8.8.12

Le strane storie cavalleresche del “romance” spagnolo (di Mario Mancini)

Una recensione dotta e chiara che è anche una sintetica ed esauriente ricognizione su un importante genere letterario, all’origine della romantica ballata o romanza. (S.L.L.)
La materia cavalleresca, storica, leggendaria, che aveva trovato forma nell’epica (Cantar de mio Cid), che si era depositata nelle cronache, si cristallizza, nella Spagna del Quattrocento, in una nuova forma, il romance.
Sono canti lirico-narrativi, che trovano diffusione popolare nei pliegos sueltos (fascicoletti di otto facciate), per approdare poi in grandi raccolte come il Cancionero de romances di Anversa (1547).
La fortuna del romancero nel Moderno è legata all’appassionata riscoperta della letteratura popolare, nel quadro europeo della «ballata», da Herder a Percy (Reliques of Ancient English Poetry, 1765), da Bürger a Berchet, da Uhland a Heine (Romanzero, 1851). E continua nel Novecento, ispirando poeti come Antonio Machado (La tierra de Alvargonzález), come Federico Garcia Lorca (Romancero gitano).
Una bella antologia – Romancero. Canti narrativi della Spagna medievale (Marsilio «Letteratura Universale», pp. 443, € 22,00) – ci offre, con il testo a fronte, 72 testi, nella ben calibrata ed elegante traduzione di Enrico De Pastena, con una ricca introduzione di Giuseppe Di Stefano, grande specialista del genere. Insieme a una presentazione dei filoni principali – storico, epico, romanzesco – Di Stefano mette a fuoco efficacemente la forma poetica, che è molto particolare, del romance. Si può dire che il testo – se lo confrontiamo con la distensione, epica e massiccia, dei cantares – presenta, con voluta essenzialità, il momento estremo di un’esperienza di vita, mettendo in scena un serrato confronto tra personaggi, oppure un protagonista unico di fronte al proprio destino.
Un destino il più delle volte amaro, di sovrani perdenti, come in Abenámar, Abenámar, dove il re cristiano don Juan invano desidera «sposare» la città di Granada, ammirata da lontano nel suo splendore, in una sorta di «contemplazione allucinata» (Spitzer). Granada è araba, e araba vuole restare: «Casada soy, rey don Juan, / casada soy que no viuda:/ el moro que a mi me tiene / muy grande bien me quería» (Son sposata, re don Juan, / non vedova ma sposata:/ il moro che è mio signore / molto bene mi ha voluto).
Un destino di faide sanguinose, di donne assassinate. Così Isabella, amante del re (Yo me estando en Giromena), scorge da un’altana il lento avvicinarsi di cavalieri che le annunceranno che deve morire, per volontà della regina: «Siendo como sois su amiga / y ella mujer naturale, / manda que muráis, señora; / paciencia queráis prestare» (Poiché siete la sua amante / e lei la sua vera moglie; / ordina la vostra morte; / pazienza vogliate avere). A nulla valgono le sue parole – il re l’ha presa con la forza, rinchiudendola in una fortezza – deve confessarsi, e poi morire: «Tiéndela en un repostero /para habella de degollare. / Así murió esta señora / sin merecer ningún male». (Sopra un drappo l’hanno stesa / per poterla decollare. / Così morì questa dama / senza alcun mal meritare). A volte la vittima predestinata, accusata di adulterio (Lunes se decía, lunes), fa balenare, nel tentativo di salvarsi, una possibile vendetta da parte del suo clan, ma invano: « – Morir tenéis, la duquesa, / antes que viniese el día. / – En tus manos estoy, duque, / haz de mí a tu fantasía, / que padre y hermanos tengo / que te lo demandarían, / y aunqu’estén en España / allá muy bien se sabría. / – No me amenacéis, duquesa, / con ellos yom’avernía». (– Voi morirete, duchessa, / già prima che spunti l’alba. / – Sono nelle tue mani, duca, / come vuoi di me disponi, / ho un padre, ho dei fratelli, / ben mi vorran vendicare, / pur se si trovano in Spagna / tutto verranno a sapere. / – Non minacciate, duchessa, / con loro mi accorderei).
