Avanzato è un cognome tipico dell'Agrigentino. Ce ne sono tanti a Canicattì e a Palma di Montechiaro, e non ne mancano al mio paese, Campobello di Licata, o a Ravanusa. La fisionomia che ho visto qualche mese fa nel domenicale del "Sole" ha per me un non so che di familiare, mi ricorda gli Avanzato che conosco. A uno di loro, mio compaesano, attore e cantante folk, non di rado accade di rievocare la tragedia di Marcinelle attraverso l'epopea del minatore Turi Scordu e della sua famiglia, così come la racconta nel poemetto Lu trenu di lu suli il grande Ignazio Buttitta. (S.L.L.)
La miniera di carbone di
Bois-du-Luc, una delle più antiche del Belgio, è ormai chiusa dal
1973. Ma la città operaia, situata tra Mons e Charleroi, continua a
suscitare innegabili emozioni. Costruito tra il 1838 e il 1853, il
sito è rimasto inalterato. Il pozzo è chiuso. I minatori mancano
ormai da quarant’anni. Eppure sembra quasi che la fabbrica, la
chiesa, la scuola, e soprattutto le abitazioni a schiera in pietre
scure siano disabitate per il fine settimana; e che lunedì l’intera
città tornerà a girare, i macchinari a sbuffare, gli operai ad
armeggiare, come ai vecchi tempi.
A pochi chilometri di
distanza, sulle sponde del Canal du Centre nei pressi di La Louvière,
le vecchie abitazioni di minatori costruite dall’impresa Gustave
Boël sono oggi un ristorante, La cantine des Italiens.
Paradossalmente, la località è più simbolica dei vecchi pozzi di
carbone di Bois-du-Luc riflette meglio l’eredità italiana in
questo paese. Ancora oggi, il luogo è quello prescelto dalla
comunità immigrata in questa zona del Borinage per le grandi
riunioni di famiglia, tra canti, balli e lunghe tavolate festose a
cui spesso si associa la popolazione locale.
«Non so se
l’integrazione degli italiani sia stata pienamente un successo –
nota Christian Druitte, un ex amministratore della RTBF, la rete
televisiva pubblica francofona -. Certo, l’ex primo ministro Elio
Di Rupo ha dimostrato che in questo paese tutti possono fare fortuna.
Mi sembra, tuttavia, che in generale l’impatto italiano in Belgio
sia avvenuto in campo culturale. Non c’è collettività immigrata
che abbia influenzato così tanto la cultura popolare». Nel 1976,
per ricordare il ventennale della tragedia di Marcinelle, nella quale
morirono 262 persone fra cui 136 minatori italiani, Druitte presentò
in prima serata una diretta di cinque ore.
Le doppie celebrazioni di
quest’anno - oltre al drammatico incidente di Marcinelle, il Belgio
ricorda anche il settantesimo anniversario dell’accordo italo-belga
del 1946 con il quale i due paesi organizzarono uno scambio carbone
contro manodopera - sono l’occasione per una rivisitazione del
passato e un esame del presente, a cui contribuisce un ricco
programma di incontri, film, convegni e conferenze organizzato
dall’Ambasciata d’Italia, dall’Istituto italiano di cultura a
Bruxelles e dalla Cineteca reale del Belgio, la Cinematek, presieduta
dall’italiano Nicola Mazzanti.
A seconda del paese,
l’immigrazione italiana nel Nord Europa ha lasciato impronte
diverse. Il principio dell’assimilazione fa sì che la Francia
faccia storia a sé: pochi si ricordano che Edith Piaf, Pierre Cardin
o Yves Montand erano italiani. In altri paesi, le cose sono andate
diversamente. Mentre in Germania l’impatto ha colpito la cucina, e
in parte la moda, in Belgio l’immigrazione italiana ha segnato la
cultura popolare. Dolorès Oscari è direttrice del Théâtre Poème,
a Bruxelles. Istriana di origine, e con passaporto italiano, la sua
famiglia è arrivata in Belgio nel 1947, come migliaia di altri
italiani alla ricerca di un lavoro: «Ai tempi, da un punto di vista
culturale, la regione del Borinage era il deserto».
