12.12.13

Italiani senza onore. Gli “sgomberi totalitari” in Jugoslavia (Frediano Sessi)

Riprendo qui la prima parte della recensione a un libro documentario a cura di Costantino Di Sante: Italiani senza onore, Ombre Corte, 2005. (S.L.L.)
L'orribile generale Mario Roatta
C'è un nuovo «armadio della vergogna», dopo quello che ha occultato le stragi naziste in Italia. Ma, questa volta, il teatro dei fatti è la Jugoslavia; gli anni quelli che vanno dal 1941 al 1943; responsabili gli italiani. Oggi la pubblicazione integrale dei documenti riguardanti i crimini commessi dal nostro esercito (i resoconti delle commissioni d'inchiesta e i memoriali di difesa dello stato maggiore) ci consente di fare alcune ipotesi sull'impunità dei «criminali» italiani (477 nominativi indicati dalla Jugoslavia, 497 aggiunti dalla Gran Bretagna, 6 dalla Grecia e 3 dall'Albania).
La politica di occupazione dei Balcani si contraddistinse per una serie ripetuta di violenze, angherie e sopraffazioni, che non furono il risultato di scelte isolate dei comandi militari, ma componente essenziale della strategia di dominio territoriale dell'Italia fascista, il cui scopo era arrivare alla «distruzione totale e integrale dell'identità nazionale slovena e croata». Con il passare dei mesi e il crescere di un movimento di resistenza slavo, l'occupazione diventò via via più feroce. La circolare del generale Mario Roatta del 1° marzo del 1942, che prevede di incendiare e demolire case e villaggi, uccidere ostaggi, internare massicciamente la popolazione e passare per le armi anche quelle famiglie in cui mancassero all'appello uomini in età adulta (potenziali «ribelli»), è un documento impressionante. Così come lo è il dispositivo emanato dal generale Robotti (agosto 1942) nel quale tra l'altro si legge: «Non importa se nell'interrogatorio degli arrestati si ha la sensazione di persone innocue. Ricordarsi che per infinite ragioni anche questi elementi possono
trasformarsi in nostri nemici. Quindi sgombero totalitario. (...) Non limitarsi agli internamenti».


Corriere della sera, 12/2/2005

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