Billy Wilder |
Vietato scrivere in un
copione hollywoodiano “Figlio di un cane”? Billy Wilder non si
arrende e aggira così la censura: “Se tu avessi un padre,
abbaierebbe”. Con umorismo caustico il regista viennese di A
qualcuno piace caldo incanta, ipnotizza e coniuga la più
sfrenata frivolezza, che qualcuno riterrà volgare, con la spietata
autopsia dell'umanità, scambiata per cinismo, come in L'asso
nella manica, il film che indignò pubblico e critica. Troppo
implacabile nel disegnare la geografia della crudeltà fatta di media
e spettatori sanguinari.
Nella memoria del re
della commedia (6 Oscar) non c'erano solo i filari di palme a Beverly
Hills, dove morì nel 2002 all'età di 95 anni, ma i ricordi di
madre, nonna e patrigno bruciati nei forni di Auschwitz, e la fuga
prima a Parigi e poi in America. Billie, che adottò la “y” per
sbarcare a Hollywood nel 1933, a chi gli chiedeva se era stata una
sua scelta abbandonare l'Europa rispondeva “No, è stata di
Hitler”.
C'è un interregno, però,
che spiega tutto di Billie e Billy, il dolce e l'amaro, la sua vita a
Berlino quando tra il '27 e il 30 esercitò il mestiere di
giornalista per diversi quotidiani popolari, e si allenò ad
osservare caratteri e fisionomie e a spiare le conversazioni per le
strade della Repubblica di Weimar.
Il regista di Quando
la moglie è in vacanza, Stalag 17, Irma la dolce,
La fiamma del peccato, prese appunti per i suoi capolavori
nelle vesti di “city editor”, un flaneur
molto speciale, autore di articoli di “vita autentica”,
antesignani del neorealismo, raccolti in un volumetto imprescindibile
Il principe di Galles va in vacanza (edizioni Lindau, pag.
220, 18 euro, 2016). Nel racconto che dà il titolo al libro, Wilder
scortica vivo il principe pavone, viveur d'alto rango sempre in prima
pagina per gli scandali di letto, l'Edoardo VIII che abdicherà sia
per amore di Wallis Simpson, l'americana pluridivorziata, sia per
quello del Fuhrer.
Il principe annoiato
dalla vita di corte non sa più dove andare, conosce India e
Indocina, Giamaica e Guyana, Ceylon e le isole Fiji, l'Australia poi
gli dà su i nervi, in quanto all'Egitto, “i coccodrilli stanno già
fischiettando il suo nome dalle piramidi”, e quindi decide per un
“simple” ranch in Canada, fornito di “sei bagni, due sale da
biliardo, una da bridge, una da ballo, tre bar e così via”. Meglio
di una pagina di storia sul futuro “re per una notte” indeciso se
indossare il frac rosso, l'abito da cow-boy o un completo lilla per
la cavalcata mattutina.
Gli scritti del
giornalista Billie scorrazzano soprattutto per le vie berlinesi,
protagoniste della sua prima sceneggiatura, Gente di domenica
(Menschen am Sonntag, 1930), diretto da futuri icone del
cinema, Robert Siodmak, Edgar G. Ulmer, Fred Zinnemann. Un film dove
Wilder mette a frutto le cronache cittadine per trascendere la realtà
e renderla superlativa. Articoli che vanno dall'uomo-portafortuna,
“grasso, calvo e con dei bei denti”, assunto da un imprenditore
perché sorrida sempre seduto davanti alla sua scrivania (Perfetto
ottimista cercasi), alla donna ingaggiata da pigri ricconi perché
desideri, per conto loro, ammazzare gli avversari in affari
(Intervista con una strega).
Sembra di stare tra le
pagine di Tre uomini a zonzo (1900), diario turistico di
Jerome K. Jerome, esilarante e cupo nel descrivere il tedesco che
ubbidisce agli ordini più aberranti, un racconto premonitore del
nazismo. Anche Billy Wilder immagina negli anni Venti, dopo la
catastrofe della Grande guerra, le macerie di Berlino. La svendita
dell'anima tedesca sarà esposta in Scandalo internazionale
('48), altro folgorante esempio di Billy il “doppio”, che sa
cucire insieme lo strazio di Black Market, cantato da Marlene
Dietrich, ammaliante spia tedesca, con la risata provocata da Jean
Arthur, deputata in missione venuta dall'Iowa, goffa e puritana.
I reportage berlinesi,
intrisi di spirito yiddish, sono fulminanti sonetti che dicono molto
del lessico cinematografico di Wilder, non solo per le battute
celebri, “Nessuno è perfetto”, inciso sulla sua lapide nel
cimitero di Westwood (I'm a writer. But then nobody's perfect),
Los Angeles, accanto all'amata e temuta Marilyn Monroe (“ottanta
ciak per dire Dov'è il mio bourbon?”). Ma soprattutto per il
lavoro linguistico, le ellissi e le iperboli, l'incoerenza sintattica
che gli fa scrivere “il viso del signor Isin sorride, giallo e
lontano” oppure “un signore in raglan e con una gamba rigida”.
Come nota la traduttrice (ottima) di Il principe di Galles va in
vacanza, Silvia Verdiani, il ritmo delle parole lo ritroveremo
nei copioni e le regie, da Viale del tramonto a Sabrina,
giochi di parole in versi, che ci fanno scoprire, sotterrato sotto
una coltre di gelido distacco, Billy il poeta. E Billy il “ballerino
a pagamento”. Lo fece davvero quando aveva i buchi nella giacca e
il colletto liso. Fu un gran successo, il racconto autobiografico,
Cameriere, un ballerino per favore!, storia di un ventenne
disoccupato, improvvisato danzatore per anziane signore in un locale
di Berlino. Usava così, e lui ballava “con le più snelle e con
quelle che bevono tisane dimagranti”.
sabato 24 settembre 2016,
pubblicato su Alfabeta 2
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