Recensione di un dizionario e
utile promemoria di un genere filmico e di una tradizione, il testo che segue,
da “La Stampa”, non è firmato ma solo siglato. (S.L.L.)
Barbara Bouchet e Ugo Pagliai in "La dama rossa uccide 7 volte" |
«Sangue a profusione, qualche
amplesso, un pizzico di sadismo ed abbondanza di seni nudi, il tutto condito da
annotazioni assurde, confuse, sovente ingenue e servite da una interpretazione
a dir poco dilettantesca»: osservazioni di codesto tenore erano dirette dalla
critica, nei primi Anni 70, a tutti quei film che sfruttavano il cosiddetto
«filone argentiano» (proprio ieri Dario Argento ha compiuto settant’anni),
stabilendo in tale modo una sorta di «via indigena» al thrilling. Oggi che i
generi non esistono più, è facile vedere come tali pellicole (fatti i debiti
distinguo) fossero sovente di dignitosa fattura, tanto da venir apprezzate
anche all'estero - vedi il caso di Quentin Tarantino - per la loro abilità nel
costruire suspense, con un dispendio emoglobinico che oggi appare contenuto.
E', quindi, interessante
ripercorrere la storia di questa tranche del cinema nostrano commerciale: ce lo
consentono Antonio Bruschini e Stefano Piselli col loro Giallo & thrilling all'italiana (Glittering Images, pp.112), dizionario
illustrato che mette in fila tutti i prodotti della categoria a partire dal
1931, vale a dire da quel L'uomo
dall'artiglio di Nunzio Malasomma remoto progenitore di tutto. A parte la
filologia, il «giallo» autarchico prende le mosse da due titoli di Mario Bava, La ragazza che sapeva troppo (1963) e Sei donne per l'assassino (1964): in
particolare il secondo - citato da Almodóvar a fini masturbatori in Matador (1986) - è il manifesto modello
di Argento per L'uccello dalle piume di
cristallo (1970), suo fortunato esordio nel lungometraggio.
Di qui innanzi si diparte una
teoria di omicidi all'arma bianca, assassini nerovestiti, deliri sadomasochisti
alla Krafft-Ebing, belle fanciulle svestite, brividi a profusione che oggi
appaiono inoltre un piacevole repertorio di modernariato, dalle improbabili
giacche indossate da taluni interpreti (Ugo Pagliai ne La dama rossa uccide 7
volte) fino al décor quasi camp di certi interni. E la paura? Beh,
a volte latita un poco, ma diversi registi - Fulci, Martino, Dallamano,
Valerii, Cavara - han fatto cose pregevoli, che reggono l'usura del tempo e con
brio ci ricordano com'era dolce la vita prima della rivoluzione. [F. T.]
"Tuttolibri - La Stampa", 11 settembre 2010
Nessun commento:
Posta un commento