Il due dicembre del 1977 si svolse, in
concomitanza con lo sciopero della categoria, una grande
manifestazione dei metalmeccanici a Roma. All'evento Fortebraccio
(Mario Melloni) dedicò il suo quotidiano corsivo su “l'Unità”,
non graffiante come d'abitudine, ma denso di memorie importanti. Un
bel leggere in ogni caso. (S.L.L.)
Mario Melloni (Fortebraccio) con il presidente della Repubblica Sandro Pertini |
Lasciato il giornalismo
al tempo del delitto Matteotti, dopo molti anni di impiego a Genova,
passammo nel ’41 a Milano, dove lavorammo nella segreteria di due
grandi fabbriche, la Innocenti e la Vanzetti. I nostri primi amici
operai furono dunque tutti metalmeccanici: Porro, della Innocenti
(magazziniere, se ben ricordiamo), pur essendo giovane, era già un
vecchio comunista. Andavamo in casa sua la sera a discutere di
politica, e ci trovavamo quasi sempre d’accordo, ma non ci
chiamavamo ancora «compagno» perché il nostro passaggio al PCI era
ancora lontano. Alla Vanzetti entrammo subito in rapporti
cordialissimi con Casiraghi, Stabilini. una bellissima ragazza che
tutti chiamavamo sempre col solo cognome, la Bergamaschi, e Cerati.
Casiraghi ci salvò dall’arresto dei nazifascisti, che si sarebbe
concluso con la deportazione. facendoci fuggire in tempo attraverso
la porta secondaria di un magazzino appartato. Ancor prima Stabilini
e la Bergamaschi avevano organizzato infaticabili nella nostra
fabbrica, in stretto contatto con noi, lo sciopero del marzo; e
insieme a noi aspettarono imperturbabili che le SS dell'Hotel Regina,
preannunciate. venissero a prenderci. Non abbiamo mai saputo per
quale miracolo dell’ultimo momento non arrivarono, e fummo salvi.
Avevamo comunque deciso di assumerci noi tre per la Vanzetti la
responsabilità della manifestazione che rappresentò, negli
stabilimenti di Milano, il vero inizio della Resistenza cittadina.
Cerati, invece, arrivò
dopo l’8 settembre, avendo abbandonato, in Sicilia dove era stato
inviato a combattere, l'esercito in completo sfacelo. E ci raccontò
una storia così gustosa che non resistiamo alla tentazione di
ripetervela. Cerati era arrivato, dopo due giorni avventurosi e
faticatissimi di viaggio, finalmente alla stazione di Parma, dalla
quale si diramavano senza programmi prestabiliti e senza orari, treni
per le più svariate direzioni: la Riviera, Torino. Milano, Venezia e
altrove. Ma nessuno riusciva a saperne nulla in anticipo. Cerati era
travestito da prete, con una tonaca scrupolosamente abbottonata e il
suo breviario in mano. A un tratto scorse il capo stazione che, come
usava allora, portava una severa redingote. avendo in testa il
solito, fiammante berretto rosso. Si avvicinò al grave funzionario,
che rimaneva impassibile fra il caos circostante, e gli domandò
compunto, come immaginava che dovesse parlare un pio sacerdote:
«Scusi. signor capo, saprebbe dirmi qual è il treno che dovrà
partire per Milano?». Il capo stazione lo squadrò dalla testa ai
piedi e gli rispose calmo: «Sono un operaio anch'io, compagno. E
debbo andare a Voghera. Il capo stazione è tornato a letto, dopo che
l'ho spogliato».
Oggi abbiamo a Roma
metalmeccanici da tutta Italia, e noi sentiamo e sappiamo che se
anche quei cinque di allora non possono essere con loro (e forse
qualcuno di essi è purtroppo scomparso, i giovani metalmeccanici
succedutigli sono qui con lo stesso animo, la stessa fermezza e la
stessa ansia di giustizia che resero indispensabile alla rinascita
del Paese l’opera dei metalmeccanici di quei giorni. Essi erano in
prima fila, e voi, oggi, siete in prima fila non meno di quelli
d’allora con l’orgoglio di esservi divenuti compagni, noi vi
rivolgiamo il nostro saluto fraterno.
“l'Unità”, 2
dicembre 1977
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