Il brano che segue è tratto dalle prime pagine del Viaggio nella Grecia antica che Cesare Brandi pubblicò nel 1954 ed ha avuto diverse riedizioni. Descrive una città in cui ero stato più volte di passaggio, ma solo quest’estate mi sono fermato. Ho percorso le sue vie, guardato le strade, gli edifici, i monumenti, il mare, con la guida di Linda, un’amica stupenda che in quella città era cresciuta e me ne raccontava le vicende. Ho ricavato una positiva impressione, ma per un po’ non sono riuscito a capire che cosa, di preciso, me l’avesse trasmessa. Era la luce! L’ho capito leggendo Brandi. Dardeggia anche d’agosto, non solo in primavera. (S.L.L.)
La bellezza di Brindisi non è travolgente, e più che di bellezza bisogna parlare di attrattiva; ma il piano stesso della città, con la sua lunga strada alberata, e lo sbocco su un mare dolcissimo, permette di assaporare via via per quel che vale, e vale parecchio, la luce candida che dardeggia la città da ogni lato. Sarà stata la primavera, l'aria lavata dalle piogge recenti, il sole che non acceca come d'estate: ma in quella luce sembrava di trovarsi entro pareti di cristallo, nella lanterna d'un faro.
Il porto si presenta, da un lato, ameno, quasi come il porticciuolo d'Ischia, e qui pochi pini bastano a "gradare" il colore del mare e del cielo come su una tavolozza: poi di qua e di là, la graziosa forcella che fa il mare incuneandosi, e che evoca non solo La Valletta, ma addirittura la posizione di New York, con Manhattan come un inguine, fra l'Hudson e un braccio dell'Oceano. Ed è quell'anello d'acqua limpida e ferma che riverbera la luce sulla città: anche a New York, che ha una bellissima luce raso terra, si deve certamente alla stessa ragione.
Quando si arriva alla scalea, che sopra ha le colonne dell'Appia, il lungomare, con la sua curva garbata ci ha guidato come a un traguardo: e, in fondo, quasi neppure s'è avvertito il Monumento al Marinaio, che allora parve così presuntuoso nella facile astrazione del timone, estolto a simbolo, più che di una classe, di un'epoca che proprio timone non ebbe.
Le colonne, nel consuntivo attuale di una e un sesto, poiché i restanti rocchi della seconda servirono alla statua di S. Oronzo a Lecce, si arrogano naturalmente tutto il patetico di quel viaggio, forse rimasto il più celebre dell'antichità dopo quelli degli Argonauti e di Telemaco; Orazio e Virgilio che si danno l'addio, fra quelle colonne massicce, sono un duetto mancato al nostro fornito melodramma.
Ma Brindisi non finisce lì: risalendo per la strada che porta al Duomo, s'incontrano casette amabili, portalini ben composti, e il campanile della Cattedrale che scavalca la via, un campanile che ha l'inestimabile pregio di competere alla strada stessa come la mano al braccio. Nella piazza che segue, il palazzetto del Seminario è una delle perle dell'architettura del Salento: con quelle statue scapate che penzolano da tutte le parti, sulle pilastrate vigorose, ancora un po' borrominiane.
Poi ci son delle belle mensole scolpite, e ancora delle vestigia non inutili di un decoro architettonico tutt'altro che consueto: il palazzetto gotico, un po' rifatto, ma non del tutto adulterato, dove il Comune fa pagare le imposte o altre noie del genere. Se vi sembra poco, tutto ciò, non perdete d'occhio questa splendida trafittura della luce bianca, oggi frizzante come un'acqua minerale.
Ora la nave arriva, e attira la solita bella e indolente gioventù paesana; la disoccupazione, in questi luoghi fin troppo classici, assume l'aspetto casuale e irrevocabile dei ruderi di marmo in mezzo ai prati. Sembra un ornamento ed è una piaga.
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