La pubblicazione in Francia, nel 1976, del primo volume della Storia della sessualità di Michel Foucault (La volontà di sapere) suscitò polemiche e discussioni. Nei fatti il filosofo che aveva accompagnato con l’ardita sua riflessione alcune battaglie “sessantottine” di liberazione (la psichiatria, il manicomio e il carcere, per esempio) sulla sessualità sembra assumere una posizione ostile a quello che Marcuse chiamava “nuovo disordine amoroso”, sostenendo che liberazione sessuale e repressione sessuale, nella modernità, vanno insieme e sono l’una e l’altra strumento di un potere che si esercita sui corpi. La Chiesa in primo luogo e poi lo Stato, a partire dal Seicento, elaborano una casistica dei divieti che è anche uno straordinario ampliamento dei margini del piacere.
Nel disegno di Foucault a questa storicizzazione del nesso potere-sapere-piacere nella modernità, doveva seguire una sistematica genealogia, in diversi volumi, che esaminasse i passaggi decisivi nella costruzione del sapere sessuale dell’Occidente a partire dall’antichità greco-romana. In realtà dopo La volontà di sapere, dei sei volumi progettati solo altri due videro la luce (L’uso dei piaceri,1984, e La cura di sé, 1984), che fermano la ricognizione tra la fine dell’antichità classica e le prime elaborazioni della Patristica cristiana.
“L’Espresso” pubblicò nel suo primo numero del 1977 una densa valutazione critica firmata V.R. (Valerio Riva) e una lunga intervista a cura al maestro francese, a cura di Lucette Finas, quella qui postata. (S.L.L.)
Proverbi illustrati: La prudenza è madre della saggezza |
PARIGI,
Un nuovo libro del
filosofo francese Michel Foucault sta provocando un vero terremoto. Si intitola
La volontà di sapere, ed è il primo
volume di una Storia della sessualità
che consterà di almeno sei volumi. Foucault impiegherà diversi anni a completarla.
[…]
Che cosa dice di così esplosivo
questo libro? Semplicemente rovescia una delle principali tesi su cui si basa
il pensiero laico moderno (e una parte della sua pratica politica): che da tre
secoli a questa parte, il potere (prima la Chiesa, poi la borghesia) ha
represso il sesso; e che la strada della liberazione dell'uomo passa anche
attraverso la liberazione del sesso. Non è vero, sostiene Foucault. «Bisogna
abbandonare una volta per tutte l'ipotesi», scrive, «che le società industriali
moderne abbiano inaugurato a scapito del sesso un'epoca di accresciuta
repressione. Non soltanto assistiamo ad una evidente esplosione delle
sessualità eretiche. Ma soprattutto (e questo è l'importante) un dispositivo
molto diverso dalla legge, anche se localmente si appoggia su procedure di
interdizione, assicura in realtà la proliferazione di piaceri specifici e la
moltiplicazione di sessualità disparate. Il potere, in tutte le sue istanze, ha
messo una grande cura nell'ignorare ciò che esso stesso sembrava proibire. Il
sesso non ha mai ricevuto come ora tanta attenzione palese e prolissa; mai ci
sono stati più contatti e legami circolari tra potere e sesso; mai in tante
alcove s'è dato fuoco, insieme, all'intensità dei piaceri e all'ostinazione dei
poteri». Raccontando la storia della follia, invece, Foucault aveva descritto
il potere proprio come una costante entità repressiva. Che cosa ha indotto il
filosofo a cambiar parere? Lo chiediamo direttamente a lui.
R. E' vero. Ho cambiato idea. Il momento di transizione ha coinciso
proprio con la stesura del mio saggio sull' Ordine
del discorso. Cosa è cambiato nel mio modo di pensare, alla base? La
concezione del potere. Che rapporto ha questo cambiamento col fatto che mi sono
messo a riflettere sulla sessualità e sul sesso Cercherò di spiegarmi. Fino a quel momento, accettavo anch'io la
tradizionale concezione del potere. Che il potere fosse, cioè, un meccanismo essenzialmente
giuridico: il potere che fa la legge, che impone il divieto, che dice di no.
