11.12.13

Arthur Miller drammaturgo (Franco Cordelli)

Marcello Mastroianni, Paolo Stoppa, Rina Morelli e Franco Interlenghi
provano "Morte di un commesso viaggiatore" (regia di Luchino Visconti)
al teatro Eliseo di Roma 
Un ricordo personale di Arthur Miller. Solo un 'immagine. Nel 1988 l'Università di Urbino gli conferì una laurea honoris causa. Aveva, a quell'epoca, settantatré anni. Forse li dimostrava, ma aveva anche quell'aria, che hanno gli americani, di eterna giovinezza, come fossero tutti figli di Huckleberry Finn e fratelli del «Vecchio Holden». Miller era circondato da studenti e professori e riceveva congratulazioni e segni di riconoscimento con assoluta levità. Si pensava, allora, che fosse uno scrittore del passato, anzi di un passato remoto, che la sua storia fosse finita con la morte di Marilyn Monroe e con il suo dramma, Dopo la caduta del 1964, scrìtto per raccontare quella drammatica vicenda. Ma tre anni dopo, nel 1991, pubblicò Svolte, la sua autobiografia, un libro bellissimo. Come bellissimo e sottovalutato è il dramma del 1997 II mondo di Mr Peters.
Il mondo di Mr Peters è una ricapitolazione. Il suo protagonista somiglia all'autore: un tipo non troppo dissimile da altri personaggi romanzeschi che abbiamo amato negli ultimi anni. Mr Peters è lamentoso come il Ravelstein di Saul Bellow e recriminante come l'Ira Ringold di Philip Roth, il Roth di Ho sposato un comunista. Hanno in comune un'umile origine, un padre callista (Peters e Ringold) e l'ossessione puritana del bene e del male (tutti e tre). Ma Mr Peters, di suo, ha l'orgoglio. Anche nel più profondo dell'inferno, egli resta se stesso, non si pente, è una specie di Capaneo del nostro tempo. E’ inutile che sottolinei le astuzie del Mondo di Mr Peters. Sono, in fondo,
i ferri del mestiere, il frutto di un lavoro che era cominciato sessantanni prima.
Ma quella specie di puzzle che è il dramma scritto, con allegria, superatigli ottanta, già lo troviamo nei testi più famosi di Miller, scritti tra i trenta e i quarant'anni: Erano tutti miei figli del 1947, Morte di un commesso viaggiatore del 1949, Uno sguardo dal ponte del 1955. In questi drammi, che segnano un 'epoca, ritroviamo un problema compositivo che riguarda il tempo: come se a decidere le sorti di tutto fosse solo il tempo. Il tempo svela la verità, ovvero corrode le certezze, ciò che si era acquisito. Occorre risalire indietro negli anni, per capire che cosa è successo. Questi tre drammi, meglio degli altri, segnano l'epoca nel senso che fissano le cause degli accadimenti non già nelle ragioni esistenziali, ma nelle ragioni sociali. Si direbbe che le ragioni esistenziali siano addirittura acquisite: sono solide, incorruttibili, se si corrompono è solo perché intervengono fattori esterni troppo potenti. Al centro di tutto c'è la famiglia, la famiglia patriarcale, con il suo mondo affettivo, che si è costituito a prezzo di gravi sacrifici. Ma il padre industriale, protagonista di Erano tutti miei figli per difendere i figli suoi aveva messo a repentaglio i figli degli altri costruendo in modo sbrigativo pezzi degli aerei che avrebbero traversato l'oceano per combattere la guerra contro i tedeschi. E così, dice Miller, che cresce su se stesso il sistema capitalista. O è così che a volte costruiamo la sicurezza nostra e dei nostri. Lo stesso tema torna, alla rovescia, in Morte di un commesso viaggiatore; dominante qui è il sentimento dell'insuccesso, se non si viene a patti non si conviene a nulla. Poi, il tono da melodrammatico si fa tragico. In Uno sguardo dal ponte un operaio di origine italiana paga con la vita il rifiuto di accettare le leggi mafiose che dominano il mondo degli scaricatori portuali.
Quasi dieci anni dopo, il cambiamento di rotta apparve brusco. Dopo la caduta cos'altro era se non un dramma esistenziale, nella stagione in cui l'esistenzialismo consumava le ultime risorse? Non fu l'unica accusa rivolta a Miller. Gli si rimproverò di aver amato la Monroe e di averla per così dire abbandonata. Dopo la caduta, che retrocedeva indietro nel tempo, fu letto come un tentativo di discolpa, ma fissava uno dei miti del XX secolo: l'enorme difficoltà di tenere insieme fascino e dominio del fascino, bellezza e utopia intellettuale.


“Corriere della Sera”, 12/2/2005

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