Ava Gardner |
«Non ho mai ingoiato una dose
eccessiva di barbiturici per poi chiamare il mio agente, non sono mai stata
chiamata a rispondere di reati e non mi precipito dallo psicanalista ogni due
minuti. E' già un buon risultato. Essere una diva è una gran scocciatura.
Faccio l'attrice solo per soldi». Finalmente libera dalle dorate catene
hollywoodiane, Ava Gardner rispondeva così, nell'ultimo periodo della sua
carriera, ai giornalisti insistenti che le chiedevano interviste. Aveva fatto
un'eccezione, otto anni fa, per Lietta Tornabuoni, che l'aveva incontrata a
Monastir sul set del kolossal televisivo A.D.
Anno Domini. A sessant’anni compiuti, Ava Gardner faceva la viziosa
Agrippina Minore, la madre quarantaquattrenne di Nerone assassinata per ordine
del figlio. Diceva del personaggio: «Un orrore di donna, una pericolosa miscela
di seduzione, crudeltà e intelligenza. Le donne aggressive, dominanti non mi
piacciono. Ma neppure recitare m'è piaciuto mai: sono molto pigra o poco
sicura».
Chissà se era vero. Certo non si
divertiva più tanto a lavorare. Ammesso che fosse mai successo. Alla Metro,
dove era stata in contratto per diciassette anni, insegnavano altre cose:
«Truccarsi, ballare, portare bene i vestiti e pronunciare bene le parole, montare
a cavallo, stare a dieta, sorridere, fare ginnastica. Se disubbidivi ti
toglievano lo stipendio, e quando pensavi di essere ormai una star, ti davano
apposta particine umilianti».
L'unica vera libertà che s'era presa,
all'inizio della carriera, riguardava il cibo. Per le ragazze della Metro era
prevista una dieta rigida a base di formaggio fresco e frutta, ma lei, nata
Lucy Johnson a Boon Hill, nelle campagne del North Carolina, faceva colazione a
base di pollo fritto, granturco e biscotti caldi e faceva il bis a mezzogiorno.
E beveva, beveva, un po' per far scena e un po' per stordirsi. Probabilmente
non era una grande attrice, però aveva quel non so che fa Mito, anche quando
ricordava ai suoi estimatori di essere «solo una presenza sullo schermo».
Autolesionista, autocritica, gagliarda e corteggiatissima, parlava dei suoi mariti
(Mickey Rooney, Artie Shaw, Frank Sinatra) e dei suoi flirt (Luis Dominguin,
John Huston, George Scott) con la tenerezza che si riserva agli amici.
Ava Gardner tra David Niven e Walter Chiari |
Anche
quando, come nel caso del nostro Walter Chiari, la cronaca «rosa» sopravanzava
tutto il resto (ricorderete la rissa con quel «paparazzo» nei dintorni di Via
Veneto). In più di un'occasione, Chiari ha rievocato quella travolgente love
story che gli procurò a metà degli anni Cinquanta, l'invidia di molti italiani
e la sorpresa di molti americani. La stessa invidia che torna, con qualche
notazione cattiva, nelle pagine del libro di Roland Flamini dedicato
all'attrice (Rizzoli, 1983). State a sentire: «Tutto l'inglese che parlava Walter
Chiari poteva stare comodamente in un francobollo, ma, come aveva detto una
volta Hemingway, riuscivano a dirsi tutte le cose importanti. In ogni caso, il
nuovo amico italiano risvegliò in Ava l'istinto materno. E per lanciare sul
piano internazionale il fidanzato accettò di girare La Capannina, una specie di commedia brillante leggermente erotica
destinata sin dall'inizio a far fiasco».
In effetti, seminudo dentro la
pelle di leopardo e senza una battuta nei panni del buon selvaggio sull'isola,
il povero Chiari si trovava a rivaleggiare con due marpioni dello schermo come
David Niven e Stewart Granger un disastro annunciato, insomma, che
l'innamoratissima Ava accettò di buon grado, pur di lavorare con quel milanese
magro e spiritoso che le ricordava tanto il suo «Francis» (Sinatra). A pensarci
bene, una conferma dell'indole imprevedibile di questa diva ribelle e
spendacciona che faceva dannare i funzionari della Metro ogni volta che cominciava
un film (eppure non è simpatica un'attrice che invece di provare i vestiti di
scena se ne va in un ritrovo di travestiti per gustarsi un'imitazione di Gloria
Swanson?).
“l’Unità”, 26 gennaio 1990
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