Poi mi sono accorto che questa concezione è del tutto inadeguata. Non spiega né
che cos'è né come funziona davvero il potere. Mi era sembrata una concezione
ancora sufficiente, mentre scrivevo la Storia
della follia, ma perché la follia è un caso molto privilegiato. Tre
secoli fa il potere si è esercitato sulla follia soprattutto nella forma della
esclusione. Vale a dire: tre secoli fa lo Stato ha preso il pazzo, dalla
strada, dalla vita comune, lo ha espulso dalla società e l'ha cacciato in
manicomio. Ecco perché, finché studiavo la follia e la sua storia, non ho avuto
problemi nell'usare una concezione puramente negativa del potere. Ma appena mi
sono messo a studiare la sessualità, quella concezione non m'è bastata più.
D. Come è avvenuto?
R. E' successo tra il 1971 e il 1972. In quei due anni mi sono
molto interessato al problema delle prigioni. Studiando la penalità, la pena e
la punizione, mi sono accorto che sarebbe stato sbagliato considerarle semplicemente
in termini di diritto. Bisognava invece prenderle in termini di tecnologia, di
tattica e di strategia. Tecnologia della punizione; tattica e strategia della
pena. E cos'è successo? Mi sono messo a scrivere il mio libro Sorvegliare e punire. Ho cercato di
sostituire alla tradizionale griglia giuridica e negativa, una griglia tecnica
e strategica. Ho visto che funzionava. E me ne sono servito anche per la Storia della sessualità.
D. Chi ha letto la sua Storia della follia nell'età classica non può certo dimenticare l'immagine che lei dà della grande follia barocca rinchiusa e ridotta al silenzio. In pieno Seicento, in tutta Europa, c'è un gran daffare a costruire manicomi. Lei ora vuol dire che l'epoca moderna mentre ha imposto silenzio alla follia, ha sciolto la lingua al sesso?
R. Esattamente. Tra follia e sessualità esistono certamente una
serie di relazioni storiche molto importanti. Ma io, mentre scrivevo la Storia della follia, non me n'ero
accorto. Avevo in testa a quell'epoca di scrivere due
storie parallele: una doveva essere la storia dell'esclusione subita dalla follia e delle
successive compartimentazioni avvenute come conseguenza di quella esclusione;
l'altra doveva essere una storia delle limitazioni che si sono operate nel
campo della sessualità: sessualità permessa e sessualità proibita, normale e
anormale, sessualità delle donne e sessualità degli uomini, degli adulti e dei
bambini... Pensavo allora a tutta una serie di partizioni binarie che avrebbero
a loro modo riprodotto la più grande ripartizione tra "ragione" e
"sragione" che io avevo tentato di ricostituire a proposito della
follia.
D. E invece?
R. E invece mi sono accorto che nello stesso secolo, il Seicento,
avvenivano due fatti apparentemente contrastanti. Mentre la follia era oggetto
di operazioni essenzialmente negative, la sessualità rilevava a proprio conto
tutta una serie, invece, di "investimenti" positivi. Poi, a partire
dal 19. secolo, è avvenuto un fenomeno assolutamente fondamentale: due grandi
tecnologie del potere si sono ingranate tra di loro: quella che ordiva la trama
della sessualità e quella che procedeva alla messa in disparte della follia.
Risultato? Anche la tecnologia che riguardava la follia è passata da negativa a
positiva; da binaria è diventata complessa e multiforme. Nasce allora quella
grande "tecnologia della psiche" che è uno dei tratti fondamentali
del nostro Ottocento e Novecento. Questa tecnologia della psiche ha preso il
sesso e lo ha fatto diventare, da una parte, la verità nascosta della coscienza
razionale, e dall'altra, il senso decifrabile della follia. E nel trasformare
il sesso in una specie di senso comune sia alla follia che alla coscienza, ne
ha fatto anche uno strumento che permette di metter le mani sia sull'una che
sull'altra, con le stesse modalità.
