Forse ero distratto, ma non mi
sono accorto che nell’anno di grazia che volge al termine ci sia stata una
solenne celebrazione dei 50 anni dalla morte di Piero Manzoni. Un ricordo della
sua luce e della sua morte ho trovato nella biografia di Bianciardi di Corrias.
Lo recupero e lo espongo: credo che il genio di Manzoni meriti un ricordo.
(S.L.L.)
Torna, nei racconti di tutti, il
lampo di Piero Manzoni, comparso per seminare arte concettuale e andarsene via
subito, cirrosi epatica a ventotto anni. Occhi sgranati, faccia da ragazzo,
abiti da studente clochard, che ai tavoli del Giamaica (negli anni di Luciano)
e a quelli dell'Oca d'oro vendeva alle signore, per diecimila lire, il diploma
firmato di "culo artistico", disegnava linee chilometriche, e dopo la
notte al cabaret, se ne andava a fare l'alba all'Ortomercato, dove una
trattoria sfamava quelli che avevano scaricato i camion di frutta e verdura, e
se dormiva, dormiva lì, sotto a qualche tettoia.
E’ morto nel suo studio di via
Fiori Chiari, trovato la mattina dopo, giorno 7 febbraio 1963. Uliano Lucas,
fotografo, si ricorda della sera prima: "Avevamo girato fino a tardi. Lui
aveva intercettato una ragazza ed era sparito con lei. Il resto è storia".
Cochi: "Piero si portava dentro questa forza autodistruttiva, ma non
faceva trapelare nessuna sofferenza. Era geniale. Lucido. Lavorava moltissimo e
non dormiva mai. Quando ha inscatolato la sua famosa 'merda d'artista', mi ha
detto: vedrai che un giorno diventerà oro. Certo che aveva deciso di
suicidarsi, ma non ne parlava, non si lamentava, non faceva piagnistei. Beveva
e basta".
Pino Corrias, Vita agra di un anarchico. Luciano
Bianciardi a Milano, Feltrinelli, 2011
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