10.12.13

Sessualità e potere. Intervista con Michel Foucault (Lucette Finas)


La pubblicazione in Francia, nel 1976, del primo volume della Storia della sessualità di Michel Foucault (La volontà di sapere) suscitò polemiche e discussioni. Nei fatti il filosofo che aveva accompagnato con l’ardita sua riflessione alcune battaglie “sessantottine” di liberazione (la psichiatria, il manicomio e il carcere, per esempio) sulla sessualità sembra assumere una posizione ostile a quello che Marcuse chiamava “nuovo disordine amoroso”, sostenendo che liberazione sessuale e repressione sessuale, nella modernità, vanno insieme e sono l’una e l’altra strumento di un potere che si esercita sui corpi. La Chiesa in primo luogo e poi lo Stato, a partire dal Seicento, elaborano una casistica dei divieti che è anche uno straordinario ampliamento dei margini del piacere. 
Nel disegno di Foucault a questa storicizzazione del nesso potere-sapere-piacere nella modernità, doveva seguire una sistematica genealogia, in diversi volumi, che esaminasse i passaggi decisivi nella costruzione del sapere sessuale dell’Occidente a partire dall’antichità greco-romana. In realtà dopo La volontà di sapere, dei sei volumi progettati solo altri due videro la luce (L’uso dei piaceri,1984, e La cura di sé, 1984), che fermano la ricognizione tra la fine dell’antichità classica e le prime elaborazioni della Patristica cristiana. 
“L’Espresso” pubblicò nel suo primo numero del 1977 una densa valutazione critica firmata V.R. (Valerio Riva) e una lunga intervista a cura al maestro francese, a cura di Lucette Finas, quella qui postata.  (S.L.L.)
Proverbi illustrati: La prudenza è madre della saggezza
PARIGI,
Un nuovo libro del filosofo francese Michel Foucault sta provocando un vero terremoto. Si intitola La volontà di sapere, ed è il primo volume di una Storia della sessualità che consterà di almeno sei volumi. Foucault impiegherà diversi anni a completarla. […]
Che cosa dice di così esplosivo questo libro? Semplicemente rovescia una delle principali tesi su cui si basa il pensiero laico moderno (e una parte della sua pratica politica): che da tre secoli a questa parte, il potere (prima la Chiesa, poi la borghesia) ha represso il sesso; e che la strada della liberazione dell'uomo passa anche attraverso la liberazione del sesso. Non è vero, sostiene Foucault. «Bisogna abbandonare una volta per tutte l'ipotesi», scrive, «che le società industriali moderne abbiano inaugurato a scapito del sesso un'epoca di accresciuta repressione. Non soltanto assistiamo ad una evidente esplosione delle sessualità eretiche. Ma soprattutto (e questo è l'importante) un dispositivo molto diverso dalla legge, anche se localmente si appoggia su procedure di interdizione, assicura in realtà la proliferazione di piaceri specifici e la moltiplicazione di sessualità disparate. Il potere, in tutte le sue istanze, ha messo una grande cura nell'ignorare ciò che esso stesso sembrava proibire. Il sesso non ha mai ricevuto come ora tanta attenzione palese e prolissa; mai ci sono stati più contatti e legami circolari tra potere e sesso; mai in tante alcove s'è dato fuoco, insieme, all'intensità dei piaceri e all'ostinazione dei poteri». Raccontando la storia della follia, invece, Foucault aveva descritto il potere proprio come una costante entità repressiva. Che cosa ha indotto il filosofo a cambiar parere? Lo chiediamo direttamente a lui.

