Nel 2007 il Gruppo Universitario “Intrecci”, dalla Rete dei Precari dell’Università di Siena e il Centro Studi Franco Fortini organizzarono un ciclo di seminari sul tema Rileggere Marx. L’incontro del 23 marzo 2007 aveva come titolo Per una nuova analisi di classe: il significato dell’inchiesta. vi intervenne, tra gli altri, Edoarda Masi. Quello che segue è la sbobinatura del suo intervento pubblicata nel sito del Centro Fortini “L’ospite ingrato”, un esempio di rigore storico e analitico. Vale anche a ricordare una figura straordinaria di intellettuale politico, Edoarda Masi appunto, il cui rigore, la cui durezza, la cui passione inesauribile ci mancano. (S.L.L.)
Edoarda Masi |
L’inchiesta di cui qui intendiamo parlare non è la pratica di routine per i sociologi, anche se di quella pratica può utilizzare ove occorra alcune tecniche. Si tratta di uno fra i metodi con i quali un determinato soggetto prende contatto diretto con la realtà conducendo una ricerca sulle condizioni oggettive e soggettive di individui e gruppi sociali – dove tutti, indagatore e indagati, siano a un tempo soggetto e oggetto della ricerca.
Si può condurre questo tipo di inchiesta principalmente per verificare delle ipotesi; oppure principalmente per iniziare la conoscenza di una realtà ignota o poco chiara; in ogni caso, per iniziare con i soggetti indagati un rapporto di reciproca pedagogia.
Mi limiterò qui a portare due esempi: l’inchiesta concepita da Marx nello schema di questionario per la «Revue socialiste» di Benoît Malon, 20 aprile 1880; l’inchiesta concepita e praticata da Mao Zedong sui contadini nella provincia del Hunan nel febbraio 1927.
L’uso che il gruppo dei «Quaderni rossi» fece della prima esplicitamente, e implicitamente della seconda, ci conduce più vicino ai problemi del presente. Deve esser chiaro però che anche nel caso in cui con l’inchiesta si intenda iniziare la conoscenza di una realtà non pregiudizialmente definita non si parte da zero. È inevitabile un insieme di presupposti iniziali, diciamo di postulati – relativi quanto meno al metodo. Quanto più i postulati saranno espliciti, tanto più il percorso sarà chiaro e non viziato da falsa coscienza. Il postulato molto generale da cui partiamo in questo nostro discorso è il fine politico-sociale della trasformazione dello “stato di cose presente” (a monte del quale stanno i giudizi, non necessariamente “oggettivi” – secondo i cultori della scientificità neutra e non di parte – su tale “stato di cose”).
L’inchiesta di Marx ha per oggetto gli operai nella fabbrica. Infatti nell’elaborazione teorica di Marx la classe operaia è, del capitale, la componente produttrice fondamentale e la fondamentale contraddizione antagonistica. “Nessun governo, sia esso monarchico o repubblicano borghese, ha osato mai intraprendere una inchiesta seria sulla situazione della classe operaia francese”, scrive nell’introduzione (“francese”, perché scriveva su una rivista francese).
Lo schema si divide in quattro capitoli. Nel primo, le domande vertono sul tipo di impresa, numero, età e sesso dei lavoratori, condizioni ambientali, misure di sicurezza, eventuale lavoro a domicilio. Nel secondo capitolo, ci si occupa della giornata lavorativa (orario di lavoro, impiego di donne e fanciulli). Il terzo capitolo riguarda i contratti di lavoro e le paghe, anche in rapporto con le spese necessarie del lavoratore (incluse le tasse). Seguono domande sui salari in generale, sugli effetti dell’introduzione di nuova tecnologia sull’occupazione e sui salari, sulle pensioni. Il quarto capitolo è dedicato alla resistenza e alle organizzazioni degli operai, alle reazioni padronali conseguenti, alle mutue, alla eventuale compartecipazione dei lavoratori ai profitti.
