Lobbia |
REGÌA: Oltre a quello
tuttora in auge di “direzione dell’allestimento di uno spettacolo teatrale,
della lavorazione di un film o di una trasmissione televisiva” il termine ebbe
a lungo il significato di “monopolio”, di “privativa”.
LOBBIA: “Cappello da uomo, floscio, a tese piuttosto larghe, con
una infossatura nel mezzo”. Prende il nome del deputato italiano Cristiano
Lobbia (1826 – 1876) che ne lanciò la moda, credo involontariamente.
Appendice storica
Lo scandalo della Regìa dei
tabacchi
e l’attentato a Cristiano Lobbia
Il governo della Destra storica, quella che guidò il neonato Regno
d’Italia fino alla “rivoluzione parlamentare” del 1876, non fu quell’esempio
assoluto e cristallino di buongoverno che qualcuno racconta, specialmente negli
anni di Firenze capitale (1866-1870), e con i governi extraparlamentari più
legati al Savoia. Tra i ministeri più chiacchierati tra il 1868 e il 1869 ci
furono i tre di Menabrea che era senatore del Regno e non deputato elettivo. Il
re galantuomo, Vittorio Emanuele II, non soltanto considerava riserva di caccia
privata i dicasteri della Guerra e della Marina, ma anche quello delle Finanze.
Nel gabinetto Menabrea ministro delle Finanze era addirittura Cambray-Digny,
ch’era anche prefetto di palazzo della Real Casa e pertanto uomo del re. I
bisogni della Corona erano grandi, anche perché il Padre della Patria aveva una
caterva di figli illegittimi, effetto delle sue battute di caccia, al cui
futuro provvedere: non meno di cento, forse addirittura duecento. Fatto sta che
Cambray-Digny, nel giugno 1868, nella disperata ricerca di soldi, decise la
privatizzazione della Regìa dei tabacchi.
Invano si oppone Quintino Sella, esponente della destra pulita:
l'appalto toccò a un «pool» di banche italiane e straniere. Ne era personaggio
di spicco Balduino, direttore del Credito Mobiliare Italiano ma dietro di lui
si nascondeva il finanziere livornese Pietro Bastogi, già accusato d'aver
corrotto politici e giornalisti per l'acquisto delle Ferrovie Meridionali.
Balduino era considerato abilissimo distributore di azioni e di mazzette: si
parlava di una sessantina di parlamentari cointeressati all’acquisto e di una
tangente di 6 milioni per la Maestà del Re.
Dai banchi della Sinistra uno dei più intransigenti moralizzatori era
l'onorevole Cristiano Lobbia, un
ingegnere di Asiago che aveva partecipato con Garibaldi alla liberazione delle
Due Sicilie. Quando lo scandalo stava per assopirsi, il 5 giugno 1869, il
deputato lo rilanciò con un gesto teatrale: mostrò alla Camera un grosso plico
che, a suo dire, conteneva le prove della corruzione dell'onorevole
Civinini, anche lui ex garibaldino,
famoso per essere passato dalla sinistra alla destra nello spazio di un
tramonto. Il Parlamento di Firenze nominò quasi
una commissione d'inchiesta, che convocò Lobbia per la mattina del 16 giugno. Ma la notte precedente il
deputato venne aggredito per strada da uno sconosciuto che gli assestò una
bastonata sulla testa e lo ferì al braccio sinistro con un pugnale. La notizia
dell'attentato (subito ricollegato all'affare dei tabacchi) suscitò viva
emozione: manifestazioni di solidarietà al deputato si svolsero nei giorni
seguenti in varie città italiane e si conclusero con gravi incidenti a Milano,
ove la folla reclamava “mani pulite”.
Il Lobbia aveva
verosimilmente spaventato i potenti coinvolti nell'affare della Regìa, ma i documenti in suo possesso,
pur delineando infatti un quadro di corruttela, non sembravano contenere
concreti di prova decisivi.
In breve tempo fu trasformato da moralizzatore a mitomane. Il ministro
guardasigilli Pironti, da cui all'epoca dipendeva il potere giudiziario, affidò
l'inchiesta della procura di Firenze sull'agguato in via dell'Amorino a un uomo
di propria fiducia trasferito appositamente da Bologna, il conte De Foresta. Le
testimonianze in favore del deputato, numerose e pertinenti, furono
sistematicamente distorte o ignorate. Stessa sorte toccò al parere formulato
dai periti nominati dal tribunale. Viceversa venne dato il massimo risalto a
tutti quei particolari che sembravano ridurre il tentato omicidio a una messa
in scena. Lobbia subì l’onta della
condanna e la sua riabilitazione, in appello, avvenne qualche anno dopo, quando
dello scandalo nessuno parlava più.
Paolo Valera che, cinquant’anni dopo, tracciò un fosco quadro di quegli
anni, che lo stesso Garibaldi aveva definito “tempi borgiani”, sembra convinto
che l’attentato fosse opera di sbirri o di sicari governativi, che da molti
giorni seguivano l’ingegnere veneto. Egli fa poi riferimento ad una serie di
morti sospette di possibili testimoni della corruzione o dell’aggiustamento del
primo processo: “Sono stati tutti spenti di morte «subitanea»”. La più
clamorosa fu quella di un tal Scotti, un diciottenne testimone oculare del
tentato omicidio, morto misteriosamente al rientro nel suo paese, in provincia
di Cremona, e sepolto senza accertamenti. La magistratura cremonese ordinò
l’esumazione del cadavere per il sospetto di avvelenamento, ma il ministro
della giustizia, il Pironti la bloccò. I giornali della sinistra parlavano di
“pillola Scotti”. Altri morti sospetti avevano fama di possedere lettere e
ricevute comprovanti la corruzione messa in atto dal banchiere Balduino.
Il deputato della Sinistra ebbe comunque una gran fama in quel 1869:
c’erano giacche alla Lobbia e circolò al prezzo di due lire e cinquanta
centesimi una medaglietta con la sua effigie. Il più fortunato di tutti fu un
cappellaio toscano, che lanciò come Lobbia
una bombetta con l’ammaccatura, ricordo delle bastonate. La moda di quel
cappello durò molto di più del ricordo dello scandalo ed è tuttora attestata
dai vocabolari. (S.L.L.)
Fonti:
Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, Garzanti
Dizionario Biografico degli Italiani, Enciclopedia Treccani
Paolo Valera, Il cinquantenario in "Intratext"
Fruttero e Gramellini, Lobbia e bastone, La Stampa, 28 febbraio 2010
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