R. E' vero. Ho cambiato idea. Il momento di transizione ha coinciso proprio con la stesura del mio saggio sull' Ordine del discorso. Cosa è cambiato nel mio modo di pensare, alla base? La concezione del potere. Che rapporto ha questo cambiamento col fatto che mi sono messo a riflettere sulla sessualità e sul sesso Cercherò di spiegarmi.  Fino a quel momento, accettavo anch'io la tradizionale concezione del potere. Che il potere fosse, cioè, un meccanismo essenzialmente giuridico: il potere che fa la legge, che impone il divieto, che dice di no. Poi mi sono accorto che questa concezione è del tutto inadeguata. Non spiega né che cos'è né come funziona davvero il potere. Mi era sembrata una concezione ancora sufficiente, mentre scrivevo la Storia della follia, ma perché la follia è un caso molto privilegiato. Tre secoli fa il potere si è esercitato sulla follia soprattutto nella forma della esclusione. Vale a dire: tre secoli fa lo Stato ha preso il pazzo, dalla strada, dalla vita comune, lo ha espulso dalla società e l'ha cacciato in manicomio. Ecco perché, finché studiavo la follia e la sua storia, non ho avuto problemi nell'usare una concezione puramente negativa del potere. Ma appena mi sono messo a studiare la sessualità, quella concezione non m'è bastata più.

D. Come è avvenuto?
R. E' successo tra il 1971 e il 1972. In quei due anni mi sono molto interessato al problema delle prigioni. Studiando la penalità, la pena e la punizione, mi sono accorto che sarebbe stato sbagliato considerarle semplicemente in termini di diritto. Bisognava invece prenderle in termini di tecnologia, di tattica e di strategia. Tecnologia della punizione; tattica e strategia della pena. E cos'è successo? Mi sono messo a scrivere il mio libro Sorvegliare e punire. Ho cercato di sostituire alla tradizionale griglia giuridica e negativa, una griglia tecnica e strategica. Ho visto che funzionava. E me ne sono servito anche per la Storia della sessualità.

D. Chi ha letto la sua Storia della follia nell'età classica non può certo dimenticare l'immagine che lei dà della grande follia barocca rinchiusa e ridotta al silenzio. In pieno Seicento, in tutta Europa, c'è un gran daffare a costruire manicomi. Lei ora vuol dire che l'epoca moderna mentre ha imposto silenzio alla follia, ha sciolto la lingua al sesso?
R. Esattamente. Tra follia e sessualità esistono certamente una serie di relazioni storiche molto importanti. Ma io, mentre scrivevo la Storia della follia, non me n'ero accorto. Avevo in testa a quell'epoca di scrivere  due  storie parallele: una doveva essere la storia  dell'esclusione subita dalla follia e delle successive compartimentazioni avvenute come conseguenza di quella esclusione; l'altra doveva essere una storia delle limitazioni che si sono operate nel campo della sessualità: sessualità permessa e sessualità proibita, normale e anormale, sessualità delle donne e sessualità degli uomini, degli adulti e dei bambini... Pensavo allora a tutta una serie di partizioni binarie che avrebbero a loro modo riprodotto la più grande ripartizione tra "ragione" e "sragione" che io avevo tentato di ricostituire a proposito della follia.

D. E invece?
R. E invece mi sono accorto che nello stesso secolo, il Seicento, avvenivano due fatti apparentemente contrastanti. Mentre la follia era oggetto di operazioni essenzialmente negative, la sessualità rilevava a proprio conto tutta una serie, invece, di "investimenti" positivi. Poi, a partire dal 19. secolo, è avvenuto un fenomeno assolutamente fondamentale: due grandi tecnologie del potere si sono ingranate tra di loro: quella che ordiva la trama della sessualità e quella che procedeva alla messa in disparte della follia. Risultato? Anche la tecnologia che riguardava la follia è passata da negativa a positiva; da binaria è diventata complessa e multiforme. Nasce allora quella grande "tecnologia della psiche" che è uno dei tratti fondamentali del nostro Ottocento e Novecento. Questa tecnologia della psiche ha preso il sesso e lo ha fatto diventare, da una parte, la verità nascosta della coscienza razionale, e dall'altra, il senso decifrabile della follia. E nel trasformare il sesso in una specie di senso comune sia alla follia che alla coscienza, ne ha fatto anche uno strumento che permette di metter le mani sia sull'una che sull'altra, con le stesse modalità.

