Quasi quarant’anni fa, appena
uscite nella prestigiosa collana I Meridiani le Poesie del Porta a cura di Dante Isella, Giovanni Raboni dettò per il neonato "Tuttolibri" de “La Stampa” la recensione che segue, giusto plauso alle fatiche del traduttore
e filologo “portista”, con acutissime notazioni sulla poesia dello charmant Carline. (S.L.L.)
Devo dirlo: non ho mai dubitato
della grandezza di Carlo Porta. Non si tratta di preveggenza critica, ma di una
situazione di privilegio specifico: del
fatto, cioè, che essendo nato a Milano da genitori milanesi non ho mai avuto
difficoltà a intenderne il dialetto. In linea generale, resta invece verissimo
quanto osserva Dante Isella nell'introduzione alla sua più recente, e davvero
decisiva, fatica di studioso e garante della poesia portiana: «Il capitolo
dedicato a Carlo Porta dalle nostre storie letterarie... aveva quasi sempre
fino a ieri un po' il taglio e il tono del capitolo "stravagant"...»:
mentre, secondo Isella, il suo posto è « in compagnia del Parini e del Manzoni
» nell'ambito di quella cultura lombarda che attuò, tra la fine del Settecento
e i primi vent'anni dell'Ottocento, « il più profondo moto di rinnovamento
della cultura, dell'arte e, prima ancora, della vita morale italiana»; e
accanto al Manzoni e al Leopardi « frattura del romanticismo europeo ».
Nel tener lontano il Porta dallo status
che senza il minimo dubbio gli compete, l'ostacolo del dialetto ha funzionato
in almeno due sensi: da un lato, rendendo difficile o impossibile ai lettori
non milanesi una compiuta assimilazione dei valori semantici e stilistici dei
testi portiani; dall'altro, agendo (magari a livello inconscio) come
discriminante di genere o addirittura di categoria, secondo il vecchio
pregiudizio contro il quale lo stesso Porta, rispondendo a un articolo pedante
e altezzoso di Pietro Giordani, scagliava nel 1816 le tremende, esilaranti
frecciate dei suoi Dodes sonitt all'Abaa
Don Giavan.
Ma torniamo al nostro poeta,
torniamo, anzi, al suo curatore princeps, per dire che con questo splendido
volume Isella ha aggiunto ai suoi molti meriti di critico e di filologo quello di
aver corredato ogni testo portiano di una limpidissima traduzione in prosa
italiana: una traduzione ch'egli definisce, con modestia, «puramente servile»,
ma che proprio da questa precisione e limitatezza d'intenti ricava le virtù di
un'incantevole trasparenza.
Disponiamo insomma, finalmente,
di un Porta accessibile al più grande numero di lettori, oltre che di un Porta
davvero completo e presumibilmente ne
varietur, data l'aggiunta al corpus delle Poesie di quell'aurorale Lava piatt del Meneghin ch'è mort che,
ignoto sino a pochi anni fa, lo stesso Isella ha scoperto e pubblicato, e considerata
la qualità del testo, del commento e degli apparati. Ed è certo questa, che
felicemente coincide con il secondo centenario della nascita del poeta,
l'occasione migliore, e il migliore strumento, per il suo definitivo «lancio»
fra i massimi nomi della letteratura italiana ed europea dell'Ottocento.
A questo proposito, una
precisazione, o meglio una proposta. Verissimo che il Porta merita il figurare
con il Parini e il Manzoni fra i protagonisti della cultura lombarda nella
straordinaria pienezza del suo trapasso, anzi della sua trasfusione fra istanze
illuministiche e fermenti romantici. Verissimo che il Porta, e solo il Porta, è
degno di essere incluso, accanto allo stesso Manzoni e al
Leopardi, nell'unica « triade »
accettabile che si possa escogitare nel campo della letteratura italiana
moderna. Ma è anche vero, a mio avviso, che non si rende completa giustizia
alla grandiosità e complessità del suo mondo espressivo e del suo sapere umano
se non lo si accosta, secondo un'ottica spregiudicatamente anticipatrice, anche
ai Balzac, ai Dickens, insomma agli eccelsi rappresentanti del romanzo realista
borghese — di quel romanzo che l'Italia non ha avuto e che pure, nell'ampia,
pietosa, terribile orchestrazione della sua fantasia sociale, l'autore del Marchionn e del Giovannin Bongee ha potentemente prefigurato.
Poeta-romanziere se mai ve ne
furono (e questo spiega una volta di più, da un diverso punto di vista, la
lunga diffidenza oppostagli dalla critica ufficiale, ancorata al
privilegiamento idealistico-crociano della poesia lirica), il Porta è andato
ben al di là dei limiti della satira civile, nel senso di una rappresentazione
totale della commedia umana nella quale signori e paria, persecutori e vittime
appaiono coinvolti e trascinati (pur restando chiarissimo, sempre, da che parte
si sente e vuol essere il poeta) nella spirale di un unico, comicissimo,
sconvolgente party sado-masochistico, vasto e gremito come un giudizio
universale.
"Tuttolibri - La Stampa", Anno I, n.1, sabato 1° Novembre 1975
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