D. Ma questo modo di vedere non può dar luogo a pericolosi malintesi? Sarebbe come se, parlando dell'Inquisizione, invece di mettere in evidenza la repressione che essa ha esercitato sull'eretico, si ponesse l'accento sulla "volontà di sapere" che presiede alla tortura...
R. No, non c'è nessun malinteso. E' vero: io ho spostato l'accento.
Ho fatto apparire dei meccanismi positivi là dove di solito si usa evidenziare
meccanismi negativi. Ma prendiamo il caso della penitenza come la intendono i
cattolici. Si è sempre detto che il cristianesimo nella penitenza sanziona la
sessualità, perché attraverso l'esercizio di questo sacramento autorizza certe
forme di sessualità e punisce tutte le altre. Ma cosa c'è al centro della penitenza
cristiana? C'è la confessione, cioè l'ammissione di colpa e l'esame di
coscienza. Da qui derivano una se rie di effetti teorici: per esempio, la
grande analisi della concupiscenza fatta dai tecnici religiosi della confessione
nel 17° secolo. E di effetti pratici: la nascita di una pedagogia della
sessualità, prima clericale e poi laicizzata e medicalizzata. Ma c'è poi anche
il modo in cui le varie istanze o i vari ingranaggi del potere traggono piacere
dall'esercizio del potere stesso. Prendiamo per esempio il potere di
sorvegliare. Nella sorveglianza, anzi più precisamente nel modo di guardare che
hanno i sorveglianti, c'è qualcosa che non è estraneo al piacere di sorvegliare
e al piacere di sorvegliare il piacere. Esistono infine anche meccanismi di
ritorno messi in moto da questo compiacimento che il potere prova nel proprio
stesso esercizio. Per esempio, le esplosioni di isteria che si sono manifestate
negli ospedali psichiatrici durante la seconda metà dell'Ottocento sono state
appunto un meccanismo di ritorno. Sono state cioè il contraccolpo al modo in
cui veniva esercitato il potere psichiatrico. Quelle esplosioni di isteria
hanno letteralmente "gettato in faccia" agli psichiatri il
"corpo isterico" dei loro malati. E dicendo "gettato in
faccia", voglio esprimere le dimensioni dello choc che quelle esplosioni
hanno rappresentato per la scienza (e l'ignoranza) degli psichiatri
ottocenteschi. Ma sarebbe lecito sostenere che quel contraccolpo sia stato
voluto dagli psichiatri? No. Tutto è avvenuto a loro insaputa e contro la loro
volontà.
D. E' questo il punto importante del suo nuovo libro?
R. No. La cosa più importante è la dimostrazione di come si possa
mettere in opera un potere che si esercita direttamente sul corpo. Il
tentativo, cioè, di dimostrare come i rapporti di potere possono materialmente
passare attraverso lo spessore dei corpi, senza dover esser scambiati con la
rappresentazione dei soggetti...
D. Cioè?
R. Voglio dire che se il potere si esercita sui corpi, ciò non
avviene perché prima è stato interiorizzato nella coscienza delle persone. Ma
perché esiste già tutto un fitto reticolo di biopotere, di somatopotere; e su
questo fitto reticolo nasce la sessualità, come fenomeno storico e culturale
all'interno del quale noi contemporaneamente ci riconosciamo e ci perdiamo.
D. E cosa c'entra il potere con la sessualità?
R. Vede, secondo me troppo spesso, ricalcando un modello imposto
dal pensiero giuridico-filosofico del Cinque e del Seicento, si riduce il
problema del potere al problema della sovranità. Cioè: che cos'è il sovrano?
Come può costituirsi il sovrano? Che cosa lega gli individui al sovrano? Questo
problema è stato posto sette secoli fa dai giuristi monarchici o antimonarchici
del Duecento ma ha finito di esistere nell'Ottocento. Eppure continua a
perseguitarci. E ci impedisce di analizzare il potere sotto un'altra luce.
