Nel trentennale dei Peanuts, “la
Repubblica” in un suo speciale pubblicò – tra gli altri – l’articolo qui
postato che delle celebri strisce racconta le origini e spiega il duraturo
successo. (S.L.L.)
Charles Schulz, nonostante quello
che dice, è uno dei più formidabili osservatori della realtà quotidiana,
specialmente di quella nascosta. Quando, 32 anni fa, appena venticinquenne, si
presentò a un giornale con una serie di vignette di Charlie Brown, gli dissero:
«Questo ragazzo vede tutto nero, come può piacere ai bambini?».
Ma Schulz sapeva bene che Charlie
Brown esisteva: immusonito, ingenuo, buono come la pasta, sempre all'inseguimento
di trionfi sognati che non si traducevano mai in realtà. Sapeva anzi che
parlava proprio così e che piaceva ai suoi coetanei. «Sono un uomo finito»,
diceva Charlie Brown. «la vita è più forte di me». E se qualcuno, spinto a
compassione, gli domandava: «Ma insomma, si può sapere cosa ti piacerebbe
fare?», lui. pronto, rispondeva: «Vincerne due su tre».
Che fosse l'immediato dopoguerra,
esattamente il 1948, può non voler dire nulla, però anche l'America come
Charlie Brown era frustrata, chiusa nella trappola della guerra fredda, che non
riusciva a vincere. Coincidenza? Forse. Ma come si spiega, allora, che Schulz
sfondò due anni dopo quando, accanto a Charlie Brown, mise l'allegra brigata
degli altri Peanuts, proprio nel momento in cui sui campus universitari —
accanto a gonne scozzesi, calzini bianchi arrotolati e pullover aderenti nelle
ragazze, e tanta brillantina nei capelli a coda di rondine dei ragazzi —
comparve l'esuberanza sfrenata del boogie-woogie?
Intendiamoci: non che i Peanuts
riflettessero tutte quelle cose. Tutt'altro. Ma, con la loro assennatezza quasi
patriarcale, l'ironia delle loro voci stridule, e il buon senso che trasudava
odore di casa anche nei loro sospiri, non costituivano forse il rovescio di una
medaglia dove la nuova generazione sembrava avviata all'impazzimento?
Laddove languiva il sassofono di
Gerry Mulligan, i Peanuts opponevano il pianoforte di Schoroeder. Le ragazze
scoprivano le beatitudini della rinuncia alla verginità leggendo J. D. Salinger
e Dylan Thomas? Lucy rimproverava l'ingenuità di Charlie Brown con un piglio da
zia. E di sesso, nemmeno a parlarne. I Peanuts erano arroccati in una provincia
(americana) che non voleva essere travolta.
Per Schulz, a quell'epoca, il
successo arrivò da un giorno all'altro. Improvvisamente, da ogni parte del
paese si chiedevano le sue strips.
Charlie Brown era diventato un eroe. Che piacesse anche ai giovani che stavano
per passare dalle cantine affumicate dei beatniks
alle luci psichedeliche del rock'n'roll.
Quel bambino con la testa rotonda
lo notarono pochi. Il più grande umorista del “New York Times”, Russell Baker,
ve¬niva capito solo dagli adulti quando af¬fermava: «La saggezza di tutti i
tempi è racchiusa nelle parole di Mose e di Char¬lie Brown».
C'era, si capisce, un
bell'involucro di snobismo, nell'ostentare la passione quotidiana per i
Peanuts. Ma, come lo stesso Schulz ha detto più volte, c'era anche un mondo in
cui la realtà veniva superata dal fantastico. In qualche modo l'America
presentiva la bufera, e si premuniva rifugiandosi nella tradizione.
Nel decennio che segue, e poi più
avanti negli anni sessanta, con la guerra e i campus incendiati, ai Peanuts
accade un fatto passato quasi inosservato: Charlie Brown esce di scena o quasi
Imperversano gli altri, per mesi interi. Schulz gli preferisce Lucy. Ma se Lucy
riflette una rabbia collettiva, e Charlie Brown farà bene a tenersi da parte,
per non soffiare sul fuoco del pessimismo generale, il vero protagonista rimane
lui. sempre, anche quando non c'è: o perché di lui si parla, o perchè si intuisce
come lui risolverebbe, da vero Candide voltairiano, qualsiasi tenzone.
Non è virtù da poco, questo aver
resistito all'usura del tempo ed essere passato illeso attraverso le tempeste
che hanno sconvolto la società americana negli ultimi trent'anni. Ma Charlie
Brown ci è riuscito... Dopo il «decennio di fuoco», affiancato dai soliti
amici, comparve in un film. Cinque anni prima i Peanuts avevano fatto il loro
ingresso alla televisione.
E non a caso. Fu intorno la 1965.
infatti che la telecamera si soffermò con più insistenza sulle esplosioni della
realtà rivoluzionaria: il contraltare della violenza era il mondo asciutto e
immutabile dei Peanuts. Un rifugio nel caos.
Poi raggiunsero lo schermo
grande, e nel 75 entrarono nella United Features, l'organizzazione che li vende
in tutto il mondo. Schulz intende trasferire le loro vicende, almeno per un po’,
sui campi da tennis di Wimbledon (che Charlie Brown ce la faccia, questa volta,
a «vincerne due su tre»?); poi al Grand Prix automobilistico di Montecarlo, poi
in lunghi viaggi intorno al globo. Vivranno in eterno, ma come, se non
ponendosi sempre mezzo metro al di sotto della realtà spicciola? Schultz mente,
definendoli «fantastici». E. naturalmente, sa di mentire, altrimenti, come
potrebbe essere il padre di Charlie Brown?
Nessun commento:
Posta un commento