Louis - Michel Van Loo, Ritratto di Denis Diderot (1767) |
Diderot
è la chiave del secolo. Quest’uomo che voleva esser nulla, «ma
nulla del tutto», ha come inventato il secolo in quel che noi gli
riconosciamo di più proprio, di più originale, di irripetibile.
Voleva esser nulla (lo dice all’esaminatore, alla fine dei suoi
studi) in rapporto a quel che già c’era, è stato tutto in
rapporto a quel che non c’era. Ha inventato una professione: la più
libera che si potesse immaginare - e per non averne alcuna. E da
questa sua professione, da questa sua non-professione, è venuta
l’Enciclopedia. E dall’Enciclopedia una nuova
concezione del fare, delle attività umane, del lavoro. Un fare che
somigliava al non-fare. Un 'fare con gioia’. Un’utopia, se si
vuole. Senz’altro un’utopia, anzi. Ne vediamo la rovina, ma
ancora la si persegue.
Già
Montaigne aveva detto: «Non faccio nulla senza gioia». Diderot
assume questa prescrizione, vi informa la propria vita e cerca di
allargarla a quanti più uomini è possibile. L’Enciclopedia
è appunto il tentativo di dare agli uomini la gioia del proprio
lavoro: la gioia della conoscenza, dell'intelligenza, dell’armonia
delle parti nel tutto. La macchina - la meccanizzazione
dell’industria - è già, come il cavallo di Troia, dentro la
cittadella dell’Enciclopedia -, ma dal louis
quatorze all’art nouveau questa specie di
redenzione, di stato di grazia, tocca l’artigianato: il mobiliere,
l’orefice, lo stuccatore, il tappezziere, lo stampatore, il
rilegatore, il marmista, il vasaio, il fabbro ferraio - tutti stanno
dentro la voce 'gusto’ (Essai sur le goût dans les choses de la
nature et de l’art) di Montesquieu, tomo VII dell’Enciclopedia.
Tommaseo riassume: «Il gusto, se non sempre da arte e da
studio, almeno da pratica». Ogni oggetto sembra essere stato fatto
con gioia. La stessa gioia con cui Parini, indugiando a goderseli, li
enumera nella vestizione del giovin signore. Non ama il giovin
signore, ma si sente che ama gli oggetti che il giovin signore
indossa.
Per
non averne alcuna, Diderot ha dunque inventato una professione:
quella dell’intellettuale. Nonostante le difficoltà, i pericoli,
il carcere, i bisogni, è da credere l’abbia esercitata con gioia.
Prendeva tutto sul serio ma con tanta leggerezza da dare
l’impressione che non si prendesse sul serio. Scrive La monaca
per fare uno scherzo e I gioielli indiscreti come per
scommessa e per dare del denaro a una donna che ne ha bisogno. Non si
cura di dare alle stampe tutto quello che scrive, e anzi ne dà
pochissimo; ma nulla di ciò che ha scritto è 'postumo' se non
accidentalmente. Sta dentro il suo secolo come ogni uomo nella
propria pelle. Eppure è sopratutto attraverso la sua opera che il
secolo XVIII ci raggiunge, ci occupa, ci offre strumenti e misure.
Lessing diceva che senza Diderot le sue meditazioni sarebbero andate
per tutt’altra via. E Goethe e Schiller, sui Saggi sulla
pittura, convenivano che Diderot aveva colto quanto di più alto
e intimo è nella pittura e nella poesia. «È un’opera magnifica,
ancora più utile al poeta che al pittore, anche se a quest’ultimo
appresta un lume possente» (Goethe). E un critico dei giorni nostri
aggiunge: «Non sarebbe possibile fare la storia del teatro moderno,
del romanzo moderno, della critica d’arte senza porre in rilievo la
battaglia innovatrice che Diderot condusse...»
Grande
educatore in un secolo educatore.
Da
“Il secolo educatore” in Cruciverba, Einaudi, 1983
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