Questo breve riassunto non vale a dare l’idea di quel che sia realmente il questionario. Le domande si susseguono numerose e precise, si concatenano in una logica implacabile, sottintendono un’analisi in profondità fatta in precedenza. A verifica è posta una teoria già ampiamente costruita, anche nei dettagli. Ma sul fine stesso della verifica sembra prevalere quello pedagogico. Il susseguirsi di domande sembra voler indurre l’operaio a una riflessione e a una presa di coscienza critica su fatti ai quali probabilmente non ha dato peso, che gli sono stati presentati come naturali e ora potrebbero apparirgli sotto altra luce. Insomma, è palese il proposito primario di indurre l’intervistato a pensare e giudicare. Il fine pedagogico discende dall’assunto di Marx che la liberazione dei lavoratori può avvenire solo ad opera di loro stessi. Nello stesso tempo, egli parte dalla convinzione di possedere, quale intervistatore, conoscenze teoriche che l’intervistato non possiede e che gli vanno trasmesse, sia pure in forma dialogica. La verifica di quelle conoscenze teoriche, pur presente, è relativamente secondaria.
Se pensiamo ai fiumi d’inchiostro versati per discutere sull’origine della coscienza di classe, alimentata dall’interno o indotta dal di fuori, la lettura di questo schema d’inchiesta appare come l’uovo di Colombo. L’intervistatore (attivista colto) parte chiaramente da sue ben maturate convinzioni; ha certo l’arma del questionario nelle mani, a condizionare in parte l’intervistato; ma questi è sollecitato a riflettere in termini tali, da poter smentire gli stessi pre-giudizi dell’intervistatore: insomma, il quadro è quello di una libertà reciproca, illuministicamente intesa. Non esiste in nessun caso una garanzia contro le trappole ideologiche dell’illuminismo e la formazione di falsa coscienza; ma un metodo simile a questo è comunque assai più rispettoso della personalità degli individui di quanto non lo siano i culti populistici delle cosiddette “soggettività” in auge nei nostri anni settanta, che hanno finito per creare, da un lato, la mitologia della classe operaia e per condurre, dall’altro, al culto della asocialità solipsistica così funzionale agli interessi del nemico di classe.
Il Rapporto d’inchiesta sul movimento contadino nel Hunan è il testo più famoso di Mao Zedong, e uno dei capolavori della saggistica politica del Novecento.
Della prima parte, La rivoluzione nelle campagne, vi leggo il capitolo iniziale, Importanza della questione contadina:
“Durante la mia recente inchiesta sul campo nei cinque distretti di Xiangtan, Xiangxiang, Hengshan, Liling e Changsha, nei trentadue giorni dal 4 gennaio al 5 febbraio ho convocato nei villaggi e nelle città di distretto contadini ricchi di esperienza e compagni del movimento contadino in riunioni d’indagine sui fatti; ho ascoltato con attenzione quanto riferivano e ho raccolto non poco materiale. Molti argomenti del movimento contadino erano esattamente l’opposto di quelli della classe terriera a Hankou e Changsha. Ho visto e udito molte cose straordinarie, che fino allora non avevo visto né udito: cose che credo siano le stesse in ogni provincia cinese. Perciò gli argomenti di ogni sorta contro il movimento contadino devono essere immediatamente corretti, tutte le misure errate prese dalle autorità rivoluzionarie contro il movimento contadino devono essere immediatamente cambiate. Solo così il futuro della rivoluzione ne trarrà beneficio. Perché l’insorgere oggi del movimento contadino è un evento grandioso. In brevissimo tempo centinaia di milioni di contadini si leveranno in tutte le province della Cina centrale, del sud e del nord come un vento impetuoso e una tempesta, rapida e violenta, che nessun potere, per quanto grande, riuscirà a domare. Essi faranno a pezzi tutte le pastoie che li legano, per precipitarsi sulla via della liberazione. E infine da loro tutti gli imperialisti, signori della guerra, burocrati corrotti, prepotenti locali, proprietari terrieri verranno sepolti nella tomba. Tutti i partiti rivoluzionari e i compagni rivoluzionari dovranno comparire davanti a loro per essere esaminati e giudicati. Mettersi alla loro testa e guidarli? O star loro dietro gesticolando e criticando? O mettersi di fronte a loro per opporsi? Ogni cinese è libero di scegliere fra le tre, però siete destinati a scegliere alla svelta.
Seguono la mia inchiesta e le mie opinioni, scritte in diversi capitoli, per essere esaminate dai compagni rivoluzionari.”
