Di Brenno Tilli, litografo e
anarchico, conoscevo i taze-bao che incollava davanti alla sua bottega di via
Bartolo, antimilitaristi, anticlericali, antimassonici, senza rispetto per
nessun potere e nessun potente, fatti di una frase incisiva, scritta in grafia
originale, talora corredata di un disegno. Nel 1992, per le elezioni politiche,
Primo Tenca, che al tempo era segretario della sezione cittadina di
Rifondazione ed era stato vicinissimo a Tilli, produsse un manifesto che ne
utilizzava lo stile e l’idea: la P2 non è fiction, il 5 aprile non Mancare, mandali a casa; seguiva l’invito
al voto. Quel “P2 Manca” diversamente colorato era stato inventato da Tilli come riferimento a Enrico Manca, notabile
socialista, presidente RAI e capolista in Umbria, presente negli elenchi della
loggia di Gelli, specializzata in affari loschi e progetti eversivi. Tra le
undici e mezzanotte di venerdì tre aprile, ultima ora utile, i militanti di
Rifondazione di Perugia ne affissero copia in tutti gli spazi destinati al
partito, ma l’indomani non c’era traccia dei manifesti, interamente ricoperti
dagli attacchini di Manca. Quando, nel martedì postelettorale, Rifondazione
volle celebrare con un comizio il proprio successo nella provincia di Perugia
(l’11 per cento dei voti, più del Psi di Craxi e Manca) il palco donde parlò la
Castellina era circondato interamente da quei manifesti.
Fu una vittoria postuma di Tilli;
un’altra, dopo il libro con le foto dei suoi taze-bao dal titolo SignorNO che la Regione dell’Umbria
aveva edito nel 1990, nell’immediatezza della morte, andato a ruba. Ne aveva
scritto la prefazione l’allora presidente Mandarini, la cui Giunta aveva
superato più d’una resistenza per la pubblicazione. C’era stato un gruppo di
artigiani e cittadini, che aveva fatto pressione sul Comune perché l’esperienza
della bottega di Brenno, ultimo di una dinastia di artigiani litografi, non
andasse dispersa e si esponessero in un minimuseo le pietre e le altre
attrezzature. Il Comune conservò in un suo deposito i materiali, ma qualche
tempo dopo, per fare spazio, un ignoto dipendente li fece collocare all’aria
aperta. Fu forse la nostra denuncia a salvare dalle intemperie quei
monumenti/documenti di storia del lavoro già malridotti. Ora attendono al
coperto che se ne faccia un qualche uso. La bottega di via Bartolo, intanto, è
chiusa dal 1990.
Di Brenno Tilli, del suo orgoglio
di lavoratore, del suo anarchismo, dell’impegno in difesa degli oppressi,
contro la guerra, il militarismo, le menzogne e le ruberie del potere, ho
parlato con Tenca. “C’erano tre botteghe vicine, quella di Brenno, il
timbrificio umbro e quella orafa di Brunori, ove io lavoravo. Quando pensava e
preparava un manifesto dei suoi, coinvolgeva me e Mario Zucchetti, del
timbrificio. C’era sempre una grande emozione in lui. Aveva subito
sopraffazioni nel tempo fascista, veniva da una grande storia. Una volta venne
a cercarci come disperato: s’era rotto l’attrezzo con cui incideva sulla pietra
le scritte dei manifesti. Faticammo per rimettere a posto la punta di diamante,
ma riuscimmo nell’opera. Gli occhi gli ridevano: era felice”.
A Tilli, il cui nome “barbarico” sembra
già contenere una sfida alle retoriche, è stato accoppiato il mazziniano
storico Guglielmo Miliocchi in una serata perugina dal titolo Abbasso il papa, abbasso il re. Da anni l’associazione di Porta Santa
Susanna, con successo di pubblico, promuove dibattiti, che hanno come tema momenti
e aspetti, noti o meno noti, della storia cittadina. E’ un pubblico variegato, quello
della Sala Santa Chiara, luogo deputato degli incontri: il professionista
insieme al docente universitario, la vigilessa insieme alla maestra o all’impiegata
in attività o in quiescenza. L’età media è comunque piuttosto alta e spicca un nutrito
gruppo di artigiani in pensione: quasi tutti avevano bottega in centro o nei
rioni contigui quando, quaranta o cinquant’anni fa, lo spazio urbano era ancora
contenitore di attività produttive.
