Franco Fortini: lo
ricordo al tempo del Politecnico e lo ricordo polemizzare con Elio
Vittorini, quando sembrava che la sua vocazione razionalista dovesse
prevalere sull’eclettismo e sull'anarchismo di Elio. Lo rivedo al
mare a Bocca di Magra. Aveva una piccola casa in riva al fiume.
Fiumaretto si chiamava quel posto, che lasciò per trovarsi un'altra
casa, in collina, sopra Monte Marcello. Lo rivedo mentre legge e
soprattutto mentre scrive, quelle sue pagine fitte di una calligrafia
ordinata e precisa. Ho davanti agli occhi le sue lettere, bellissime
lettere che arricchiva di note a margine, di varianti e aggiunte,
come se stesse lavorando sulle bozze di un libro. Alcune le
riscriveva: erano magari quelle più polemiche, più dure nei
confronti di certi ambienti della cultura italiana, con il tono
sferzante, cui non sapeva rinunciare. Per questo forse non riusciva
ad avere amici o ne aveva pochi. Era capace di trattare male chi gli
stava appresso. Famose erano le sue liti. Una volta cacciò di casa
il povero Elvio Fachinelli. Bocca gli mandava messaggi e lui neppure
gli rispondeva. Nei confronti di Calvino ha sempre manifestato un
dissenso profondo. Capitava con altri nella nostra casa editrice,
nelle riunioni del mercoledì, e più di una volta si era augurato
che io mi liberassi «da quello che di morto e falso ti sei lasciato
deporre addosso». Si sentiva isolato, fermo su una sponda etica e
politica e per questo diverso da tanti altri. In questo rivelava la
sua forza e la sua purezza. «C’è un Piave - aveva detto in
un'intervista - e io sono su questo Piave. Pur sapendo che nessun
redentore e nessuna rivoluzione cambieranno l’intero mondo».
L’ultimo libro di poesie che pubblicammo, Composita solvantur
sembra rappresentare e racchiudere la poetica di una dissoluzione del
mondo e della propria decomposizione fisica. Però anche in quei
versi estremi si legge il coraggio e la fatica di un insegnamento e
la speranza che la sua verità continui ad essere recepita da
qualcuno. L'ultimo verso dice proprio: «proteggete le nostre
verità». Sente quanto è difficile trasmettere quelle «verità» e
come è difficile che gli intellettuali le riconoscano.
La polemica nei confronti
della cultura italiana è una costante della sua riflessione e del
suo lavoro. In una lettera si fermava sulla responsabilità di chi
non aveva saputo leggere gli anni Sessanta e protestava contro chi
aveva sistematicamente distorto la realtà sociale di quel decennio:
«di questo - diciamolo una buona volta - la responsabilità è dei
politici, degli storici e degli intellettuali di varia
intellettualità che hanno fatto di tutto per non dire una parola
seria sugli anni sessanta italiani e mondiali. Tu ne conosci i nomi:
sono spesso seduti con noi il mercoledì». Fortini, un uomo dritto
nel suo rigore, di formidabile cultura, grande poeta, polemista
inesauribile. Persino i titoli dei suoi libri (pensate a Verifica
di poteri) lo dicevano. Lo diceva la sua scrittura pungente e lo
dicevano i suoi versi che ricordano, nella originalità della sua
invenzione, quelli dei poeti preferiti, che generosamente aveva
voluto tradurre: come Brecht. come Eluard.
Purtroppo negli ultimi
tempi i nostri incontri si erano fatti rari. La sua malattia è stata
lunga, però non lo ha separato da un lucido e forte impegno. Ci ha
lasciato un diario, assolutamente inedito, le ultime considerazioni
dì una vita. Lo stava rivedendo, lo stava curando prima di
consegnarlo al suo editore. Tante pagine. Lo abbiamo visto, anche se
nessuno ancora ha potuto leggerlo. Speriamo di averlo presto, per
lasciare ai giovani d'oggi l'ultimo messaggio di colui che è stato
maestro per tanti giovani di tante generazioni diverse.
L'Unità, 29 novembre
1994
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