Le tre parti del testo – La rivoluzione nelle campagne, L’avanguardia rivoluzionaria, Contadini e associazioni contadine – si suddividono in brevi capitoli, dove una descrizione a volte minuziosa degli eventi si accompagna ai commenti e ai giudizi politici dell’autore, come traspare già dai titoletti: Si organizzano; Davvero terribile e davvero eccellente; La questione di “andare troppo oltre”; Il movimento della canaglia; Avanguardia della rivoluzione o fondamento della rivoluzione; e così via. Non mancano rilevazioni propriamente sociologiche, c’è anche una tabella comparativa distretto per distretto, dove fra i membri delle associazioni contadine è indicato il numero di braccianti, contadini affittuari, semi-proprietari, proprietari; artigiani, maestri di scuola, piccoli commercianti, donne, altri. Nella terza parte sono esaminate le diverse iniziative di governo delle associazioni contadine, dopo che hanno preso il potere nei villaggi.
Per comprendere il significato e le intenzioni di questo rapporto è indispensabile un brevissimo accenno al contesto in cui si svolge. Nei primi anni venti, su direttiva della III Internazionale, il partito comunista cinese costituisce un blocco col partito nazionalista – Guomindang (viene detto “blocco interno”, perché i membri del partito comunista diventano membri anche del Guomindang, che rappresenta gli interessi della cosiddetta “borghesia nazionale” – tuttavia fortemente legata alle vecchie classi possidenti agrarie, che in teoria dovrebbe combattere). Il fine comune è la liberazione della Cina dai signori della guerra che si sono impadroniti delle diverse province e del governo centrale a Pechino, e la fondazione di uno stato indipendente. Questa alleanza, fallimentare, si concluderà proprio nell’aprile 1927 col voltafaccia di Jiang Jieshi e il massacro di migliaia di operai, sindacalisti e comunisti a Shanghai – episodio che, insieme con la tragedia della Comune di Guangzhou alla fine di dicembre, distruggerà l’ipotesi di una rivoluzione operaia in Cina.
I comunisti come Mao Zedong, e il suo maestro Li Dazhao, contro le rigidità di un pensiero che, nato in Europa per interpretare la società europea, diventava in Cina vuoto dogma se applicato alla lettera, si erano resi conto che nell’era della colonizzazione mondiale i soggetti principali della lotta contro il capitale in Cina, coloro che costituivano la massa più numerosa e possente di lavoratori e ad un tempo i più sfruttati, coloro che “non avevano da perdere che le loro catene”, erano i contadini. Questa convinzione, basata sull’evidenza dei fatti, non era però stata elaborata in una teoria organizzata, non solo per la complessità della questione ma anche perché il partito comunista cinese era subalterno alla III Internazionale, anche sul piano della teoria. Durante la “spedizione al nord” contro i signori della guerra da parte delle “forze rivoluzionarie”, cioè esercito del Guomindang più Partito Comunista Cinese, esplose la rivolta dei contadini, che trovarono in quella spedizione un’occasione per liberarsi dalla soggezione ai proprietari. Ma la cosa non fu bene accetta dalle “forze rivoluzionarie”, cioè dal Guomindang, che rappresentava classi proprietarie, sia pure con pretese politiche di modernizzazione. I dirigenti comunisti erano legati mani e piedi al Guomindang, almeno ufficialmente. In questo contesto si svolge l’inchiesta di Mao, che rivela nel modo più chiaro la reale lotta di classe: e anche come nei giudizi opposti sul comportamento dei contadini in rivolta siano evidenti le posizioni delle classi in conflitto. Il valore dell’inchiesta sta nel fatto che questa verità scaturisce dai fatti, non da una dottrina prefabbricata né da qualsiasi preconcetto.
