Mi viene in mente un altro referendum
costituzionale confermativo, quello in cui - purtroppo - passò il
Sì. Era il 2001. Il centro-sinistra, sferzato dal candidato premier,
il sindaco di Roma appena dimissionario, Francesco Rutelli, aveva
approvato, appena in tempo, l'ampia riforma del Titolo V della
Costituzione, che assegnava ampi poteri alle regioni.
A Rutelli, dati i tempi stretti, era
stata concessa la facoltà di scegliere lui tra l'approvazione di una
seria legge sul conflitto di interessi, approvata da un ramo del
Parlamento ma rimasta a lungo nei cassetti, e la riforma
costituzionale, cosiddetta "federalista", cui mancavano gli
ultimi passaggi parlamentari. Scelse il "federalismo"
regionale nella speranza di frenare il successo al Nord del Popolo di
Berlusconi e della Lega, appena rientrata nell'alleanza di destra
dopo la fase "secessionista" dei riti magici sul Po; e
anche per non alimentare, con la legge sul conflitto di interessi, il
vittimismo di Berlusconi.
Le elezioni andarono secondo le
previsioni. L'Ulivo, senza Rifondazione, guidato da Rutelli perse
(forse meno male di quanto ci si aspettasse), ma costui riuscì a
trasformare in partito l'alleanza elettorale della Margherita,
perdendosi solo i mastelliani e qualche "popolare" di peso
(Geraldo Bianco, per esempio): aveva tra i suoi pupilli il
giovanissimo Matteo Renzi, esponente a Firenze del PPI, di tradizione
fanfaniana. Qualche mese dopo le elezioni, il 7
ottobre 2001, si svolse il referendum confermativo richiesto dalle
Regioni di centro-destra. Bossi, al tempo potente ministro delle
Riforme, disse, spalleggiato dai berlusconidi, che quel referendum
non contava niente, che il nuovo governo avrebbe realizzato il vero
federalismo attraverso la "devolution". I Sì risultarono i
due terzi dei voti validi, ma a votare andò appena il 34%
dell'elettorato.
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