11.12.13

Ava Gardner: «Faccio cinema solo per soldi» (Michele Anselmi)

Ava Gardner
«Non ho mai ingoiato una dose eccessiva di barbiturici per poi chiamare il mio agente, non sono mai stata chiamata a rispondere di reati e non mi precipito dallo psicanalista ogni due minuti. E' già un buon risultato. Essere una diva è una gran scocciatura. Faccio l'attrice solo per soldi». Finalmente libera dalle dorate catene hollywoodiane, Ava Gardner rispondeva così, nell'ultimo periodo della sua carriera, ai giornalisti insistenti che le chiedevano interviste. Aveva fatto un'eccezione, otto anni fa, per Lietta Tornabuoni, che l'aveva incontrata a Monastir sul set del kolossal televisivo A.D. Anno Domini. A sessant’anni compiuti, Ava Gardner faceva la viziosa Agrippina Minore, la madre quarantaquattrenne di Nerone assassinata per ordine del figlio. Diceva del personaggio: «Un orrore di donna, una pericolosa miscela di seduzione, crudeltà e intelligenza. Le donne aggressive, dominanti non mi piacciono. Ma neppure recitare m'è piaciuto mai: sono molto pigra o poco sicura».
Chissà se era vero. Certo non si divertiva più tanto a lavorare. Ammesso che fosse mai successo. Alla Metro, dove era stata in contratto per diciassette anni, insegnavano altre cose: «Truccarsi, ballare, portare bene i vestiti e pronunciare bene le parole, montare a cavallo, stare a dieta, sorridere, fare ginnastica. Se disubbidivi ti toglievano lo stipendio, e quando pensavi di essere ormai una star, ti davano apposta particine umilianti».
L'unica vera libertà che s'era presa, all'inizio della carriera, riguardava il cibo. Per le ragazze della Metro era prevista una dieta rigida a base di formaggio fresco e frutta, ma lei, nata Lucy Johnson a Boon Hill, nelle campagne del North Carolina, faceva colazione a base di pollo fritto, granturco e biscotti caldi e faceva il bis a mezzogiorno. E beveva, beveva, un po' per far scena e un po' per stordirsi. Probabilmente non era una grande attrice, però aveva quel non so che fa Mito, anche quando ricordava ai suoi estimatori di essere «solo una presenza sullo schermo». Autolesionista, autocritica, gagliarda e corteggiatissima, parlava dei suoi mariti (Mickey Rooney, Artie Shaw, Frank Sinatra) e dei suoi flirt (Luis Dominguin, John Huston, George Scott) con la tenerezza che si riserva agli amici. 
Ava Gardner tra David Niven e Walter Chiari
Anche quando, come nel caso del nostro Walter Chiari, la cronaca «rosa» sopravanzava tutto il resto (ricorderete la rissa con quel «paparazzo» nei dintorni di Via Veneto). In più di un'occasione, Chiari ha rievocato quella travolgente love story che gli procurò a metà degli anni Cinquanta, l'invidia di molti italiani e la sorpresa di molti americani. La stessa invidia che torna, con qualche notazione cattiva, nelle pagine del libro di Roland Flamini dedicato all'attrice (Rizzoli, 1983). State a sentire: «Tutto l'inglese che parlava Walter Chiari poteva stare comodamente in un francobollo, ma, come aveva detto una volta Hemingway, riuscivano a dirsi tutte le cose importanti. In ogni caso, il nuovo amico italiano risvegliò in Ava l'istinto materno. E per lanciare sul piano internazionale il fidanzato accettò di girare La Capannina, una specie di commedia brillante leggermente erotica destinata sin dall'inizio a far fiasco».
In effetti, seminudo dentro la pelle di leopardo e senza una battuta nei panni del buon selvaggio sull'isola, il povero Chiari si trovava a rivaleggiare con due marpioni dello schermo come David Niven e Stewart Granger un disastro annunciato, insomma, che l'innamoratissima Ava accettò di buon grado, pur di lavorare con quel milanese magro e spiritoso che le ricordava tanto il suo «Francis» (Sinatra). A pensarci bene, una conferma dell'indole imprevedibile di questa diva ribelle e spendacciona che faceva dannare i funzionari della Metro ogni volta che cominciava un film (eppure non è simpatica un'attrice che invece di provare i vestiti di scena se ne va in un ritrovo di travestiti per gustarsi un'imitazione di Gloria Swanson?).

“l’Unità”, 26 gennaio 1990 

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