Nel brano che segue è tratto dalla recensione su “alias”, di Luca Scarlini al volume di Laura Schettini, Il gioco delle parti. Travestimenti e paure sociali tra Otto e Novecento, uscito lo scorso anno per Le Monnier. Attraverso l'analisi degli archivi criminologici e con l'ausilio della stampa d’epoca, il libro racconta delle pratiche d’adozione dell’abito dell’altro sesso nei primi decenni del regno d’Italia. (S.L.L.)
Travestiti italiani del primo 900 |
In una società come quella italiana unitaria, che vedeva la donna comunque in posizione svantaggiata, non poche infatti erano le signore che adottavano l’abbigliamento maschile. Alcune di esse per correre il mondo, per sfuggire a un ambiente familiare violento, o anche per compiere una vendetta «d’onore», eliminando il partner che, secondo il classico modello, le aveva «sedotte e abbandonate», e quindi rovinate per sempre di fronte alla pubblica opinione. Non che prima non si dessero simili figure (di piratesse e soldatesse è piena la letteratura inglese dal Seicento, ma molte furono le figure anche nel Belpaese, tra cui la bolognese Catterina Vissani), ma i tabloid, che cominciavano la loro ascesa, trovavano in queste storie un argomento particolarmente favorito dai lettori, che amavano le cronache in cui il sesso aveva una parte rilevante.
Se per le donne si dava una certa tolleranza, maggiore era l’ostilità verso gli uomini che decidessero di vivere in drag. La documentazione fotografica, con una sola eccezione, riguarda queste figure, che venivano tormentate come spettro di una mascolinità alternativa e davvero poco gradita nel paese dei machos e del Bunga Bunga, che poco prima aveva trovato nel re-sex machine Vittorio Emanuele II un personaggio perfetto in cui identificarsi.
La storia di Giuseppe B. «il manfrodito di Trastevere» prende una dimensione paradigmatica, a partire dalla sua dichiarazione ai gendarmi di aver profittato del carnevale per potersi vestire da donna. L’elemento picaresco non fa mai scordare che per molte di queste creature in mutamento il destino era la clinica psichiatrica e una reclusione a vita, spesso anche per volontà diretta delle famiglie, che non volevano scandali.
Una fotografia scattata al manicomio criminale di Aversa mostra mani dalle dita laccate, adorne di anelli e di un bracciale: in quella immagine si evidenzia un rimosso totale, che solo lentamente emerge dagli angoli degli archivi per raccontare un’Italia unita meno prevedibile di quella a cui ci hanno abituato i sussidiari.
“alias” 24/9/2011
2 commenti:
Gentile Lo Reggio, spero di non disturbare. è in via di pubblicazione un mio articolo sui comportamenti sessuali non etero-normati; le scrivo per sapere se la foto è esente da diritti e se è tratta dall'articolo su "Alias". Grazie, Elisa
Gentile Elisa, il cognome giusto è Lo Leggio. A mia memoria l'immagine, certamente esente da diritti, proviene da Alias, ma non sono in grado per tutto agosto di controllare. Sarò lieto di leggere il suo articolo, se avrà la cortesia di comunicarmi il sito o la testata. Grazie a lei dell'attenzione.
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