Per ieri, dopo settimane di secco e di caldo asfissiante, i metereologi avevano promesso una perturbazione che ci avrebbe confortato con acqua e vento dall’estate micidiale che il cielo ha regalato. Così non è stato. I benefici della congiuntura climatica qui a Perugia sono stati assai ridotti: dopo un breve e ventilato acquazzone intorno a mezzogiorno, alle 5 della sera era già tornato il gran caldo, anche se poi la notte mi è sembrata leggermente più fresca delle precedenti.
Avevano chiamato questa perturbazione Beatrice, intitolando a Dante quella che a giorni seguirà. La curiosa denominazione mi ha richiamato alla mente una trovata pubblicitaria di cui ci aveva raccontato al Liceo il nostro amato insegnante di Storia e Filosofia, un prete di idee liberali studioso dei presocratici e delle cosmogonie orientali, che io, già anticlericale, chiamavo il professore Conti, ma che i più a Canicattì chiamavano padre Conti. Ci aveva detto che il verso dantesco “I’ son Beatrice che ti faccio andare” era stato utilizzato per esaltare l’efficacia di un purgante. Per uno degli inganni della memoria che taglia, cuce, aggiusta, aggiunge, la sua mente attribuiva a quel lassativo lo stesso nome ora usato per il miniciclone, Beatrice.
E invece no. Una breve ricerca in rete mi ha chiarito che il lassativo aveva già un proprio nome commerciale e che lo ha conservato nel tempo, fino ai giorni nostri: “Magnesia San Pellegrino”. Nel 2006 le campagne pubblicitarie del collaudato lassativo furono oggetto a Milano di una mostra all’Università cattolica, una sede probabilmente scelta per via del suo nome che odora di paradiso. In un breve articolo sul Giornale, Ignazio Mormino, spiega che il «purgante» in parola nacque dalla ricerca casalinga di un farmacista e fu affidato subito ai maestri della pubblicità, che allora si chiamava réclame.
Mormino fa un piccolo elenco delle estrose invenzioni dei cartellonisti e degli altri pubblicitari (non so se si chiamassero così):
“La prima, la più scontata, garantisce che si tratta del «migliore purgante del mondo». Altre che possiede tre «virtù mirabili»: purga, rinfresca, disinfetta. Ma bisogna arrivare agli anni 20 (quando il suo inventore vende il marchio al commendator Enzo Granelli, già proprietario della San Pellegrino) per entrare nel vivo di una martellante campagna di seduzione che coinvolge le famiglie. È decisamente patetica la rassicurazione rivolta a una signora (1930): «Se vostro marito è nervoso, compatitelo. Nel 90 per cento dei casi dipende dal cattivo funzionamento dell’intestino». Rafforza il concetto un altro cartellone (1931): «Il nervosismo e l’avvilimento sono le caratteristiche degli stitici».
Molta attenzione è rivolta alle donne, spesso stilizzate sempre eleganti. La loro approvazione è ritenuta indispensabile. La loro bellezza, afferma un cartellone del 1932, è garantita «da un cucchiaio di magnesia San Pellegrino ogni mattino». Non manca il coinvolgimento delle istituzioni: gli ufficiali dovrebbero avvicinarsi a quel prodotto «prima delle cavalcate» e i marinai «prima di varcare gli oceani». Anche Dante, proprio lui, il sommo poeta, diventa un laudatore di questa magnesia. Prima, riprendendo un verso della Divina Commedia, afferma «sta come torre ferma che non crolla». Poi, con una leggera caduta di gusto, sorprendente nell’Italia bacchettona degli anni Trenta, cede la parola alla amatissima, la quale non esita a rivelare: «Son Beatrice che ti faccio andare!».”
L’episodio è citato, non certo con simpatia, anche da Goffredo Fofi in un suo articolo su “l’Unità” (7 novembre 2010):
“Un’idea moderna di pubblicità è esplosa in Italia negli anni sessanta, prima la pubblicità era secondaria, rozza, poco o niente mediata. Su un giornale degli anni trenta o quaranta la pubblicità di un lassativo si serviva dell’immagine celebre dell’incontro tra Dante e Beatrice lungo l’Arno accompagnata dal verso della Commedia «Io son Beatrice che ti faccio andare».”
L’articolo di Fofi mi pare in generale acuto, tanto che ho deciso di collocarlo in un altro post di questo blog composto da piccole cose che vorrei ricordare, ma la sparata contro la poetica pubblicità della nota purga la considero più che eccessiva sbagliata. Quello slittamento di senso tecnicamente “carnevalesco”, che mescola alto e basso e che irride alla “sacralità” dai pedanti attribuita alla poesia, non mi pare affatto una cattiva cosa.
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