I comunisti come Mao Zedong, e il suo maestro Li Dazhao, contro le rigidità di un pensiero che, nato in Europa per interpretare la società europea, diventava in Cina vuoto dogma se applicato alla lettera, si erano resi conto che nell’era della colonizzazione mondiale i soggetti principali della lotta contro il capitale in Cina, coloro che costituivano la massa più numerosa e possente di lavoratori e ad un tempo i più sfruttati, coloro che “non avevano da perdere che le loro catene”, erano i contadini. Questa convinzione, basata sull’evidenza dei fatti, non era però stata elaborata in una teoria organizzata, non solo per la complessità della questione ma anche perché il partito comunista cinese era subalterno alla III Internazionale, anche sul piano della teoria. Durante la “spedizione al nord” contro i signori della guerra da parte delle “forze rivoluzionarie”, cioè esercito del Guomindang più Partito Comunista Cinese, esplose la rivolta dei contadini, che trovarono in quella spedizione un’occasione per liberarsi dalla soggezione ai proprietari. Ma la cosa non fu bene accetta dalle “forze rivoluzionarie”, cioè dal Guomindang, che rappresentava classi proprietarie, sia pure con pretese politiche di modernizzazione. I dirigenti comunisti erano legati mani e piedi al Guomindang, almeno ufficialmente. In questo contesto si svolge l’inchiesta di Mao, che rivela nel modo più chiaro la reale lotta di classe: e anche come nei giudizi opposti sul comportamento dei contadini in rivolta siano evidenti le posizioni delle classi in conflitto. Il valore dell’inchiesta sta nel fatto che questa verità scaturisce dai fatti, non da una dottrina prefabbricata né da qualsiasi preconcetto.
Nei primi anni sessanta, quando Raniero Panzieri riunì a Torino il gruppo di giovani dei «Quaderni rossi», mentre il boom economico cambiava in gran parte la faccia della società italiana, nei partiti dei lavoratori, socialisti e comunisti, e se pure in misura minore nei sindacati, si rilevava un distacco crescente fra la base da un lato, e le dirigenze e gli apparati dall’altro. La crisi aveva origine non solo nei fenomeni di burocratizzazione e del poco ascolto dato alle voci dei lavoratori ma anche nelle scelte di compromesso con gli esponenti politici ed economici dell’avversario di classe fatte a partire dal dopoguerra dai partiti della sinistra. Era anche collegata al lungo percorso involutivo dell’Unione Sovietica, segnalato ormai da decenni dai marxisti critici (fino allora minoranza intellettuale) e negli anni seguiti alla morte di Stalin divenuto di pubblico dominio (in seguito al XX congresso, ai fatti di Ungheria e di Polonia, e anche per la critica condotta dai comunisti cinesi); ma, da noi, senza chiarezza né chiarificazioni. La gestione autoritaria da parte dei dirigenti dei partiti dei lavoratori si accompagnava sempre più alla svendita dei contenuti socialisti nella loro politica (revisionista, come dicevano alcuni). Nei primi anni sessanta era grave, ma latente, quell’insofferenza di larghe sfere giovanili, studentesche e operaie, che si coagulò poi nella rivolta del ’68 e dei primi anni settanta.
Il programma di Raniero Panzieri, dirigente socialista di orientamento comunista, a quel tempo emarginato dalla direzione del suo partito sempre più orientato al compromesso politico col centro, e intorno a lui del gruppo dei «Quaderni rossi», partiva da una fedeltà alla elaborazione di Marx e da una presa d’atto che la politica dei partiti della sinistra italiana non corrispondeva né a quella elaborazione, né alla realtà della coscienza dei lavoratori e della lotta di classe nel presente. Di qui, l’organizzazione di una ripresa dello studio diretto dei testi marxiani, onde liberarsi da quanto più o meno arbitrariamente vi era stato costruito sopra, deformando la teoria in dottrina e dogma – specie ad opera del cosiddetto “marxismo sovietico”; e il metodo dell’inchiesta sulle reali condizioni – oggettive e soggettive – della classe operaia, quale premessa indispensabile per l’elaborazione di una nuova strategia politica orientata dal pensiero di Marx. Si tenga conto del luogo privilegiato in cui operavano i «Quaderni rossi»: la città di Torino, dominata dalla presenza della maggiore fabbrica italiana; i cui lavoratori fin dal dopoguerra avevano manifestato un forte spirito propriamente “di classe”, e di indipendenza dagli indirizzi del movimento operaio ufficiale1. Il lavoro dei «Quaderni rossi» anticipò e indirizzò gli aspetti più sani e creativi nei movimenti di massa che ebbero poi inizio nel ’68-’69, là dove si indirizzarono a uscire dai ceppi della politica ufficiale sclerotizzata di una sinistra che con i suoi giochi di potere imponeva un ulteriore fardello sulle spalle dei lavoratori, dei giovani, delle donne.