D. Ma questo modo di vedere non può dar luogo a pericolosi malintesi? Sarebbe come se, parlando dell'Inquisizione, invece di mettere in evidenza la repressione che essa ha esercitato sull'eretico, si ponesse l'accento sulla "volontà di sapere" che presiede alla tortura...
R. No, non c'è nessun malinteso. E' vero: io ho spostato l'accento. Ho fatto apparire dei meccanismi positivi là dove di solito si usa evidenziare meccanismi negativi. Ma prendiamo il caso della penitenza come la intendono i cattolici. Si è sempre detto che il cristianesimo nella penitenza sanziona la sessualità, perché attraverso l'esercizio di questo sacramento autorizza certe forme di sessualità e punisce tutte le altre. Ma cosa c'è al centro della penitenza cristiana? C'è la confessione, cioè l'ammissione di colpa e l'esame di coscienza. Da qui derivano una se rie di effetti teorici: per esempio, la grande analisi della concupiscenza fatta dai tecnici religiosi della confessione nel 17° secolo. E di effetti pratici: la nascita di una pedagogia della sessualità, prima clericale e poi laicizzata e medicalizzata. Ma c'è poi anche il modo in cui le varie istanze o i vari ingranaggi del potere traggono piacere dall'esercizio del potere stesso. Prendiamo per esempio il potere di sorvegliare. Nella sorveglianza, anzi più precisamente nel modo di guardare che hanno i sorveglianti, c'è qualcosa che non è estraneo al piacere di sorvegliare e al piacere di sorvegliare il piacere. Esistono infine anche meccanismi di ritorno messi in moto da questo compiacimento che il potere prova nel proprio stesso esercizio. Per esempio, le esplosioni di isteria che si sono manifestate negli ospedali psichiatrici durante la seconda metà dell'Ottocento sono state appunto un meccanismo di ritorno. Sono state cioè il contraccolpo al modo in cui veniva esercitato il potere psichiatrico. Quelle esplosioni di isteria hanno letteralmente "gettato in faccia" agli psichiatri il "corpo isterico" dei loro malati. E dicendo "gettato in faccia", voglio esprimere le dimensioni dello choc che quelle esplosioni hanno rappresentato per la scienza (e l'ignoranza) degli psichiatri ottocenteschi. Ma sarebbe lecito sostenere che quel contraccolpo sia stato voluto dagli psichiatri? No. Tutto è avvenuto a loro insaputa e contro la loro volontà.

D. E' questo il punto importante del suo nuovo libro?
R. No. La cosa più importante è la dimostrazione di come si possa mettere in opera un potere che si esercita direttamente sul corpo. Il tentativo, cioè, di dimostrare come i rapporti di potere possono materialmente passare attraverso lo spessore dei corpi, senza dover esser scambiati con la rappresentazione dei soggetti...
D. Cioè?
R. Voglio dire che se il potere si esercita sui corpi, ciò non avviene perché prima è stato interiorizzato nella coscienza delle persone. Ma perché esiste già tutto un fitto reticolo di biopotere, di somatopotere; e su questo fitto reticolo nasce la sessualità, come fenomeno storico e culturale all'interno del quale noi contemporaneamente ci riconosciamo e ci perdiamo.

D. E cosa c'entra il potere con la sessualità?
R. Vede, secondo me troppo spesso, ricalcando un modello imposto dal pensiero giuridico-filosofico del Cinque e del Seicento, si riduce il problema del potere al problema della sovranità. Cioè: che cos'è il sovrano? Come può costituirsi il sovrano? Che cosa lega gli individui al sovrano? Questo problema è stato posto sette secoli fa dai giuristi monarchici o antimonarchici del Duecento ma ha finito di esistere nell'Ottocento. Eppure continua a perseguitarci. E ci impedisce di analizzare il potere sotto un'altra luce. Nella Storia della sessualità io ho tentato di far prendere all' analisi un indirizzo differente.

