Nella psicopatologia sessuale si incontrano
abbondanti riferimenti ai godemichés
(da gaude mihi), consolateurs o 'ricreatori',
come vengono talvolta chiamati questi congegni. Li troviamo riprodotti nella
scultura babilonese ed egizia, e sono conosciuti nei paesi dell'Asia orientale.
Falli di cera e analoghi artifizi erano comuni in Europa già al tempo del
Rinascimento, e conobbero il culmine della loro popolarità nella Francia del XVIII
secolo.
Un'accurata descrizione di uno di
questi strumenti la dà Mirabeu nel suo Le
rideau leve, ou l'Education de Laure (1786), dove viene descritto nei particolari
un apparecchio cavo, d'argento laccato, che è simile in tutto al pene naturale.
All'interno della sua cavità si trova un piccolo tubo in cui trova posto un
pistone. L'esterno del tubo è riempito d'acqua riscaldata alla temperatura sanguigna,
mentre l'interno contiene una soluzione alla quale viene trasmesso il calore
dell'acqua. Alcuni godemichés sono
forniti di piccoli spunzoni o punte di gomma per accrescere l'attrito…
L'autostimolazione per mezzo
dell'olisbos, cioè il fallo
artificiale, era già nota alle donne dell'antica Grecia, e la sua ampia
diffusione nel Medioevo provocò aspre denunce da parte del clero. I giapponesi
hanno dato prova di notevole ingegnosità nell'invenzione di alcune varianti di
questi strumenti, quali il Rino-Tama,
che le donne usano in posizione reclinata distese su amache o sedie a dondolo,
provando una viva eccitazione per l'effetto della vibrazione. Il Rino-Tama consiste di due sfere cave,
una delle quali contiene mercurio, palline vibranti o linguette metalliche, e
viene introdotta quando la prima sfera ha raggiunto l'utero, facendo muovere il
mercurio e rotolare le palline al minimo movimento addominale.
Nemmeno sulla Luna descritta da Luciano tali strumenti erano sconosciuti, perché lo scrittore racconta in Storia vera che i seleniti avevano « organi artificiali privati, che a quanto pare funzionavano assai bene. I ricchi li hanno d'avorio, i poveri di legno ».
Nemmeno sulla Luna descritta da Luciano tali strumenti erano sconosciuti, perché lo scrittore racconta in Storia vera che i seleniti avevano « organi artificiali privati, che a quanto pare funzionavano assai bene. I ricchi li hanno d'avorio, i poveri di legno ».
John Cohen, I Robot nel mito e nella scienza, De Donato, Bari, 1981
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