“Me ti insegnava: I rivolgimenti avvengono nei vicoli ciechi”. A insegnare è il Brecht del 1934, dall'esilio danese. Un anno dopo, nel 1935, parteciperà al Congresso internazionale di Parigi “per la difesa della cultura” dalla peste nera che si sta diffondendo in Europa dall'Italia e dalla Germania. In quegli anni, che fanno parte della nostra storia e della nostra memoria, la cultura è - come sempre - terreno di scontro politico. Come oggi, nelle nuove condizioni della globalizzazione finanziaria, dell'economicismo mercantile e del populismo autoritario, della deculturalizzazione della politica.
Grande è la confusione sotto il cielo, e la situazione non è eccellente, è pessima. L'attacco sistematico allo stato sociale, alla cultura come diritto di cittadinanza, alla centralità della conoscenza come condizione dello sviluppo umano e sociale, non ammette obiezioni. Una società di analfabeti e consumatori servili, economicamente ricattati, teledipendenti, condannati a sopravvivere su percorsi miserabili, è di gran lunga preferibile a una società di persone consapevoli dei propri diritti, della propria diversità, della propria centralità. La società dello spettacolo si è rapidamente trasformata in uno spettacolo sociale irto di detriti, macerie, violenza, stupidità. L'alternativa alla cecità pre-vista da Saramago, alla deriva inesauribile verso l'incapacità e l'impossibilità di vedere, è lo sviluppo di pratiche culturali che coltivino una concezione della cultura come arte della relazione, tra persone, tra presente e passato, tra saper vedere e saper fare. Su questo terreno è eticamente nobile resistere, ma è assai più efficace insistere, costruendo scenari diversi.
6 dicembre 2005, Firenze, Ridotto del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, conclusione dell'intervento Per un sistema regionale dello spettacolo
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