Dell’inchiesta si tratta nel numero 5 della rivista «Quaderni rossi», preparato in parte mentre Panzieri era ancora in vita e pubblicato dopo la sua morte. La parte centrale del fascicolo riferisce di un seminario tenutosi a Torino nel settembre 1964 sull’“Uso socialista dell’inchiesta operaia”. Precedono tre articoli sulla stessa tematica, di Dario Lanzardo (“Intervento socialista nella lotta operaia: l’inchiesta operaia di Marx”, con in appendice il testo del questionario marxiano), di Pino Ferraris (“Giornali politici nelle fabbriche del Biellese”), di Giovanni Mottura (“Note per un lavoro politico socialista”). Segue una documentazione-discussione su indagini recenti sulla classe operaia, e su inchieste fatte alla FIAT e all’Olivetti nel 1961. Il titolo riassume chiaramente l’intento della pubblicazione: “Intervento socialista nella lotta operaia”. Lotta operaia: protagonismo degli operai autori della propria liberazione, così come era inteso da Marx. Intervento socialista: posizione non neutra né neutrale di chi conduce l’inchiesta, ed è orientato secondo una ipotesi teorico-politica. I due aspetti vanno coniugati. Si comprende quindi perché, nel preparare l’inchiesta, sia stata studiato anche lo schema proposto da Marx nel 1880.
Nella trattazione dei primi tentativi di inchiesta sono rilevanti e le discussioni sul metodo: se adottare o meno i criteri sociologici correnti. Credo che la lettura di questo numero di rivista possa essere utile a chi intendesse accingersi a un’impresa analoga nelle condizioni di oggi. Non per riprodurre o comunque imitare i metodi di allora, ma per essere richiamati sull’importanza delle questioni di metodo, di come si debba costruire un sistema organico di ricerca anche tecnicamente valido, evitare domande casuali o errate; e avere sempre ben presente il fine: l’acquisizione di una coscienza comune a intervistatori e intervistati quale vero cammino verso la conoscenza.
L’inchiesta dei «Quaderni rossi», che parte dall’inchiesta di Marx, per alcuni aspetti si avvicina a quella di Mao Zedong. Nel caso di Mao, per interpretare la realtà viene assunta una teoria che per qualche motivo non pare sufficiente o adeguata a interpretarla: si tratta di verificare se e come i contadini possano essere la classe antagonista fondamentale del capitale, nelle condizioni cinesi. Nel caso dei «Quaderni rossi», l’inchiesta dovrebbe chiarire se e come nell’Italia negli anni sessanta gli operai possiedano i caratteri di classe antagonista disegnati da Marx, quando l’evoluzione delle organizzazioni che dovrebbero rappresentarli e le teorie sociologiche correnti tenderebbero ad escluderlo; e in ogni caso, a esplorare che cosa siano divenuti gli operai. Insomma, si tratta di esplorare una realtà che si presenta in qualche modo nuova e di metterla a confronto con una teoria di cui misurare la validità.
Nella quarantina d’anni trascorsi da allora, i cambiamenti nella società sembrano enormi; d’altro lato, i caratteri strutturali profondi del sistema del capitale non solo non paiono mutati, ma si sono esplicitati e rivelati con estrema chiarezza. Al potere del capitale nella sua forma più astratta (finanziaria) estesa sull’intero pianeta corrisponde un processo di colonizzazione e di generale espropriazione, non solo di beni materiali ma anche degli elementari diritti civili e umani; oltre alla distruzione in corso della possibilità stessa della vita sulla terra. L’espropriazione non avviene più (quanto meno, non solo) dentro la fabbrica. Soggetti direttamente al dominio e allo sfruttamento propriamente capitalistico sono gli abitanti delle zone rurali – la maggioranza della popolazione mondiale; ma anche, tanto nei paesi cosiddetti sviluppati o occidentali quanto in quelli detti sottosviluppati o del Sud, l’insieme di individui privi di capitale e in possesso unicamente della propria forza-lavoro: non necessariamente operai, non necessariamente lavoratori dipendenti.
