A fine ottobre è stato
scongiurato dall’impegno militante di alcuni amici e, infine, da un intervento
del Comune lo sfratto dalla casa che abita a Roma, in Via Medaglie d’Oro per il regista
Giuseppe Ferrara, autore, tra l’altro, di film assai importanti nella cinematografia
antimafia come Il sasso in bocca e Cento giorni a Palermo.
Riprendo qui
l’articolo di ricordi, corto e sugoso, con cui Saverio Lodato ha commentato la
notizia su “Antimafia 2000”, il 10 novembre scorso. (S.L.L.)
Giuseppe Ferrara |
Si deve anche a registi come
Giuseppe Ferrara se in Italia esiste qualche briciolo di coscienza civile.
Almeno questo non dovrebbe essere dimenticato.
Lo conobbi a Palermo, in anni
assai lontani, sul set del film Cento
giorni a Palermo che rievocava epopea e morte del generale Carlo Alberto
Dalla Chiesa, in cui volle affidarmi la
piccola parte di un giornalista che trasmetteva in diretta dal luogo
della "strage della Circonvallazione". Strage – era il 16 giugno del
1982 e nessuno la ricorda più - con cui i mafiosi palermitani fecero un "favore"
a quelli catanesi eliminando Alfio Ferlito (boss etneo in rotta di collisione
con Nitto Santapaola del quale tentava di usurpare il predominio), che veniva
tradotto dal carcere di Enna a quello di Trapani, passando per Palermo. Insieme a Ferlito, furono assassinati tre
carabinieri, Salvatore Raiti, Silvano Franzolin, Luigi Di Barca, e l’autista
Giuseppe Di Lavore, che lavorava per una ditta privata che aveva in appalto il
trasporto dei detenuti. Questa strage
rappresentò il fatto di sangue più eclatante che diede il "benvenuto"
di mafia, se così si può dire, al prefetto Dalla Chiesa che si era insediato da
appena qualche settimana.
Un Dalla Chiesa, interpretato nel
film di Ferrara, scusate se è poco, da Lino Ventura, mostro sacro del cinema
italo-francese (e quando Ventura arrivava sul set, dai primi attori all’ultime
comparse, sembrava che per un attimo si bloccassero tutti in segno di istintivo
rispetto verso chi, da solo, rappresentava un pezzo assai significativo del
cinema migliore di quegli anni).
Se non ricordo male, Ferrara mi
fece rifare la parte una decina di volte. Il fatto è che dovevo fare i conti
con un elicottero della polizia che volteggiava basso sul finto luogo della
strage e l’assordante rumore copriva la mia voce che invece avrebbe dovuto -
almeno nelle intenzioni di Ferrara - sentirsi forte e chiara, come ha da essere
la voce dei giornalisti d’assalto e d’inchiesta … o, almeno, come dovrebbe
essere... e come dovrebbe sentirsi … Ricordo Ferrara ripetere, quasi con
ossessione professionale: "più forte, più forte … si sente troppo
l’elicottero …". Come Dio volle, la scena andò e finì dentro il film. Dove
ancora oggi riposa … E lo stesso Ferrara tirò un sospiro di sollievo.
Cento giorni a Palermo ebbe una vitalità straordinaria (il film è
del 1984) e non ha smesso di andare avanti, di replica in replica, sui canali
televisivi più disparati. Per i palermitani quel film equivalse a uno choc,
perché talmente veritiero e aderente ai fatti che, ogni volta, che lo si
rivedeva, era come assistere ancora una volta, dal vivo, all’autentica strage
di via Carini, dove "era morta la speranza dei siciliani onesti",
come mano anonima scrisse su un muro.
L’Italia dimentica tutto. Eroi,
vittime e maestri.
Lunga vita a Giuseppe Ferrara. Si
facciano conoscere i suoi film ai giovani, mille volte meglio di certe fiction
di mafia sponsorizzate da una tv spazzatura. E lunga vita a Ferrara in una casa
in cui potrà rimettere ordine nei suoi ricordi, nei suoi pensieri, nelle sue
idee.
Ché ricordi ne avrà tanti, mentre
per quanto riguarda le idee, parla la sua filmografia, sempre dalla parte dei
deboli, dei poveri, degli ultimi. Una filmografia la cui voce, ancora oggi, si
sente "forte" e "chiara".
Per chi la vuole ascoltare.
saverio.lodato@virgilio.it
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