Un'immagine dell'Università di Poznan |
C'era stata la stagione di
Gomulka, che aveva suscitato notevoli speranze di rinnovamento, ma era finita
con la rivolta di Danzica del 1970. Ricordo che visitai la Polonia nel novembre
1979, prima che nascesse Solidarnosc, e trovai una situazione insostenibile,
non solo per l'onnipresente mercato nero della valuta occidentale, che pure
era già un sintomo preoccupante, ma per la distinzione castale vigente in una
società retta in teoria da princìpi egualitari. Per esempio i professori
universitari mangiavano robustamente in un ristorante da cui gli assistenti
erano esclusi, una scena comica. E poi c'era un clima generalizzato di
scetticismo fatalistico. «Finché dura, dura», parevano pensare tutti.
Con Aldo
Schiavone e Andrea Carandini, facevo parte di una delegazione dell'Istituto
Gramsci: il nostro compito era presentare un dotto volume dal titolo Analisi
marxista e società antiche. A Poznan parlammo di fronte a tre studiosi -
presidente, vicepresidente e segretario dell'accademia locale - più qualche
bidello scritturato per fare numero. E basta. Eppure eravamo una delegazione
ufficiale del Gramsci chiamata a intervenire in una sede autorevole della
Repubblica popolare polacca.
Era l'ennesima conferma del vuoto, del fallimento
cui si era ridotto il sistema, dopo lo sperpero del vasto patrimonio di
consenso che Gomulka aveva accumulato nel 1956.
da Intervista sul potere, Laterza, 2013
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