Sergio Bologna anni fa fece uno studio sui lavoratori dei trasporti: spesso sono dei padroncini, nelle statistiche compaiono come piccoli imprenditori ma in realtà hanno tutti i caratteri dei lavoratori salariati salvo il salario.
Sergio Bologna anni fa fece uno studio sui lavoratori dei trasporti: spesso sono dei padroncini, nelle statistiche compaiono come piccoli imprenditori ma in realtà hanno tutti i caratteri dei lavoratori salariati salvo il salario.
Gli abitanti delle zone rurali sono soggetti attraverso il sistema dell’agribusiness e del sistema dei brevetti, che utilizzando poi le tecniche della biotecnologia fanno della penetrazione delle grandi multinazionali nella sfera agricola un intervento diretto e non più indiretto come accadeva in precedenza tanto nei paesi cosiddetti sviluppati o occidentali quanto in quelli detti sottosviluppati o del sud.
Alla condizione universale di spossessati corrisponde la frammentazione che impedisce di riconoscersi e la costruzione di gerarchie di ogni tipo che impedisce di unirsi. Mentre è facile, insomma, relativamente, individuare l’azione del capitale, e molte validissime ricerche e studi ci aiutano, gli antagonisti sembrano in quanto tali divenuti invisibili. Cioè sono un concetto astratto. Credo che un lavoro di inchiesta oggi sia estremamente necessario per ricercare, al di là di ogni apparenza e di ogni mistificazione e falsa coscienza, dove siano gli spossessati e gli oppressi, non solo fra i più miserabili, perché proprio oggi è in grande voga a causa del pensiero unico di rivolgersi sempre ai più disgraziati, rientrando però in un concetto che non ha più niente a che vedere con lo sfruttamento o con il concetto dello sviluppo del capitale. È un concetto perenne: “i poveri” (come se esistessero i poveri, così come se fosse una fatto di natura) e quindi bisogna essere “umani” verso di loro. E anche il concetto di solidarietà, che un tempo era il concetto di solidarietà tra i lavoratori che vuol dire mettersi insieme perché si hanno interessi comuni, viene deformato in un senso che vuol dire pietà, compassione, elemosina. Ma tutto questo non fa che portare acqua agli interessi del potere. Non si tratta quindi di beneficiare i poveri, di fare del volontariato, di creare ong. Credo che si tratti di un lavoro estremamente complesso, di verifica delle condizioni reali in tutte le zone della società, analizzando ogni particolare con metodo analitico, ma per ristabilire i collegamenti, rivelare le analogie, riconoscere le identità e portare a unire quanto è stato diviso. Perché questo concetto che oggi soltanto alcuni di noi vedono in forma astratta, perché lo vediamo solo come forma antagonista del capitale, deve ritornare ad essere, attraverso un’opera che può partire dall’inchiesta, una vera e propria ricostruzione di coscienza comune, deve ricostituire i rapporti fra i lavoratori. Insomma la famosa frase “lavoratori di tutto il mondo unitevi!” è la sola che può funzionare perché si possa costituire una forma di opposizione valida alla forma che si chiama neoliberista che poi è l’ultima forma in cui si organizza il capitale mondiale. Quindi l’inchiesta deve andare oltre voi stessi, così come proponete, proprio perché siete lavoratori della conoscenza e quindi siete in grado di farlo, deve essere anche inchiesta su qualche altro soggetto della società, per stabilire quali sono le differenze e le analogie e anche la comunanza di interessi, anche laddove apparentemente non c’è. Con le privatizzazioni sono state create delle forme di concorrenza proprio all’interno delle stesse categorie di lavoratori. Ciò avviene in tutti i campi. I lavoratori sono messi l’uno contro l’altro, in tutti i campi. Pensiamo ai subappalti Fiat, ad esempio, studiati da Vittorio Rieser. Non è sufficiente sul piano teorico dire che gli interessi sono comuni, è necessaria una coscienza comune. L’inchiesta può diventare uno degli strumenti con cui si riesce a far acquisire una coscienza di classe.
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