Ma la scena non è sempre così cupa. Alcuni romances – soprattutto quelli raccolti tra i sefarditi del Marocco – affrontano i «casi di onore» con indifferenza, con simpatia, con toni burleschi (Con el ruido del ahua, non compreso nella raccolta). O mettono in scena – La infantina – misteriose e orgogliose principesse. È, per il cavaliere che le incontra, un’occasione meravigliosa e inquietante: «Arrimárase a un roble, /alto es a maravilla. / En una rama más alta / viera estaruna infantina; / cabellos de su cabeza / todo el roble cobrían. / – No te espantes, caballero, / no tengas tamaña grima. / Hija soy yo del buen rey / y de la reina de Castilla; / siete hadas me hadaron / en brazos de una ama mía, / que andase los siete años / sola en esta montiña. / […]/ Por Dios te ruego, caballero, / llévesme en tu compañía, / si quisieres por mujer, / si no sea por amiga» (Si accostò a una quercia, / alta da far meraviglia. / Sul più alto dei suoi rami / se ne sta una principessa, / i capelli del suo capo / coprivan la quercia intera. / – Non temere, cavaliere / non avere tanta paura. / Figlia son della regina / e del buon re di Castiglia, / sette fate mi han fatato, / in braccio a una balia mia, / e ho da andar per sette anni / sola per questa montagna. / […]/ Io ti prego, cavaliere, / portami in tua compagnia, / se lo vuoi come tua sposa, / e se no, sia come amica). Incerto, timoroso, il cavaliere corre a chiedere consiglio alla madre, ma, al suo ritorno, l’infantina è sparita.
Il lettore di oggi, come Heine, come Machado, come Garcia Lorca, può avvertire ancora il fascino di queste strane storie, raccontate con tanta arte. Perché è nello stile il loro segreto. Non abbiamo di fronte una meccanica frantumazione dei cantares epici, come pensava la critica positivista, ma delle «rovine artificiali» (Vossler). Già Hegel, ricorda Spitzer, aveva colto il carattere specifico, lirico-narrativo e centrato sulla situazione, del romance. Se apriamo l’Estetica, possiamo leggere: «La lirica arriva anche fino al racconto descrittivo. Come forma più semplice e più diretta di questa cerchia voglio citare solo la romanza, nella misura in cui essa isola le diverse scene di un avvenimento, esponendole ognuna per sé, in piena simpatia di descrizione, e procedendo per rapidi tratti principali. Questa concezione salda e determinata di quel che vi è di propriamente caratteristico in una situazione, ed il netto rilievo ad essa dato, con piena partecipazione soggettiva, affiorano in nobile maniera particolarmente presso gli spagnoli e conferiscono grande efficacia alle loro romanze narrative».
Drammaticità, pathos, concentrazione. Per analogia, dopo Hegel, potremmo pensare al Tango, giusto questo pensiero del cantante d’opera Erwin Schrott (grande nel ruolo di Don Giovanni): «Tutto il dramma che nell’opera lirica si svolge in tre ore e mezza, è condensato in un tango di tre minuti».
Ascoltiamo dunque le misteriose, ansiose anafore: «Rosa fresca, rosa fresca», «Abenámar,
Abenámar», «Moro alcaide, moro alcaide», «Guarte, guarte, rey don Sancho».
Abbandoniamoci alla suggestione degli esordi «a scena aperta», che ci portano subito in medias res: «Asentado está Gaiferos / en el palacio real, / asentado al tablero / para las tablas jugar» (Seduto sta Gaifero / nel salone regale, / seduto alla scacchiera / per giocare le pedine). «Retraída está la infanta / bien así como solía, / viviendo muy descontenta   / de la vida que tenía» (Solitaria sta l’infanta / così com’ella soleva, / vivendo insoddisfatta / della vita che faceva). «Estase la gentil dama / paseando en su vergel, / los pies tenía descalzos / que era maravilla ver» (Se ne sta la gentil dama / passeggiando nel giardino, / se ne sta a piedi nudi, / meraviglia da vedere). «A cazar va el caballero, / a cazar como solía. / Los perros lleva cansados, / el halcon perido había» (A caccia va il cavaliere, / a caccia come soleva. / I suoi cani sono stanchi, / il falcone avea perduto). Dove il motivo della caccia è preannuncio di un incontro, a volte meraviglioso, a volte funesto, come quando l’incontro è una «morte nascosta» («muerte ocultada»).
Spessissimo il romance è una scena sola, singolarmente felice, staccata da una storia più ampia, che altre versioni ci possono raccontare. È il caso, famoso, del Conde Arnaldos. Partito per la caccia, il conte incontra un marinaio che con il suo cantar rende calmo il mare, fa calare i venti, fa salire a galla i pesci, incanta gli uccelli. Al conte che gli chiede di cantare, risponde il marinaio – appartenente certo alla schiera dei tentatori demoniaci, degli «spiriti elementari», Elementargeister (Spitzer) – che questo è possibile solo per chi va con lui, e il romance ci lascia con queste parole: «Yo no digo esta canción / sino a quien conmigo va».

alias 29/1/2012

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