Ancora ventisei anni dopo la sua
morte, Arthur Miller non amava parlare in pubblico di Marilyn. Se lo ricordano
i tantissimi intervenuti, a Milano, nello Spazio Krizia dove il 19 aprile 1988
il celebre drammaturgo presentava Timebends-Svolte,
la sua autobiografia appena tradotta da Mondadori. Già all’ingresso veniva
notificato ai presenti, uno per uno, il desiderio di Mr Miller di non ricevere
domande su Mrs Monroe. E così fu. Eppure, nel libro, non sono poche le pagine
in cui la bionda divina occupa la scena. E, rispetto all’acida commedia Dopo la caduta rappresentata già nel ’64
(Marilyn era morta nell’agosto del ’ 62), sono pagine tutto sommato affettuose,
in cui le ferite - di Miller - sembrano in parte rimarginate.
Si erano sposati nel ’56. Marilyn
aveva da poco interpretato Quando la
moglie è in vacanza, il film di Billy Wilder che mandò in frantumi il suo
matrimonio con il campione di baseball Joe Di Maggio; Miller aveva finalmente
ottenuto il divorzio dalla prima moglie, la compagna di liceo Mary Grace
Slattery sposata nel 1940 e con cui aveva avuto due figli. Da tempo, fra Il
Grande Cervello Americano e Il Grande Corpo Americano (la definizione è di
Norman Mailer) si consumavano incontri clandestini. Poi, proprio quando la
Commissione per le attività antiamericane voluta dal senatore McCarthy
convocava a deporre l’autore del Crogiuolo,
ci furono le nozze. Fu un’unione difficile, burrascosa, tormentata. Miller, fra
l’altro, lamentava che in tutto quel periodo non riuscì a scrivere niente. A
eccezione della sceneggiatura di The
misfits - Gli sbandati, l’ultimo film di Marilyn (e di Clark Gable, 1961,
regia di John Huston).
Sono quelli, comunque, gli anni
delle migliori interpretazioni di Marilyn: Fermata
d’autobus e A qualcuno piace caldo.
Ma anche di Facciamo l’amore, il
tragico gioco degli equivoci che vede la Monroe perdere la testa per Yves
Montand, mentre Miller e Simone Signoret fanno da comprimari. Marilyn vuole un
bambino da Miller, a un certo punto rimane incinta, ma non porterà in fondo la
gravidanza. Miller, fuori di sé, accuserà Billy Wilder di aver provocato
l’aborto con i maltrattamenti inflitti alla moglie durante A qualcuno piace caldo. Il resto di quei pochi anni (il divorzio è
nel ’61) è interamente occupato dalle crisi di lei, i suoi troppi farmaci, le
sue insicurezze, la dipendenza nevrotica da Lee e Paula Strasberg, gli
insegnanti dell’Actors Studio.
Il matrimonio successivo con
l’austriaca Inge Morath, una fotografa dell’Agenzia Magnum, fu una sorta di
quiete dopo la tempesta. Una quiete di lunga durata, chiusa solo - nel 2002 -
con la morte della signora, da cui Miller ha avuto due figli, un maschio
afflitto dalla sindrome di Down, e Rebecca, che ha sposato l’attore Daniel
Day-Lewis. Con la Morath, Arthur compie viaggi nel mondo, in Russia e in Cina,
che si tradurranno in libri-reportage. Da qualche tempo, nuovamente vedovo,
aveva trovato una nuova compagna, Agnes Barley, una giovane pittrice. Però lo
spettro di Marilyn non era mai riuscito a esorcizzarlo. Tanto che, nella sua
ultima commedia, Finishing the Picture
(rappresentata a Chicago nell’autunno scorso) c’è ancora lei […]
Secondo Norman Mailer, uno come
Miller non poteva sopportare di essere messo in secondo piano dalla moglie.
Forse, dice ancora Mailer, Miller ha veramente cercato di dare un aiuto a
quella ragazza troppo bella e troppo disperata. Ma, forse, non le perdonava di
avere un’immagine troppo più grande della sua. Che continuava a perseguitarlo.
Nel 1966, per esempio, come presidente del Pen International Miller, scrisse
per chiedere la grazia per lo scrittore nigeriano Wole Soynka, condannato a
morte. Il presidente della Nigeria, Gowon, gli rispose chiedendogli se era
proprio lui il Miller che aveva sposato Marilyn Monroe. Avuta la risposta
affermativa, Gowon graziò Soynka.
“Corriere della Sera” 12/2/2005
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