«La comunità italiana –
racconta la signora Oscari – aveva uno stile tutto suo: cantava,
rideva, mangiava. La differenza rispetto al Belgio profondo di quel
periodo era evidente. Mentre gli italiani cuocevano la pasta con
sofisticati sughi profumati, i belgi condivano i maccheroni con lo
zucchero di canna… Il parmigiano per loro aveva il sapore del
vomito… Mi ricordo ancora che una famiglia appena arrivata dalla
Penisola era convinta che il rumore di passi sui sampietrini della
località dove abitavamo fosse quello dei cavalli. In realtà, erano
i nostri vicini: ai tempi nelle campagne belghe non c’erano scarpe
di cuoio, ma zoccoli di legno…».
«Non c’è dubbio –
nota Marco Martiniello, sociologo dell’Università di Liegi –:
gli italiani hanno vivacizzato il paesaggio culturale del Belgio. Ma
il risultato finale è diverso dalla cultura popolare così come è
intesa in Italia. È nata una nuova cultura belga, grazie
all’influenza degli immigrati italiani». La lista degli artisti di
origine italiana è lunga: i cantanti Salvatore Adamo, Rocco Granata,
Frédéric François e Sandra Kim; l’amministratore di teatro Serge
Rangoni; il compositore di jazz Bruno Castellucci; e il romanziere
Girolamo Santocono. Il successo è stato soprattutto nel Belgio
francofono, fosse solo perché la maggiore parte degli immigrati
italiani si è fermata nel Sud del paese.
In un Belgio spesso
uggioso e triste, che «ha per sempre il cuore a bassa marea»
secondo Jacques Brel in Le plat pays, è facile immaginare che
i belgi siano rimasti affascinati da «una cultura dell’apparenza»,
come la chiama la signora Oscari, di una comunità italiana forte
negli anni 70 di 300mila persone. In Vallonia, ancora 50 anni fa,
c’era in inverno l’abitudine nelle case belghe del noir quart
d’heure, un quarto d’ora di silenzio a luce spenta durante il
quale i membri di una famiglia, seduti nel tinello, riflettevano
sugli avvenimenti della giornata appena trascorsa, tra sentimenti di
malinconia e desiderio di risparmio sulla bolletta elettrica.
La musica ha certamente
facilitato l’integrazione di migliaia di immigrati. La canzone
Marina di Rocco Granata risale al 1959, ed è stata venduta a
milioni di copie. «La tragedia di Marcinelle – spiega ancora
Druitte – ha aperto gli occhi dei belgi sulla deplorabile
situazione in cui vivevano ai tempi molti italiani, spesso costretti
ad abitare nelle baracche usate subito dopo la guerra dai prigionieri
tedeschi». Nel contempo, il matrimonio del futuro Re Alberto con
Paola Ruffo di Calabria nel 1959, le immagini televisive dei giochi
olimpici di Roma del 1960, e le vittorie ciclistiche di Eddy Merckx
con la squadra italiana Faemino-Faema contribuivano a far conoscere
l’Italia al Belgio profondo.
Non per questo
l’integrazione italiana in Belgio può dirsi però pienamente
riuscita, come rilevava in precedenza lo stesso Druitte. Anne
Morelli, una sociologa dell’Université Libre de Bruxelles, è
convinta che il successo dei Di Rupo e degli Adamo «sia l’albero
che nasconda la foresta», una eccezione in un panorama dove
l’esclusione sociale è spesso la regola in un paese, che oggi fa
drammaticamente i conti con le difficolà di integrazione della sua
comunità musulmana. Eppure, in un suo numero recente, il settimanale
Le Vif-L’Express titolava in copertina: «Made in Italy –
Comment les Italiens ont transformé notre pays». Quanti turchi
in Germania, filippini in Italia, algerini in Francia, marocchini in
Olanda possono contare su un tale riconoscimento?
“Il Sole 24 Ore –
Domenica”, 31 luglio 2016
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