Se, tanto per parlare, si
ragiona di quale sia il vertice del Fortini saggista, il punto più
alto della sua ricerca, c'è imbarazzo nella scelta e forse a noi,
sessantottini, il primo titolo che viene in mente è "Verifica
dei poteri". Fu un libro di cui ci nutrivamo, leggendolo insieme
agli "Scrittori e popolo" di Asor Rosa che ne era, come
dire?, il fratello-coltello.
I più letterati forse
risaliranno indietro, ai "Dieci inverni", fratello questo
del "Diario in pubblico" di Vittorini. "Dieci inverni"
è il libro che con più intensità, cioè con un sovrappiù di
ragione e di passione, racconta il disfiorire delle speranze della
Resistenza. Se, da quel libro, mi capita di rileggere lo
straordinario resoconto di un discorso di Nenni, che risale al 54,
non so frenare la commozione. Colpa della mia fragilità emotiva,
certo, della mia inclinazione alla nostalgia, ma è forte la
complicità della scrittura. In quegli anni non era ancora segnata
dall'affanno nella ricerca di interlocutori (di "compagni")
e vi senti, a palpitare e diffondere calore, quel "noi" di
cui anche tu, in tempi diversi, hai visto balenare il fantasma e che
ti manca.
Si citeranno forse, nella ricerca del migliore Fortini, altri titoli, le "Questioni di frontiera" per esempio, o le petulanti "Insistenze" degli anni 80. Ma alla fine in tanti si converrà che il libro più bello è anche il più duro, il meno disponibile a una utilizzazione gastronomica, è l'"Ospite ingrato", il primo "Ospite ingrato" per la precisione, che, esattamente 50 anni fa, nel 66, espresse con il massimo di clamore il "no" di Fortini, il radicale rifiuto di adeguarsi, l'inguaribile fedeltà a quel "sogno di una cosa" che spetta ai compagni, ovunque siano, tradurre in realtà.
Si citeranno forse, nella ricerca del migliore Fortini, altri titoli, le "Questioni di frontiera" per esempio, o le petulanti "Insistenze" degli anni 80. Ma alla fine in tanti si converrà che il libro più bello è anche il più duro, il meno disponibile a una utilizzazione gastronomica, è l'"Ospite ingrato", il primo "Ospite ingrato" per la precisione, che, esattamente 50 anni fa, nel 66, espresse con il massimo di clamore il "no" di Fortini, il radicale rifiuto di adeguarsi, l'inguaribile fedeltà a quel "sogno di una cosa" che spetta ai compagni, ovunque siano, tradurre in realtà.
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