L’ultimo Diario d’autore de “Le reti di Dedalus”, rivista on line del Sindacato Nazionale Scrittori, è affidato alla penna (o al pc) di Marco Palladini, come sempre attento alle culture di massa, alle loro potenzialità e contraddizioni (http://www.retididedalus.it/sommario%20sito.htm ). Riprendo un paio di riflessioni che già Palladini aveva messo insieme, quasi ad illuminarsi reciprocamente. (S.L.L.)
A proposito di contemporaneità e immaginario comune, due eventi ‘sociali’ delle recenti cronache italiote mi hanno dato da riflettere. In primis, le 25mila persone che hanno mandato in tilt il traffico a Roma, per essersi accampate fin dal giorno prima davanti a un nuovo megastore Trony a Ponte Milvio, che si inaugurava offrendo maxi-sconti su tutta la merce. Profluvio di commenti mediatici negativi e moralismi a tonnellate sulla ‘plebe bue’ che si accapiglia e si picchia per conquistarsi iPhone, iPad, tv al plasma, notebook, forni a microonde, lavatrici, lavapiatti e quant’altro. Qualcuno ha ironizzato: come diceva l’appena compianto Steve Jobs “siate folli e affamati”? Ecco la massa folle e affamata di consumismo elettronico che esplode in un giorno di quotidiana pazzia metropolitana, spendendo due milioni e mezzo di euro, ossia una media di circa 270 euro a persona, cifra che in tempi di crisi economica grave, non è per nulla irrilevante. Tutto vero, ma insieme non mi convince affatto questo tono ‘etico-elitistico’. Non sarà che la massa ‘folle e affamata’ e composta per circa la metà da giovani immigrati, ha ben capito che oggi le merci elettroniche non sono beni superflui, bensì beni primari da conquistare? Che ha inteso che il diritto di cittadinanza oggi non si completa, se non diventa anche diritto di cittadinanza elettronica? Che gli strumenti della rete e del social networking sono oggi fondamentali se si vuole abitare non il futuro, ma ‘questo’ spaziotempo presente?
L’altro evento è stata la morte in pista di Marco Simoncelli. E il cordoglio anzi, di più, la vasta, oceanica onda emotiva e commotiva che ha coinvolto e travolto non soltanto i suoi familiari e compaesani, i suoi colleghi centauri di MotoGP, ma tantissime altre persone in Italia e all’estero. Perché un simile tsunami di partecipazione nella psiche collettiva? Per l’essere il Sic un ragazzo di soli 24 anni che se ne va? Per la ‘banalità del male’ costituita dal tragico e fatale incidente sul circuito di Sepang? Per il mito della velocità incarnato da chi cavalca moto che corrono ad oltre 300 km orari? Per la sua figura ricciocapelluta di ragazzo sempre sorridente e spensierato? Ecco, qui, forse ci avviciniamo. Credo che il forte senso di perdita e di lutto che tutti abbiamo sentito, è perché Marco aveva in sé quella brightness, quella lucentezza e leggerezza, quella lucida scioltezza che è propria di un momento topico della giovinezza. È una sorta di ‘stato di grazia’ che non dura molto e non è di tutti. È un breve, fatato momento che tocca a chi è ‘baciato in sorte dagli dèi’. Simoncelli era nel punto in cui concentrava tutta la potenza e la bellezza e l’incoscienza e la meravigliosa arroganza (e stronzaggine) della gioventù che è, lo sappiamo, un’età transeunte, vola via presto. Il volo interrotto del Sic lo ha fissato in un’immagine gloriosamente indelebile. Contempliamo il suo poster come una versicolore, sgargiante farfalla infilzata con uno spillo nella cassetta di un entomologo. Il suo essere sovranamente ‘easy’, un easy rider che scivola brillante e veloce nella vita, nelle corse, dentro la morte, lo ha cristallizzato nella sua aura migliore che neppure un Valentino Rossi infinitamente ‘più campione’ di Simoncelli (ma già fuoriclasse logorato e invecchiato) potrà mai più eguagliare.
Nessun commento:
Posta un commento