D. Quale?
R. Tra un punto e l'altro del corpo sociale, tra un uomo e una donna, all'interno di una famiglia, tra un maestro e il suo allievo, tra chi sa e chi non sa passano dei rapporti di potere che non sono la proiezione pura e semplice del grande potere sovrano che sta al di sopra degli individui. Ma sono il terreno, mobile e nello stesso tempo concretissimo, su cui il potere si àncora. Sono le condizioni che permettono al potere di funzionare. La famiglia, per esempio, anche ai nostri giorni, non è un riflesso, un prolungamento del potere dello Stato? Non rappresenta lo Stato nei confronti dei figli, così come il maschio rappresenta lo Stato nei confronti della donna? Perché lo Stato funzioni come funziona, bisogna che esistano tra uomo e donna, o tra adulto e bambino, dei rapporti di dominio assolutamente specifico.

D. Cioè dei rapporti di sessualità? Questa idea non piacerà molto alle femministe...
R. Per troppo tempo si è creduto fosse importante sapere in che maniera le volontà individuali potevano essere rappresentate nella o dalla volontà generale. Un'eco di tutto questo si ritrova nell'opinione corrente che il padre, il marito, il padrone, l'adulto, il professore "rappresentino" un potere statale il quale a sua volta rappresenterebbe gli interessi di una classe. Ma un'idea del genere non rende conto dei meccanismi né della loro specificità né dei loro punti d'appoggio.

D. Stavolta piacerà anche meno ai marxisti...
R. Vede, io non credo che il potere si costituisca a partire da "volontà" (individuali o collettive), così come non credo derivi da interessi. Il potere si costituisce e funziona a partire da altri poteri. Da una moltitudine di problemi ed effetti del potere. E' questo complicatissimo terreno che bisogna studiare. Il che non vuol dire che il potere sia indipendente o che lo si possa decifrare al di fuori del processo economico e dei rapporti di produzione. Ma si dice di solito che la fonte del potere è lo Stato; e che perciò bisogna chiedere conto allo Stato di tutti i dispositivi del potere. Invece a me questa idea sembra non serva a niente.

D. Ma se l'intricata rete della sessualità è il terreno su cui si àncora il potere, la nostra liberazione passa attraverso la liberazione del sesso?
R. Questo problema ha costituito la difficoltà centrale del mio libro. Avevo cominciato a scrivere una storia di come il sesso era stato, come dire?, ricoperto e travestito da quella strana vegetazione che sarebbe la sessualità. Senonché, mettere in opposizione sesso e sessualità rinviava ad un'idea del potere come legge e proibizione. Era come dire: il potere ha costruito un dispositivo di sessualità per dir di no al sesso. Ho dovuto operare un rovesciamento: mettere il sesso dentro la sessualità; capire che alla radice della sessualità non c'è il sesso negato, ma un'economia positiva dei corpi e del piacere. Nelle società che posseggono un'ars erotica, infatti, l'intensificazione del piacere tende a desessualizzare il corpo. Invece, in Occidente, da millenni cercano di farci credere che il sesso, magari segretamente, sia la legge di ogni piacere. Il che giustifica la necessità di imporre moderazione al sesso, ma nello stesso tempo dà anche la possibilità di controllarlo e di controllarci. L'idea non è neanche cristiana, è stoica; e il cristianesimo è stato costretto a riprenderla quando ha voluto integrarsi alle strutture statali dell'impero romano, di cui lo stoicismo era la filosofia universale. E' da allora che il sesso è diventato il "codice" del piacere. E' questo che ci fa credere che ci stiamo "liberando", ogni volta che "decodifichiamo" ogni piacere in termine di sesso finalmente svelato. Invece diventiamo ogni volta un po’ più schiavi.

L'Espresso, n.1, 1977

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