15.12.13

Orwell: il naso e lo sguardo (Piergiorgio Bellocchio)

Riprendo l’ultima parte di un articolo di Bellocchio su Orwell. A parte la felicissima scelta della citazione, mi pare che egli colga non solo i caratteri distintivi dell’arte orwelliana, ma anche alcune sue importanti parentele. (S.L.L.)

Irving Howe ha detto felicemente di Orwell: "Aveva il miglior naso della sua generazione: la sua mente poteva a volte tradirlo, il suo naso mai". Ma queste antenne così eccezionalmente sensibili agli odori immondi della miseria, dell'ingiustizia e della menzogna non sono, sappiamo, un dono di natura. Presuppongono una scelta etica netta, integrale, esigono un esercizio coerente e ostinato. La giustizia e l'eguaglianza, prima ancora di essere obiettivi politici, erano per Orwell la misura a cui conformare gli atti dell'esistenza quotidiana, l'occhio, il "fuoco" dell'attenzione.
Da La strada di Wigan Pier: "Sul retro d'una di quelle case, una giovane donna, ginocchioni sulle pietre, frugava con un bastone nella tubatura di piombo che proveniva dall'acquaio interno e che suppongo fosse ingorgata. Ebbi tempo di vedere ogni cosa di quella donna, il grembiule di tela di sacco, i suoi goffi zoccoli, le braccia arrossate dal freddo. Ella alzò lo sguardo al passaggio del treno, e io fui quasi sul punto di incontrare quello sguardo. Aveva il volto pallido e tondo, la solita faccia esausta della ragazza di slum, che ha venticinque anni e ne dimostra quaranta, grazie ad aborti e fatiche; ed era improntata, quella faccia, alla più desolata, disperata espressione che io abbia mai visto. Mi colpì allora il pensiero che noi tutti ci sbagliamo quando diciamo che per loro non è la stessa cosa che sarebbe per noi, che la gente cresciuta nelle baracche e in vicoli sordidi non può immaginare altro che baracche e vicoli sordidi. Perché ciò che vidi nella sua faccia non era l'ignara sofferenza di un animale. Ella era ben consapevole di quanto le stava accadendo, capiva chiaramente come me che terribile sorte sia doversene stare ginocchioni nel freddo intenso, sulle viscide pietre di un retro di baracca, a frugare con un bastone in un tubo di scarico intasato di sporcizia.".
Non ci può essere vero impegno politico né vera arte che non passino attraverso questa specie e questo grado di coscienza e responsabilità. Gli infiniti lettori del Faust e di Resurrezione credo si siano chiesti tutti almeno una volta se Goethe e Tolstoj non avessero un po' esagerato sulla tragica sorte di Gretchen e Katiuscia. Da che mondo è mondo milioni di umili ragazze sono state sedotte e abbandonate dal giovanotto ricco. Che poi nella semifeudale Russia ottocentesca il padrone andasse a letto con la domestica, era la regola e spesso veniva considerato dalla domestica un privilegio. Non è realistico, non è verosimile, non è per niente "tipico" che, per essere state tradite, due ragazze diventino prostitute e omicide. Ma contro il "realismo" ha ragione la "verità" di Goethe e Tolstoj. Può anche darsi che quella donna non fosse così disperata e consapevole come Orwell l'ha vista, ma ha ragione Orwell di volerla così disperata e consapevole.


Da Uno da cui imparare, “Linea d’ombra” n.31, ottobre 1988

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