Il 13 dicembre a rievocare le due
figure del Novecento accomunate dall’ostilità verso preti e monarchi, erano due
ricercatori: Gianluca D’Elia, che ha tratto materia dall’archivio di Miliocchi,
e Benedetta Pierini, storica della fotografia, che ha studiato la storia
artigiana dei Tilli, moderati e assistiti da Franco Bozzi, storico
semiufficiale del socialismo umbro. Di Miliocchi si è ricordato un episodio di
disobbedienza: dopo l’uccisione del re Umberto I si rifiutò di partecipare alla
giornata di lutto proclamata dal Comune e si presentò regolarmente a scuola per
il suo servizio di maestro. Fu licenziato, ma non lasciato nell’indigenza. Affratellato
alla Massoneria, sebbene antimonarchico, continuava a godere di qualche
solidarietà nella classe dirigente: il Comune gli affidava periodicamente degli
incarichi, mentre per suo conto esercitava un’attività pubblicistica. Negli
anni del fascismo fu un po’ più dura e per qualche tempo dovette perfino fare
il giornalaio. D’Elia ha soprattutto illustrato documenti che inserivano
Miliocchi in una rete di relazioni internazionali e nazionali, da Ezio e
Giuseppe Garibaldi (nipote) a Pacciardi e La Malfa.
Per Tilli sono mostrate molte
foto di manifesti, inclusi uno antiManca e un altro contro la massoneria nel
suo insieme. Sono stati apprezzati soprattutto quelli anticlericali.
A disturbare l’idillio è stata una domanda dal pubblico, che lo stesso autore ha definito scivolosa: stanno bene insieme la figura di un massone e quella di un anarchico che rifiutò sdegnoso l’affiliazione (diceva “non ho voluto aderire al partito comunista, figurati se posso entrare in una loggia”), ed era ostile alle pratiche dei Liberi Muratori? La domanda è scivolata via senza risposta. Ne tento io una approssimativa. La massoneria perugina, che un tempo organizzava i gruppi dirigenti locali, ha sempre affiancato le pratiche del potere al culto di Giordano Bruno ed ha usato la laicità per l’esercizio di un’egemonia. Non ha mai amato i liberi pensatori che non s’intruppavano, gli anticlericali indipendenti, e spesso (è il caso di Capitini e Binni) li ha combattuti. Oggi la massoneria, anche a Perugia, conta meno sia nelle carriere burocratico-professionali che negli affari, ma non ha esaurito le sue velleità egemoniche; sicché fuori dalla riservatezza delle logge ama esporsi come rappresentante dell’intero mondo laico e democratico. Per questo tende a inglobare, a collocare tra i propri “compagni di strada” figure come quella di Tilli. Insomma, la massoneria è una chiesa.
A disturbare l’idillio è stata una domanda dal pubblico, che lo stesso autore ha definito scivolosa: stanno bene insieme la figura di un massone e quella di un anarchico che rifiutò sdegnoso l’affiliazione (diceva “non ho voluto aderire al partito comunista, figurati se posso entrare in una loggia”), ed era ostile alle pratiche dei Liberi Muratori? La domanda è scivolata via senza risposta. Ne tento io una approssimativa. La massoneria perugina, che un tempo organizzava i gruppi dirigenti locali, ha sempre affiancato le pratiche del potere al culto di Giordano Bruno ed ha usato la laicità per l’esercizio di un’egemonia. Non ha mai amato i liberi pensatori che non s’intruppavano, gli anticlericali indipendenti, e spesso (è il caso di Capitini e Binni) li ha combattuti. Oggi la massoneria, anche a Perugia, conta meno sia nelle carriere burocratico-professionali che negli affari, ma non ha esaurito le sue velleità egemoniche; sicché fuori dalla riservatezza delle logge ama esporsi come rappresentante dell’intero mondo laico e democratico. Per questo tende a inglobare, a collocare tra i propri “compagni di strada” figure come quella di Tilli. Insomma, la massoneria è una chiesa.
"micropolis", dicembre 2013
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