Il 6 giugno del 2011, “La Stampa” per ricordare il fatidico 6 giugno dell’inizio dello sbarco alleato in Normandia, 57 anni prima, pubblica il resoconto di un incontro di Umberto Gentiloni con Tony Vaccaro, che quella orribile guerra combattè e fotografò prima di diventare uno dei più rinomati ritrattisti degli States. Dal paginone riprendo una foto, la biografia di Vaccaro, qualche passaggio dell’intervista. (S.L.L.)
Tony Vaccaro |
La biografia
Nato nel 1922 in Pennsylvania, Tony Vaccaro dai tre ai 17 anni vive in Molise. Tornato negli Stati Uniti, studia fotografia: arruolato nell'esercito, nel 1944 viene inviato in Europa dove partecipa al secondo conflitto mondiale, dallo sbarco in Normandia alla liberazione di Berlino. Come soldato-fotografo documenta la drammaticità della guerra scattando dal 1944 al 1945 circa 8 mila fotogrammi. Nel dopoguerra rimane in Europa fino al 1949 come fotografo per il giornale dell'esercito. Tornato in patria, inizia la sua carriera professionale fotografando per i grandi magazine americani Life, Time, Look, Flair, Venture tutte le più grandi celebrità del XX secolo del mondo del cinema, moda, arte, sport, politica: Charlie Chaplin, Maria Callas, Clark Gable, Federico Fellini, Sophia Loren, Anna Magnani, Pablo Picasso, Giorgio De Chirico, Enzo Ferrari e altri grandi. Ma ritrae magistralmente anche la gente comune, regalando immagini toccanti e piene di realtà. Torna a Roma una prima volta nel 1954, e vi rimane due anni come corrispondente di Time Life. Poi rientra a New York, dove comincia a esporre i propri lavori. Nel 1963 riceve la medaglia d'oro per la migliore fotografia di moda dall'Art Directors Club di New York. In questo periodo, tra l'altro, scatta la prima foto di modella di colore mai apparsa su una rivista come Look. Nel 1964 si trasferisce di nuovo a Roma per rimanerci sino alla fine del decennio. Le sue opere sono esposte al Metropolitan Museum di New York e al Centre Pompidou di Parigi.
Il bacio della liberazione Sain-Briac-sur-Mer, Bretagna 15 agosto 1944 |
“La sera prima della partenza per la Normandia, la nebbia. E il raccoglimento, dopo la messa che doveva aiutare a tranquillizzarci nelle ultime ore trascorse sulla terraferma. Poi la lunga attesa prima di poter scendere dalla nave, l'alternanza del giorno e della notte in mezzo al mare, gli aerei sulle nostre teste, gli sguardi al di là delle fiancate per riuscire a catturare immagini e impressioni della costa lontana, riflessa all'orizzonte». Michelantonio «Tony» Vaccaro aveva 22 anni, il 6 giugno 1944, quando si trovò sospeso tra il Sud dell'Inghilterra e le coste della Normandia. La sua divisione - l'83a di fanteria dell'esercito degli Stati Uniti - viene imbarcata dal porto di Southtampton, mentre i primi contingenti angloamericani iniziano a calpestare il suolo francese. Le condizioni meteo sono proibitive e le imbarcazioni più grandi non riescono ad avvicinarsi alla costa. «Cominciava a fare buio, era il 12 giugno. Lo sbarco iniziò anche per noi. Eravamo in tanti. Si creò una fila, una specie di lunga attesa per scivolare fuori dalla pancia della nave. Poi finalmente il piede a terra, lo scarpone umido, bagnato, tanta paura di non farcela. Ma soprattutto il fumo all'orizzonte, l'odore acre. Tutto sembrava bruciare. Dopo l'acqua, il fuoco. Ci stringiamo l'uno all'altro e andiamo avanti».
La macchina fotografica diventa la preziosa compagna di un lungo viaggio attraverso l'Europa, quasi un anno da Omaha Beach alle porte di Berlino. Con realismo e senza retorica il fotografo-soldato racconta la sconfitta del nazismo, la gioia della liberazione.
Il suo viaggio attraverso l'Atlantico era iniziato tempo prima. Da Greensburg (Pennsylvania), dove era nato, si era spostato in Molise, terra di origine della famiglia per una visita che si prolungò per molti anni. Tony rimase a Bonefro fino alla fine degli Anni 30 a causa dell'improvvisa scomparsa dei genitori. Un legame inscindibile, quello con la sua terra, che lo accompagnerà ben oltre l'adolescenza.
Tornato in America nel 1939 per cercare fortuna, si arruola volontario nell'esercito mobilitato dopo l'attacco di Pearl Harbor, coltivando una grande passione: la fotografia. Cerca di entrare nei «Signal Corps» per poter indossare la veste ufficiale di reporter di guerra, ma viene scartato con motivazioni che ancora oggi non riesce ad accettare. Non si rassegna e porta sempre con sè la sua macchina fotografica, una Argus C3, durante l'addestramento nei cinque mesi trascorsi a Camp Van Dorn, nel Mississipi, e poi nel Kentucky. Il 26 marzo 1944 la divisione viene imbarcata dal porto di Brooklyn sulla George Washington: partenza alle prime ore dell'alba e arrivo a Liverpool dopo un viaggio di otto giorni. Qui comincia la marcia di avvicinamento al fronte. I soldati vengono preparati in un campo posizionato nel Sud del Galles (Roman Bridge) e da lì indirizzati verso il fatidico momento del D Day.
Tony fotografa e conserva i suoi scatti, cercando metri di pellicola da portare con sé. Disposti a ridosso delle prime divisioni, lui e i compagni in pochi giorni vengono catapultati in prima linea, a contatto con il nemico. Il cammino dalla spiaggia di Omaha muove verso Occidente: Avranches, Saint Malo, Nantes per poi puntare verso il cuore del Terzo Reich. Prima Orléans e Auxerre, poi attraverso il Lussemburgo, il Belgio, durante la battaglia delle Ardenne, e infine la conquista della Germania. Dalle rive del Reno, oltre il fiume Elba, giunge a Zerbst, liberata tentando invano di raggiungere Berlino; vi entrera' dopo la resa per fotografare i primi passi del lungo dopoguerra tedesco. Conserva quasi 8 mila scatti del suo viaggio nella Seconda guerra mondiale con il fucile in una mano e la macchina fotografica nell'altra. In condizioni estreme, il contatto con la violenza e la morte si alterna alle scene di solidarietà tra i soldati e agli incontri con le popolazioni civili. […] «Ho sempre cercato di fotografare chi aveva dato un contributo al bene dell'umanità; un modo per uscire dalla guerra, dalle sue macerie, dalle ferite che mi porto dentro».
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