La prima corsa automobilistica celebrata in Italia si tenne a Palermo, nel parco della Favorita, nel 1898. Fu una gara del tutto atipica, giacché si trattò di una sfida tra una bicicletta, un cavallo e un triciclo automobile. Lo sfidante era Vincenzo Florio, allora diciassettenne. Suo fratello Ignazio, che dal 1889 gli faceva da padre, da tutore e da amico, era andato a Parigi e, conoscendo la passione che il fratello minore nutriva verso la moderna tecnica, aveva acquistato per lui il triciclo «De Dion-Bouton», uno tra i più perfezionati veicoli a motore che in quel momento circolavano nel mondo. Era una delle prime automobili arrivate in Italia e l'unica esistente a Palermo. Così, per placare il suo bisogno di sfida sportiva, Vincenzo Florio si trovò nella necessità di affrontare due concorrenti inconsueti: un cavaliere e un ciclista.
Era sicuro di vincere, perché il suo «De Dion» era in grado di raggiungere velocità che nessun purosangue e nessun asso del pedale avrebbero potuto superare. Infatti, il ciclista, preso da crampi, dovette ritirarsi quasi subito. Il cavallo, invece, si dimostrò un avversario di tutto rispetto: nei rettifili rimaneva indietro, ma nelle curve guadagnava terreno e arrivava, persino, ad incalzarlo. Alla fine, dopo distacchi e avvicinamenti vari, costretto a frenare bruscamente per non fracassare il mezzo contro un albero, Vincenzo Florio fu superato dal cavaliere, che tagliò vittorioso il traguardo.
Da quel giorno il giovane Florio visse esclusivamente per l'automobilismo.
I Florio erano imprenditori e mercanti, ma avevano ben poco in comune con il «self-made business man» tipico della diciannovesima centuria europea. Nelle loro vene scorreva sangue di mecenati e la loro casa, dove si rendeva culto alla vivace mondanità della «belle epoque» palermitana, ma anche alla cultura e alle belle arti, ricordava molto la corte di un principe rinascimentale. I membri della più alta aristocrazia europea e, perfino, le famiglie regnanti, come i reali di Grecia e gli imperatori della Germania, erano di casa a Villa Florio.
Alla mondanità il giovane Florio preferiva lo sport, soprattutto quello automobilistico. Si recava spesso a Parigi e nell'«Avenue de la Grande Armée», che fu la prima passerella e la prima pista di collaudo per tutte le novità europee in campo automobilistico, si estasiava vedendo sfrecciare a 40, 50, 60 chilometri orari le prodigiose automobili costruite in Francia, in Germania e altrove.
Ben presto al triciclo «De Dion-Bouton» si aggiunsero altre macchine più moderne, più complete e meno imparentate con la bicicletta: una Peugeot, una Benz e altre ancora, fino a raccogliere nelle scuderie della Villa di Palermo la più ricca collezione di automobili esistente in Italia. Appena un nuovo modello di vettura straniera si affacciava sul mercato, era subito acquistato dai Florio.
La Fiat non era nata ancora e, quando venne fondata alla fine del 1899, essendo una Società Anonima, non potè fregiarsi, come la Peugeot e la Benz, del nome del padrone. Si rese necessario darle per nome una sigla. Ma la sigla che veniva fuori dalle iniziali della prima ragione sociale («Fabbrica Italiana Automobili»), non era una parola pronunciabile, era poco più che il lamento di un passero solitario: «FIA». Finché al primo direttore commerciale, un certo ingegnere Marchesi non venne in mente un'idea geniale:«Se aggiungessimo "Torino" alla ragione sociale, pensò, verrebbe fuori una parola importante, FIAT».
«Già, ma in questo modo rischiamo di metterci in concorrenza con il Padre Eterno: Fiat lux e la luce fu fatta», osservò un membro del consiglio di amministrazione il quale, o per pudore religioso, o per timore delle reazioni di certi ambienti cattolici i quali ancora non avevano digerito la ferita di Porta Pia, non vedeva di buon occhio che la parola «Fiat» venisse stampata sul radiatore delle nuove vetture.
Comunque, a dispetto di queste perplessità, l'idea del Marchesi venne approvata quasi all'unanimità e nel 1900 apparvero le prime vetture Fiat, le quali furono degne di reggere il confronto con le migliori automobili straniere. Uno dei primi esemplari andò ad arricchire la collezione Florio.
Nei primi anni, quando un cliente di riguardo acquistava una vettura Fiat, la fabbrica torinese gliela spediva accompagnata da un tecnico della Casa, il quale aveva il compito di insegnare al nuovo proprietario le buone maniere della meccanica. La Fiat di Vincenzo Florio arrivò a Palermo accompagnata da Felice Nazzaro, il quale diventò in seguito uno tra i più grandi piloti di automobili, vincendo, tra l'altro, per ben due volte, la Targa Florio.
«Felice, perché non resti a Palermo e ti prendi cura delle mie automobili?» gli chiese un giorno Vincenzo Florio.
Nazzaro accettò la proposta di Vincenzo Florio, il quale desiderava in cuor suo diventare egli stesso un campione delle corse d'automobili. E, infatti, lo divenne, vincendo alcune tra le più prestigiose gare organizzate in Italia, all'inizio del secolo. Nel 1902, a bordo di una Panhard acquistata in fretta e furia a Parigi per 40.000 franchi, fu primo assoluto alla «Bovolenta-Padova»: la targa d'oro vinta in quella gara gli ispirò il nome della grande corsa siciliana che egli avrebbe organizzato quattro anni più tardi.
Da La Porta del Sole , supplemento al "Giornale di Sicilia", 1993
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