9.12.13

Addio ad Arthur Miller (Fernanda Pivano)

L’articolo che segue è il necrologio per lo scrittore e commediografo Arthur Miller, morto a Roxbury, nel Connecticut, nel febbraio 2005. Aveva 89 anni. (S.L.L.)

Arthur Miller, che aveva più o meno la mia età, appartiene alle glorie americane degli anni Quaranta. Io l’ho conosciuto nel pieno della sua gloria a New York a uno dei ricevimenti di Stella Adler, lì al Village. Era il 1956, e naturalmente Arthur Miller era lì col chiasso del suo successo per la Morte di un commesso viaggiatore del 1949, per Il crogiolo del 1953 e per Uno sguardo dal ponte del 1955.
Mi raccontava della sua drammatica avventura nella caccia alle streghe di Joseph McCarthy, già molto avanti, col passaporto già confiscato e il rischio di una incarcerazione che probabilmente sarebbe stata lunga quasi quanto quella di Dashiell Hammett; e non aveva l'aria di essere un granché contento. In vista di un futuro che sembrava poco promettente, era un po’ scartato dagli altri ospiti; e forse perché gli parevo fuori dalla mischia, mi aveva raccontato, con la freddezza con cui raccontava qualunque cosa, che stava per sposare Marilyn Monroe e questo significava la restituzione del passaporto per poterla accompagnare in Inghilterra a fare il film con Lawrence Olivier. I giornali ne parlavano già, figurarsi, e non mancavano di confrontare questo matrimonio con quello di Luisa Reiner, con un commediografo americano famoso.
Un po’ più tardi era arrivata al ricevimento anche Marilyn, una persona meravigliosa, dolce, tenera, quanto Miller era freddo e severo. Poi era venuto il film a Londra, la delusione di Marilyn per il ruolo che, nonostante le promesse, lui le aveva riservato ne Gli spostati , la moglie di Lee Strasberg stabile con lei nel suo torpedone per farle coraggio; e naturalmente il divorzio dopo quattro anni, la generosità commovente di Marilyn che gli lasciò una villa del Settecento nel Connecticut ma, come la bambina buona che era, volle prendere per sé solo la sua televisione, praticamente con gli occhi di tutto il mondo che accompagnavano lei con le sue lacrime e ormai coi suoi sedativi.
Ma proprio di quei sedativi ha parlato Miller subito, nel 1964, in Dopo la caduta, opera per la quale speriamo tutti che abbia chiesto perdono prima di morire; una speranza confortata dalla sua ultima commedia in vita, Finishing the Picture, rappresentata lo scorso anno al teatro Goodman di Chicago. Dopo quarant’anni Arthur Miller, forse già malato, aveva scritto questa commedia elegiaca, di ricordi di un uomo che ha conosciuto tutte le fragilità umane e, ormai, neanche tanto rassegnato quanto disposto ad accettarle come parte della condizione umana. Nella commedia (basata sull’ultimo film di Marilyn, Gli spostati del 1961, diretto da John Houston e scritto da Miller), compare una Marilyn in lotta con la depressione e vittima di quelle che Gregory Corso chiamava «le sostanze chimiche». La commedia era andata in scena il 5 ottobre a Chicago e le anteprime erano cominciate il 21 settembre 2004.
Il suo successo negli anni Settanta e Ottanta era calato e Miller, quando chiacchierava con noi a tavola, già sposato con la fotografa Inge Morath (nello stesso anno della morte di Marilyn), evitava con ostentazione di parlare di questi ricordi. Invece parlava per esempio dei commediografi famosi nella sua giovinezza, ricordava che Eugene O’Neill, quando Miller aveva cominciato negli anni Quaranta, era ignorato dalla critica e il suo linguaggio era considerato datato, raccontava i lavori che aveva fatto con Elia Kazan che stimava moltissimo, parlava molto delle fotografie di Inge Morath e invece non diceva neanche una parola di Marilyn Monroe, non parlava della figlia Rebecca che aveva pubblicato di recente la sua autobiografia mascherata da romanzo.
Che tristezza, quasi dolore, ascoltarlo. Perché era difficile dimenticare che, quando gli avevo telefonato qui a Milano per cenare insieme, mi aveva risposto che accettava solo se gli promettevo di non fargli domande su Marilyn Monroe. È un problema che tocca uomini che sposano donne più famose di loro, ma di solito almeno una parola, non dico di gratitudine, per carità, ma almeno di orgoglio per aver avuto la loro dedizione, sembra proprio che la debbano avere. 
Quando è uscita questa ultima commedia, abbiamo tutti sperato che questo avvenisse. Forse pensavamo alla dolcezza di lei e alla incredibile, anche se forse non sincera, freddezza di lui. La freddezza non era ancora esplosa quando aveva scritto, forse da moralista più che da politico, la commedia causa di qualche suo guaio, Il crogiolo, ma l’egemonia politica di allora rendeva verosimile la sua fiducia in un futuro forse troppo utopistico. Il suo futuro con Marilyn non sembrava utopistico. Ero amica dell’agente letterario di Miller, la sorella della nostra Voce dell’America, e mi raccontava che in questa famosa villa veniva sempre ad aprire la porta Marilyn come una brava cameriera d’altri tempi; dei tempi nuovi aveva l’abitudine di andare ad aprire la porta nuda. Mi pare che facesse bene: era troppo bella per non dare gioia a tutto il mondo, che l’adorava, e non soltanto a un uomo ricordato soprattutto per il suo moralismo e la sua freddezza.


Corriere della sera, 12 febbraio 2005

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