9.8.12

Alonge su Pirandello: “duramente siciliano e maschilista” oltre che fascista.

La mia fonte è un polemico articolo di Roberto Alonge dal titolo E’ tempo di sdoganare Pirandello, reperibile nel sito di una rivista del Dams torinese (www.turindamsreview.unito.it), che ha a sua volta come base l’epistolario Pirandello-Marta Abba, uscito nel 1995 per le cure di Benito Ortolani.
Il bersaglio della polemica è “la corporazione dei pirandellisti, che sono benpensanti e politicamente corretti, come quasi tutti gli umanisti che vivono nella Repubblica della italica Università”, la cui colpa, da attribuire in primis alla “critica marxista” su Pirandello, è di aver “provveduto a disegnarne un profilo da santino del pantheon democratico-progressista”.
“E invece, ciò che vien fuori dal voluminoso epistolario – replica Alonge - suona sconciamente sgradevole”. 
Del “piccolo florilegio” di Alonge riprendo qui una parte.

Ecco, per esempio, un paio di giudizi antisocialisti e anticomunisti da Berlino, 1929. “Marta mia, oggi, primo maggio: noi, per fortuna, in Italia, ce ne siamo dimenticati; ma qua [Germania], così detta repubblica social-democratica: sciopero generale, tutto chiuso, niente giornali” (p. 431). Oppure: “Jeri sera sono andato a vedere Chiangali, l’unico successo, per modo di dire, della stagione: è un dramma a tendenza anch’esso, per difendere il diritto della donna d’abortire, figurati con questi lumi di Luna in Italia: Chiangali è un rimedio, o meglio, un veleno che procura l’aborto. E si vede a teatro questo magnifico spettacolo, con certe tirate che mandano in visibilio tutti i comunisti seguaci del verbo di Mosca”. (p. 275).

Il filone razzistico, antiebraico, è assai frequentato: “Qui sto combattendo la fede di Cristo tra tutti questi giudei d’avvocati, editori, direttori di teatro, e chi più ne ha più ne metta!” (p. 277). E a proposito di una sua fotografia: “Ma anch’io nella riproduzione sono venuto malissimo, con un nasone da ebreo che consola” (p. 413). Ecco cosa scrive di Tatiana Pavlova, attrice e regista russa trapiantata in Italia: “lo scempio che il Signor Simoni fa della dignità del nostro paese messa come un tappeto regale sotto i piedi puzzolenti di una vecchia ebrea avventuriera russa, che oltre il decoro gli mangia i denari” (p. 628). E a proposito di Guido Torre, per un paio d’anni rappresentante a Parigi degli interessi di Pirandello: “…questo cane giudeo del Torre. […] E’ pur vero che da questa razza maledetta bisogna guardarsi come dalla peste” (p. 717).
Ce n’è, naturalmente, anche per i neri. Una certa commedia non è pensabile possa andar bene per Marta: “Figurati che si tratta d’una donna bianca che sposa un boxeur negro; e la commedia è piena di negri, e d’una volgarità spaventosa” (p. 663). Il ministro fascista Bottai “ha una testa da negro intelligente” (p. 965).
Ma anche il filone anti-gay è nutrito, soprattutto quando la prima berlinese di Questa sera si recita a soggetto, del 31 maggio 1930, viene accolta male (dopo il successo della prima mondiale a Königsberg, qualche mese prima): “jersera invece fu l’osceno livore d’una masnada d’invertiti che si scatenò aizzata dal Feist” (p. 496). Hans Feist, traduttore di Pirandello in Germania, cui però Pirandello ha tolto l’incarico, per vendicarsi “ha mandato una masnada di omosessuali pari suoi, gente ricca che ha pagato regolarmente l’entrata per acquistare il diritto di mostrare in pubblico i fischietti e fischiare” (pp. 507-508). A completare il ventaglio linguistico del vocabolario omofobo di Pirandello non può però mancare – accanto a invertito e omosessuale – anche il termine di pederasta: “Sono andato a vedere, Marta mia, il Fior di pisello di Bourdet; è un lavoro impossibile, di pederasti, dove c’è solo una sconcia parte di vecchia donna, mezzana di questi amori tra uomini e poi tutti uomini di questo genere” (p. 1053).
Più che omofobo, secondo Alonge, Pirandello sarebbe decisamente (e genericamente) sessuorepressivo. Protesta infatti anche quando le attrici tedesche “vengono in iscena quasi nude, peggio che nude: sconce addirittura” (p. 381). Insomma, Pirandello risulterebbe “un uomo duramente siciliano, maschilista e reazionario, sia pure con tutti i tratti del gentiluomo che protegge la donna”.
L’adesione al fascismo, da parte di Pirandello, infine, non sarebbe affatto un accidente, una svista, una debolezza senile. Di sé Pirandello ricorda in una lettera del 1932 che – nonostante qualche ingiustizia subita  “sèguita intanto a dir bene di Lui, a esaltarlo come un salvatore del suo paese, come un genio costruttore a cui l’Italia deve tutto” (p. 921). E dissente solo per ragioni di opportunità sull’aggressione fascista a Toscanini, reo di essersi rifiutato di eseguire gli inni ufficiali: “[…] hanno fatto male, secondo me, a schiaffeggiarlo, non perché non si meritasse gli schiaffi, ma per la risonanza che codesti schiaffi avrebbero avuto all’estero, come difatti l’hanno avuta”.

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