Per il trentennale della nascita di Charlie Brown e degli
altri Peanuts “la Repubblica” diffuse un dossier con tanti contributi critici,
da Eco a Placido. C’è anche la breve intervista non firmata a Charlie Schulz
che qui riprendo. Dovrebbe averla raccolta Chris Cimino. (S.L.L.)
Charles
Schulz, padre dei Peanuts, è anche capo della Creative Developments Inc., che
vende t-shirt, giochi, manifesti, libri, perfino pattini a rotelle, tutti ispirati
a Charlie Brown e compagni. Ormai è una piccola industria. Ma Schulz ritrova
se stesso, ogni giorno, solo al tavolo da disegno. A chiedergli quale
trasformazione è avvenuta nei suoi personaggi, che hanno trent'anni, risponde
pronto: «nessuna. Continuano a bearmi con la loro vita appena abbozzata».
Come sarebbe, abbozzata? Non fanno forse da commento al
nostro tempo?
«Bisognerebbe chiederlo a Lucy, che commenta sempre tutto.
Io però direi che se la prendono comoda : non si sognano di crescere. Per
questo non muoiono».
Charlie Brown non è autobiografico?
«In parte, solo in parte. Anch'io, da piccolo, ero sempre
indietro agli altri, come età, perché un anno avevo fatto due anni di scuola
insieme. Essendo più basso di statura di tutti i compagni, mi cacciavano
sempre dalla squadra di football. Proprio come lui, che sogna sempre di fare
il grande atleta e non ci riesce mai».
Allora?
«Allora niente. Un po' di me c'è anche negli altri. Perfino
in Lucy, con quella lingua».
E in Schroeder?
«Anch'io amo Beethoven. Certe volte, poi, viene anche a me di
voglia di poltrire come Snoopy. A pensarci, un casotto è meglio di una casa».
Già, a proposito di case: perché non ne disegna mai?
«Perché non mi riescono. Chissà dove abita Charlie Brown?
Chissà com'è la camera di Lucy? Io non ne ho la più pallida idea. Ma funziona
meglio così, l'immaginazione aiuta più della realtà».
Qual è il segreto dei Peanuts?
«Il loro segreto è un accorgimento tecnico. E' tutto nel disegno» .
Nei tratti appena accennati?
«No. Le mie strip si pongono sempre davanti agli occhi del
lettore rispettando l'altezza degli occhi del bambino, non dell'adulto.
Nessuno guarda i Peanuts dall'alto: l'identificazione è una spinta a tornare,
appunto, bambini».
Eppure in alcuni di loro si ritrovano gli umori del nostro tempo. Quel disastro di Linus, per esempio.
«Questo significa cercare il pelo, anzi Freud, nell'uovo.
So cosa si intende di solito: la coperta come presenza dell'inconscio e tutte
quelle cose là. Mah, io direi che Linus è quello che si rifiuta con più ostinazione
di crescere. Il fatto è che per tutti i Peanuts il mondo degli adulti è di una
noia mortale. Ai loro occhi hanno molto più senso le svolazzate di un
uccellino».
Ciononostante hanno carattere. Da dove gli viene?
Dalla realtà, si capisce. Ma è una realtà un po' fuori dal tempo. Quante bambine (come Lucy) non commentano i malesseri di un amichetto (come Linus) con parole udite dagli adulti, qualcosa come «oggi fa l'ipocondriaco»? E questo avviene oggi come ieri. Ecco perché durano».
Ciononostante hanno carattere. Da dove gli viene?
Dalla realtà, si capisce. Ma è una realtà un po' fuori dal tempo. Quante bambine (come Lucy) non commentano i malesseri di un amichetto (come Linus) con parole udite dagli adulti, qualcosa come «oggi fa l'ipocondriaco»? E questo avviene oggi come ieri. Ecco perché durano».
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