Nel 2010 Carlo Fruttero e Massimo
Gramellini tennero su “La Stampa” una rubrica bisettimanale, Storia d’Italia in 150 date, in preparazione dei 150 anni di unità
nazionale. Com’è normale nella riuscita dei pezzi (e nella stessa scelta degli
argomenti) ci sono alti e bassi. La rievocazione che segue, di una certa
Milano, è magnifica. La data indicata, 22 gennaio 1987, è quella del debutto di
uno slogan di successo. Cinque anni dopo arrivarono le scoperte di Tangentopoli
e le manette di Mani pulite. (S.L.L.)
Dentro un pacchetto di spot ad
alta gradazione alcolica (in attesa dei telefonini, sono gli aperitivi e gli
amari a fare la parte del leone), irrompono in tv le immagini patinate di
piazza del Duomo e le note raffinate dei Weather Report, mentre la voce fuori
campo esalta «questa Milano da vivere, da sognare, da godere «… questa Milano
da bere». L’autore dello slogan è Marco Mignani, capofila di quei «creativi»
pubblicitari che sono parte integrante del bestiario umano che anima i giorni e
le notti della Milano da bere. Fra le vetrine esclusive di via Montenapoleone e
le luci stroboscopiche di discoteche come il Nephenta, si aggirano agenti di
Borsa che fanno il verso agli yuppie americani, stilisti venerati come artisti
rinascimentali, aspiranti modelle e modelle aspiranti cocaina. Gli odori e i
rumori della fabbrica sono un ricordo degli anni di piombo. Persino la nebbia è
cambiata. E lo smog: ormai tutto deve essere «glamour», anche lui. Si lavora
tantissimo, benché non sia sempre chiaro che cosa si fa. È l’epoca del
«terziario avanzato», ma non avanza quasi niente: si prendono tutto loro.
Il sommelier di questa Milano
ubriaca di vita è Bettino Craxi, erede del riformismo socialista di Turati e
Nenni improntato alla sobrietà. Roba da museo. È Roberto D’Agostino a coniare
la nuova formula esistenziale: «edonismo reaganiano». Belle macchine, belle
donne, molto alcol, molta droga per reggere il ritmo infernale. E tantissimo
denaro per oliare il meccanismo. Non tutti gli edonisti sono craxiani, ma
dovunque ci sia dell’edonismo, lì c’è un craxiano. Il sindaco è il cognato di
Bettino e l’imprenditore di punta il suo migliore amico, Berlusconi. L’ufficio
di Craxi in piazza del Duomo diventa meta ininterrotta di un pellegrinaggio di
fedeli, conoscenti e riconoscenti, che lasciano ex voto sotto forma di
bustarelle sempre più gonfie. Oltre lo spot, a immortalare l’epoca è come
sempre un delitto. Dopo una notte da vivere, da godere ma soprattutto da bere,
una modella americana strafatta entra in un appartamento della Milano dei
ricchi e scarica un revolver addosso al playboy che la importuna da tempo con
parole e gesti volgari. Lei si chiama Terry Broome e alla sua storia si
ispirano un romanzo e un film dal titolo emblematico: Sotto il vestito niente.
Intanto l’inventore della Milano
da bere sta già lavorando a un altro progetto. La DC gli ha chiesto uno slogan
per le imminenti elezioni e Mignani si inventa «Forza Italia». Nella sua villa
di Arcore comperata a prezzo di saldo, un imprenditore laureato con una tesi sulla
pubblicità ritaglia la réclame e la infila in una cartellina. Chissà che non
possa tornargli utile, un giorno.
“La Stampa”, 5 novembre 2010
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