Ricorre quest'anno il quarto
centenario della morte di Matteo Ricci, il padre gesuita che per primo consentì
una vero contatto di idee fra la Cina e l'Occidente. Il suo ruolo di straordinario
mediatore viene oggi celebrato come non era mai accaduto in passato attraverso
mostre, convegni e iniziative sia in Italia sia in Cina. Il recupero della
figura di Matteo Ricci, in quanto simbolo della comprensione e
dell'adattamento, fa pensare che in futuro il dialogo fra Cina e Vaticano
potrebbe svolgersi su binari più proficui di quelli seguiti fino ad oggi. La
riproposta del libro di Jonathan D. Spence, Il
Palazzo della memoria di Matteo Ricci, si inserisce in questo contesto.
L'insegnamento della scienza fu
una delle strategie apostoliche di Ricci, convinto che la superiorità del
sapere occidentale da lui diffuso avrebbe attratto i mandarini verso la
religione che propagandava. Oltre
agli orologi meccanici, ai mappamondi che rivelavano
l'esistenza di cinque continenti e la forma sferica della terra, alla
traduzione di Euclide, alla matematica e all'astrologia, introdusse un sistema
di memorizzazione basato sulla costruzione di «palazzi della memoria».
Ricci era dotato di una memoria
fuori dal comune, ma sapeva anche ricorrere alle tecniche di memorizzazione,
fatte risalire al poeta greco Simonide e in seguito affinate da Plinio e
Quintiliano, che si erano diffuse nel Medioevo diventando molto popolari nel
Quattrocento e nel Cinquecento. Il sistema consisteva nell'elaborazione di
spazi mentali in forma di luoghi fisici, stanze da moltiplicare a piacimento
fino a costruire strutture più complesse, palazzi appunto, dove collocare
immagini fortemente evocative associate alle nozioni che si volevano ricordare.
Entrando con la mente nell'edificio, la vista dell'immagine avrebbe richiamato
il contenuto ad essa associato.
Ricci adattò questo sistema alla
memorizzazione dei caratteri cinesi compilando il Xiguo jifa, «La mnemotecnica dei paesi occidentali», che donò al
governatore della provincia del Jiangxi perché potesse essere di aiuto ai suoi
figli nel corso degli impegnativi esami imperiali per accedere alla carriera di
funzionario. Grande impressione, infatti, aveva suscitato una prova a cui il gesuita
si era sottoposto per dimostrare la superiorità del suo metodo: aveva chiesto a
un giovane di scrivere una lista di caratteri a caso e di mostrargliela; dopo
una sola lettura era stato in grado di ripeterli esattamente e poi aveva
ripetuto la lista al contrarlo dall'ultimo al primo. La sua tecnica sembrava
dunque vincente.
Nel suo testo, Ricci costruì una
sola stanza, l'ingresso con la porta rivolta a sud per riguardo alla tradizione
cinese, e vi collocò quattro immagini, una in ciascun angolo: due guerrieri che
si affrontano, una donna che proviene dalle tribù occidentali, un contadino che
miete il grano, una serva che tiene un bambino fra le braccia. A ciascuna di queste
immagini corrisponde un carattere. La prima ad esempi sta per il carattere wu che si gnifica «guerra» e si compone
di due parti grafiche e semantiche che indicano rispettivamente una «lancia» e
l'azione di «fermare». La rappresentazione visiva dei due combattenti, uno che
attacca con una lancia e l'altro che cerca di bloccarlo, rimanda immediatamente
alla grafia del carattere. E questo vale per gli altri tre esempi che
riguardano yao «volere», li «profitto» e hao «bene».
Utilizzando queste quattro
immagini mnemoniche, a cui aggiunge quattro disegni religiosi che illustrano
altrettanti episodi della vita di Cristo e della Bibbia che Ricci donò ad un
amico cinese tipografo, Spence costruisce la struttura e l'asse portante del
libro.
Esso diventa dunque il «palazzo»
del noto sinologo inglese, erudito e accattivante narratore per ricostruire,
non soltanto grande avventura di Matteo Ricci, ma il mondo dal quale proveniva,
l'Europa della Controriforma. E, come Ricci desiderava, suggerire la superiorità
del pensiero associativo sul semplice mandare a memoria di tradizione cinese. Così
Spence, di associazione in associazione, fa rivivere con ricchezza di dettagli
il quadro complessivo di quell' epoca.
“Tuttolibri – La Stampa”, 11
settembre 2010
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