3.1.12

Paradossi cinesi. Concubine e vergini.

Marina Warner è una scrittrice inglese (di madre italiana) che ha al suo attivo romanzi di successo e saggi di critica d’arte, ma ha esordito con una biografia storica dedicata a Tz’u-Hsi, l’ultima imperatrice cinese, molto accurata nella documentazione e ben scritta ed ha proseguito con una sorta di processo a Giovanna d’Arco, figura ricca e polivalente per un approccio femminile e femminista. Il brano che qui riprendo è tratto dal primo di questi due libri di storia, scritto nel 1972 e tradotto in italiano nel 1975 ed allude a vicende paradossali. (S.L.L.)
Pechino. I bastioni e le mura della Città proibita
Era possibile diventare una concubina e non vedere mai l’imperatore; inoltre essere una concubina a volte non significava niente di più che essere assegnata al servizio dell’Imperatrice Madre, che diventare cioè una serva a tutti gli effetti, mantenendo un rango superiore. Molte famiglie manciù non vedevano di buon occhio la partenza delle figlie. Fuori dalla Città Proibita una ragazza manciù poteva fare un matrimonio prospero e felice: dentro le mura che racchiudevano la dimora del Figlio del Cielo c’era la possibilità che rimanesse vergine per tutta la vita. Quando l’imperatore moriva le mogli non potevano né risposarsi né ritornare alle loro famiglie. Nei cupi recessi della Città Proibita vivevano generazioni di concubine imperiali la cui vita non differiva da quella delle monache. Nel 1924, quando la corte venne cacciata da palazzo, fu scoperta l’esistenza di tre vecchie signore che erano state mogli secondarie di un imperatore e che vivevano da anni dimenticate, in completa reclusione.

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