un po' a
ciondolare nei propri pensieri. E i vostri figli non solo si
divertiranno e si riposeranno, ma coltiveranno facoltà non meno
importanti di quelle che apprendono in un corso d'inglese o di nuoto.
Di cui si gioveranno anche a scuola.
Lo ribadisce uno studio
sulla rivista Frontiers in Psychology guidato da Jane Barker,
psicologa all'Università del Colorado a Boulder, il cui messaggio è
chiaro: le attività libere, in cui i bambini scelgono da soli cosa
fare, sono essenziali per imparare a porsi in autonomia degli scopi e
a organizzarsi per perseguirli, quella che gli psicologi chiamano
funzione esecutiva autodiretta. «La funzione esecutiva è un insieme
di abilità di pianificazione, organizzazione, memoria, iniziativa,
scelta di passare da un'attività a un'altra in risposta alle
circostanze, che mettiamo in atto per perseguire un dato scopo»
spiega.
Le attività strutturate,
condotte sotto la guida degli adulti, sviluppano nei piccoli queste
abilità in risposta alle istruzioni ricevute, quando viene detto
loro cosa fare e quando. Ma altrettanto importante è che sappiano
farlo da soli, prefiggendosi di propria iniziativa i loro scopi e
attivandosi per raggiungerli. Questa competenza è importante fin
dall'età dell'asilo, e si è dimostrata fra le doti più utili nel
decidere il futuro successo scolastico e accademico, al pari o più
del quoziente d'intelligenza o delle abilità matematiche.
«Abbiamo ipotizzato che
le attività poco strutturate, in cui i piccoli hanno più margini di
autonomia, siano preziose per sviluppare questa capacità» osserva
Barker. Per verificarlo, ha chiesto ai genitori di una settantina di
bambini di 6-7 anni di descrivere le tipiche attività dei figli
nell'arco della giornata e nel corso dell'anno, e ha misurato con
semplici test la funzione esecutiva autodiretta dei piccoli. Ha così
constatato che i bambini più dediti ad attività spontanee, come
giocare liberamente o leggere libri e fumetti a propria scelta, erano
più bravi ad autodeterminarsi e organizzarsi. Le attività guidate
come lezioni, corsi pomeridiani e sport organizzati, non
sostituiscono quelle spontanee, anzi: chi vi dedicava più tempo
aveva meno capacità di perseguire un compito in autonomia. Le due
facoltà non sono quindi intercambiabili ma complementari e vanno
coltivate entrambe.
Lo studio va a ingrossare
un filone di ricerche che ci sta mostrando quanto siano importanti
per la maturazione dei bambini attività che gli adulti ritengono
spesso ozi da scoraggiare se non pericoli da evitare.
Giocare in libertà,
anche correndo qualche rischio, è ormai riconosciuto essenziale per
lo sviluppo del bambino, una palestra in cui impara a porsi delle
mete, superare gli ostacoli, stabilire regole e interagire con i suoi
pari. Ne sa qualcosa la scuola elementare Swanson di Auckland, in
Nuova Zelanda, dove per una ricerca di due università locali i
bambini hanno goduto di un'inconsueta libertà di giocare come
volevano nel tempo libero, ruzzolandosi per terra, inseguendosi e
arrampicandosi sugli alberi. Risultato: meno vandalismo e bullismo,
più concentrazione in classe e migliori risultati. Al punto che,
concluso l'esperimento, la scuola ha scelto di continuare con il
nuovo regime. «Imporre troppi limiti al gioco per paura che i bimbi
si facciano male è controproducente, perché la scoperta
indipendente è un elemento decisivo nella crescita, e solo correndo
qualche rischio si impara come affrontarli» ha dichiarato un
artefice dello studio, Grant Schofield, della Auckland University of
Technology.
Altrettanto poco
apprezzato, ma altrettanto a torto, è il cosiddetto sognare a occhi
aperti, restare immersi nei propri pensieri sconnessi dalla realtà
circostante. Chi lo fa è spesso richiamato a
occupazioni «più
produttive». In realtà anche questo stato della mente è importante
per coltivare consapevolezza e creatività, memoria, riflessioni
intime e simulazioni di situazioni future. E giusto quindi lasciare
che bimbi e adolescenti vi indulgano, lasciandoli in pace quando li
vediamo farlo, o incoraggiandoli a fare ogni tanto una passeggiata da
soli senza cellulare e videogiochi.
L'ideale, in definitiva,
è cercare il giusto equilibro fra le varie attività. Cosa non
sempre facile. «Vediamo due tipi di famiglie. A quella che stressa
il figlio con centomila attività va senz'altro consigliato di
lasciarlo un po' più a se stesso, a giocare e a sognare ad occhi
aperti» spiega Pietro Lucisano. professore di pedagogia sperimentale
alla Sapienza-Università di Roma.
«Poi c'è quella che lo
lascia tutto il giorno a casa, magari perché i genitori lavorano
tutta l'estate, e servizi pubblici come i centri estivi, che un tempo
facevano da valvola di sfogo, sono diventati costosi. In questi casi
semplici spazi di gioco possono davvero fare la differenza: il prato
sotto casa è una grande scuola. Ma ce ne sono sempre meno. Allora
c'è chi dice di farli studiare anche d'estate, ma io sono contrario
e il nuovo studio lo conferma: l'apprendimento passa anche per le
mani e per i piedi, a volte più che per le orecchie».
Quel che si vede è
spesso un gap sociale. «Abbiamo verificato che i ragazzi che
dispongono di mezzi e fanno vacanze ricche di esperienze ne traggono
vantaggi anche intellettivi, quelli che non si muovono dal loro
quartiere no. Per ovviare bisognerebbe almeno stimolarli, facendo con
loro attività varie: non necessariamente culturali, anche esperienze
all'aria aperta che stimolino abilità manuali, osservazione, gioco.
Ma invece vediamo che nelle situazioni culturalmente svantaggiate i
ragazzi rischiano di passare l'estate davanti a tv e videogiochi. Il
consiglio allora è di coinvolgerli, farli giocare a piccoli
esperimenti scientifici, o costruire semplici giochi, o anche
partecipare alla cucina: far diventare le attività quotidiane uno
stimolo all'intelligenza».
Pag.99, 12 luglio 2014
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