16.12.16

Fortini, tanto per parlare (S.L.L. - stato di fb)


Se, tanto per parlare, si ragiona di quale sia il vertice del Fortini saggista, il punto più alto della sua ricerca, c'è imbarazzo nella scelta e forse a noi, sessantottini, il primo titolo che viene in mente è "Verifica dei poteri". Fu un libro di cui ci nutrivamo, leggendolo insieme agli "Scrittori e popolo" di Asor Rosa che ne era, come dire?, il fratello-coltello.
I più letterati forse risaliranno indietro, ai "Dieci inverni", fratello questo del "Diario in pubblico" di Vittorini. "Dieci inverni" è il libro che con più intensità, cioè con un sovrappiù di ragione e di passione, racconta il disfiorire delle speranze della Resistenza. Se, da quel libro, mi capita di rileggere lo straordinario resoconto di un discorso di Nenni, che risale al 54, non so frenare la commozione. Colpa della mia fragilità emotiva, certo, della mia inclinazione alla nostalgia, ma è forte la complicità della scrittura. In quegli anni non era ancora segnata dall'affanno nella ricerca di interlocutori (di "compagni") e vi senti, a palpitare e diffondere calore, quel "noi" di cui anche tu, in tempi diversi, hai visto balenare il fantasma e che ti manca.
Si citeranno forse, nella ricerca del migliore Fortini, altri titoli, le "Questioni di frontiera" per esempio, o le petulanti "Insistenze" degli anni 80. Ma alla fine in tanti si converrà che il libro più bello è anche il più duro, il meno disponibile a una utilizzazione gastronomica, è l'"Ospite ingrato", il primo "Ospite ingrato" per la precisione, che, esattamente 50 anni fa, nel 66, espresse con il massimo di clamore il "no" di Fortini, il radicale rifiuto di adeguarsi, l'inguaribile fedeltà a quel "sogno di una cosa" che spetta ai compagni, ovunque siano, tradurre in realtà.

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