Marcello Mastroianni, Paolo Stoppa, Rina Morelli e Franco Interlenghi provano "Morte di un commesso viaggiatore" (regia di Luchino Visconti) al teatro Eliseo di Roma |
Un ricordo personale di Arthur
Miller. Solo un 'immagine. Nel 1988 l'Università di Urbino gli conferì una
laurea honoris causa. Aveva, a quell'epoca, settantatré anni. Forse li
dimostrava, ma aveva anche quell'aria, che hanno gli americani, di eterna
giovinezza, come fossero tutti figli di Huckleberry Finn e fratelli del
«Vecchio Holden». Miller era circondato da studenti e professori e riceveva
congratulazioni e segni di riconoscimento con assoluta levità. Si pensava,
allora, che fosse uno scrittore del passato, anzi di un passato remoto, che la
sua storia fosse finita con la morte di Marilyn Monroe e con il suo dramma, Dopo la caduta del 1964, scrìtto per
raccontare quella drammatica vicenda. Ma tre anni dopo, nel 1991, pubblicò Svolte, la sua autobiografia, un libro
bellissimo. Come bellissimo e sottovalutato è il dramma del 1997 II mondo di Mr Peters.
Il mondo di Mr Peters è una ricapitolazione. Il suo protagonista
somiglia all'autore: un tipo non troppo dissimile da altri personaggi
romanzeschi che abbiamo amato negli ultimi anni. Mr Peters è lamentoso come il
Ravelstein di Saul Bellow e recriminante come l'Ira Ringold di Philip Roth, il
Roth di Ho sposato un comunista.
Hanno in comune un'umile origine, un padre callista (Peters e Ringold) e
l'ossessione puritana del bene e del male (tutti e tre). Ma Mr Peters, di suo,
ha l'orgoglio. Anche nel più profondo dell'inferno, egli resta se stesso, non
si pente, è una specie di Capaneo del nostro tempo. E’ inutile che sottolinei
le astuzie del Mondo di Mr Peters.
Sono, in fondo,
i ferri del mestiere, il frutto
di un lavoro che era cominciato sessantanni prima.
Ma quella specie di puzzle che è il dramma scritto, con
allegria, superatigli ottanta, già lo troviamo nei testi più famosi di Miller,
scritti tra i trenta e i quarant'anni: Erano
tutti miei figli del 1947, Morte di
un commesso viaggiatore del 1949, Uno
sguardo dal ponte del 1955. In questi drammi, che segnano un 'epoca,
ritroviamo un problema compositivo che riguarda il tempo: come se a decidere le
sorti di tutto fosse solo il tempo. Il tempo svela la verità, ovvero corrode le
certezze, ciò che si era acquisito. Occorre risalire indietro negli anni, per
capire che cosa è successo. Questi tre drammi, meglio degli altri, segnano
l'epoca nel senso che fissano le cause degli accadimenti non già nelle ragioni
esistenziali, ma nelle ragioni sociali. Si direbbe che le ragioni esistenziali
siano addirittura acquisite: sono solide, incorruttibili, se si corrompono è
solo perché intervengono fattori esterni troppo potenti. Al centro di tutto c'è
la famiglia, la famiglia patriarcale, con il suo mondo affettivo, che si è
costituito a prezzo di gravi sacrifici. Ma il padre industriale, protagonista
di Erano tutti miei figli per difendere
i figli suoi aveva messo a repentaglio i figli degli altri costruendo in modo
sbrigativo pezzi degli aerei che avrebbero traversato l'oceano per combattere
la guerra contro i tedeschi. E così, dice Miller, che cresce su se stesso il
sistema capitalista. O è così che a volte costruiamo la sicurezza nostra e dei
nostri. Lo stesso tema torna, alla rovescia, in Morte di un commesso viaggiatore; dominante qui è il sentimento
dell'insuccesso, se non si viene a patti non si conviene a nulla. Poi, il tono da
melodrammatico si fa tragico. In Uno
sguardo dal ponte un operaio di origine italiana paga con la vita il
rifiuto di accettare le leggi mafiose che dominano il mondo degli scaricatori
portuali.
Quasi dieci anni dopo, il
cambiamento di rotta apparve brusco. Dopo
la caduta cos'altro era se non un dramma esistenziale, nella stagione in
cui l'esistenzialismo consumava le ultime risorse? Non fu l'unica accusa
rivolta a Miller. Gli si rimproverò di aver amato la Monroe e di averla per
così dire abbandonata. Dopo la caduta,
che retrocedeva indietro nel tempo, fu letto come un tentativo di discolpa, ma
fissava uno dei miti del XX secolo: l'enorme difficoltà di tenere insieme
fascino e dominio del fascino, bellezza e utopia intellettuale.
“Corriere della Sera”, 12/2/2005
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