Nella Storia della sessualità io ho
tentato di far prendere all' analisi un indirizzo differente.
D. Quale?
R. Tra un punto e l'altro del corpo sociale, tra un uomo e una
donna, all'interno di una famiglia, tra un maestro e il suo allievo, tra chi sa
e chi non sa passano dei rapporti di potere che non sono la proiezione pura e
semplice del grande potere sovrano che sta al di sopra degli individui. Ma sono
il terreno, mobile e nello stesso tempo concretissimo, su cui il potere si
àncora. Sono le condizioni che permettono al potere di funzionare. La famiglia,
per esempio, anche ai nostri giorni, non è un riflesso, un prolungamento del
potere dello Stato? Non rappresenta lo Stato nei confronti dei figli, così come
il maschio rappresenta lo Stato nei confronti della donna? Perché lo Stato
funzioni come funziona, bisogna che esistano tra uomo e donna, o tra adulto e
bambino, dei rapporti di dominio assolutamente specifico.
D. Cioè dei rapporti di sessualità? Questa idea non piacerà molto alle femministe...
R. Per troppo tempo si è creduto fosse importante sapere in che
maniera le volontà individuali potevano essere rappresentate nella o dalla
volontà generale. Un'eco di tutto questo si ritrova nell'opinione corrente che
il padre, il marito, il padrone, l'adulto, il professore
"rappresentino" un potere statale il quale a sua volta rappresenterebbe
gli interessi di una classe. Ma un'idea del genere non rende conto dei
meccanismi né della loro specificità né dei loro punti d'appoggio.
D. Stavolta piacerà anche meno ai marxisti...
R. Vede, io non credo che il potere si costituisca a partire da
"volontà" (individuali o collettive), così come non credo derivi da
interessi. Il potere si costituisce e funziona a partire da altri poteri. Da
una moltitudine di problemi ed effetti del potere. E' questo complicatissimo
terreno che bisogna studiare. Il che non vuol dire che il potere sia indipendente
o che lo si possa decifrare al di fuori del processo economico e dei rapporti
di produzione. Ma si dice di solito che la fonte del potere è lo Stato; e che
perciò bisogna chiedere conto allo Stato di tutti i dispositivi del potere.
Invece a me questa idea sembra non serva a niente.
D. Ma se l'intricata rete della sessualità è il terreno su cui si àncora il potere, la nostra liberazione passa attraverso la liberazione del sesso?
R. Questo problema ha costituito la difficoltà centrale del mio libro. Avevo cominciato a scrivere una storia di come il sesso era stato, come dire?, ricoperto e travestito da quella strana vegetazione che sarebbe la sessualità. Senonché, mettere in opposizione sesso e sessualità rinviava ad un'idea del potere come legge e proibizione. Era come dire: il potere ha costruito un dispositivo di sessualità per dir di no al sesso. Ho dovuto operare un rovesciamento: mettere il sesso dentro la sessualità; capire che alla radice della sessualità non c'è il sesso negato, ma un'economia positiva dei corpi e del piacere. Nelle società che posseggono un'ars erotica, infatti, l'intensificazione del piacere tende a desessualizzare il corpo. Invece, in Occidente, da millenni cercano di farci credere che il sesso, magari segretamente, sia la legge di ogni piacere. Il che giustifica la necessità di imporre moderazione al sesso, ma nello stesso tempo dà anche la possibilità di controllarlo e di controllarci. L'idea non è neanche cristiana, è stoica; e il cristianesimo è stato costretto a riprenderla quando ha voluto integrarsi alle strutture statali dell'impero romano, di cui lo stoicismo era la filosofia universale. E' da allora che il sesso è diventato il "codice" del piacere. E' questo che ci fa credere che ci stiamo "liberando", ogni volta che "decodifichiamo" ogni piacere in termine di sesso finalmente svelato. Invece diventiamo ogni volta un po’ più schiavi.
L'Espresso, n.1, 1977
Nessun commento:
Posta un commento