La tessera di partigiano di Italo Calvino |
Wladimiro Settimelli, in questo articolo, peraltro assai bello e interessante, non dà conto del romanzo partigiano di Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno; probabilmente ha scelto di non utilizzare come fonte le opere di "invenzione", quelle in cui l'elemento autobiografico non è immediatamente riconoscibile.
In verità in quel giovanile romanzo c’è assai di più che l'affiorare schivo e sottovoce del periodo resistenziale di cui discorre Settimelli. C’è, piuttosto, la tecnica dello “straniamento”, per cui la Resistenza ligure è vista soprattutto con gli occhi del bambino Pin, un monello che proviene dai vicoli di Genova, che trasfigurano la realtà in fiaba avventurosa. Questa tecnica consente a Calvino di sfuggire al rischio dell’idealizzazione e della retorica, come a quello dell’autobiografismo eroicizzante. Non mancano invece – formalizzati dalla letteratura, ma non oscurati – elementi di dibattito ideologico: così - ad esempio - il tema della difficile confluenza di una umanità offesa e inconsapevole in un progetto organizzato di liberazione collettiva. (S.L.L.)
In verità in quel giovanile romanzo c’è assai di più che l'affiorare schivo e sottovoce del periodo resistenziale di cui discorre Settimelli. C’è, piuttosto, la tecnica dello “straniamento”, per cui la Resistenza ligure è vista soprattutto con gli occhi del bambino Pin, un monello che proviene dai vicoli di Genova, che trasfigurano la realtà in fiaba avventurosa. Questa tecnica consente a Calvino di sfuggire al rischio dell’idealizzazione e della retorica, come a quello dell’autobiografismo eroicizzante. Non mancano invece – formalizzati dalla letteratura, ma non oscurati – elementi di dibattito ideologico: così - ad esempio - il tema della difficile confluenza di una umanità offesa e inconsapevole in un progetto organizzato di liberazione collettiva. (S.L.L.)
1946. Calvino comizia ad Imperia |
Lui, Calvino, ha sempre parlato
poco di questa durissima esperienza perché odiava la retorica e soprattutto la
retorica della Resistenza, in un periodo in cui tutti raccontavano di averla
fatta e spiegavano, centellinavano dettagli e storie, spesso messe insieme
subito dopo la Liberazione.
Il grande scrittore era
orgoglioso di quei giorni e dei suoi compagni di lotta. Con molti era rimasto
in contatto fino alla fine della vita. Con uno in particolare: Giovanni
Nicosia, “Sam”, originario di Caltanissetta, un severo caposquadra sui monti,
che diventerà poi correttore di bozze per la Einaudi e dunque vicinissimo ad
Italo nel lavoro quotidiano.
Sì, appunto, Italo Calvino in
qualche articolo e in qualcuno dei suoi libri, farà affiorare il periodo
resistenziale, ma senza dettagli e particolari, in modo schivo e quasi
sottovoce e il perché lo abbiamo detto.
Ero all’ospedale della Scala, di
Siena, il giorno della morte dello scrittore. Per il giornale, ovviamente. La
bara era stata sistemata in uno stanzone enorme e non c’era nessuno. Era uno stanzone
carico di affreschi, stemmi e orpelli quasi gioiosi, che rendevano ancora più
desolata e solitaria quella bara e quella morte. Stavo ascoltando, in una
stanzetta, alcuni colleghi che chiedevano notizie alla moglie di Calvino sul
periodo della montagna, ma anche lei sapeva pochissimo. Qualche passo più in
là, forse un avvocato o uno dei dirigenti della Einaudi, già parlava dei
diritti d’autore per i tanti libri dello scrittore di fama mondiale, ma io
sentivo quelle parole come una specie d’insulto a Calvino, abbandonato, solo,
nello stanzone rinascimentale senza un fiore, una corona, una rosa. Ovviamente,
sciocchi sentimentalismi i miei, in quel momento. Ma non riuscivo, comunque, a
metter via i pensieri, angosciosi, che mi si affollavano in testa.
Del periodo della montagna e
della Resistenza, invece, volli sapere tutto e non seppi niente. Ho dovuto
aspettare qualche anno e leggere e rileggere i racconti di alcuni dei compagni
di Calvino pubblicati da Patria
indipendente, la rivista dei partigiani, per sapere dettagli e particolari.
Italo Calvino era nato a Santiago
de Las Vegas (Cuba) il 15 ottobre 1923 da Mario Calvino e da Eva Mameli. La
famiglia, ad un certo momento, era tornata in Italia e si era stabilita a
Sanremo. Con la guerra, la tragedia incombeva.
Ed eccola la storia di lui.
Calvino è un giovane sveglio, già entrato in contatto con alcuni antifascisti.
Poi arriva l’8 settembre del 1943 e il colonnello Lodovig, che comanda il 178°
fanteria tedesca con sede a Savona, scatta all’attacco con i suoi e occupa
Sanremo il 9 settembre. L’esercito italiano, anche in tutta la Liguria, si è
ormai dissolto.
Nasce la repubblichina di Salò e
subito vengono affissi i manifesti per il richiamo alle armi della classe 1923:
proprio quella di Calvino. Per i disertori, come si sa, è prevista la
fucilazione.
Il giovane, per non essere
arrestato, prende la via delle colline e si rifugia in boschi e boschetti,
nelle terre di proprietà del padre. Poi, con un gruppo di amici, Aldo Baggioli,
Massimo Porre, Renzo Barbieri e altri, decide di salire in montagna. Viene
accolto nella formazione partigiana «Brigata Alpina» presso Beulla.
È una brigata, la sua, che si
muove tra Baiardo e Ceriana ed è comandata da Candido Bertassi, conosciuto come
Capitano Umberto. È una prima esperienza molto, molto difficile. Calvino è
ormai conosciuto da tutti con il nome di battaglia di «Santiago». Il primo
grande scontro con i nazisti avviene in località Carpenosa il 15 giugno 1944 ed
è una vittoria. Poi la formazione si scioglie. Lo scrittore entra allora a far
parte della «IX Brigata Garibaldi», comandata da Bruno Luppi, «Erven» e
partecipa alla battaglia di Sella Carpe. «Erven» rimane ferito gravemente e
molti partigiani ci lasciano la pelle. A luglio, i nazisti incendiano i paesi
di Molini di Triora e Triora e lo scontro, in tutta la zona, si fa ancora più
duro. Calvino, intanto, è passato alla Divisione d’assalto Garibaldi «Felice
Cascione» e partecipa alla difesa di Baiardo. Durante un rastrellamento
«Santiago» viene arrestato, ma si salva. Deve però arruolarsi, per un breve
periodo, tra i repubblichini come scritturale. Poco dopo riesce a fuggire e
torna in montagna con tanto di armamento individuale. A lui si unisce il
fratello Floriano che ha appena sedici anni. Ora, i fratelli, sono in una
formazione diversa. L’inverno del 1944-’45 è terribile: freddo, gelo, fame,
rastrellamenti, arresti e torture. Italo Calvino partecipa a tantissimi
scontri: a Ciabaudo, a Gerbonte, a Bregalla e ancora a Baiardo a Triora e nella
Valle Argentina. Il 25 aprile arriva la Liberazione e anche lui sfila per le
strade di Sanremo con la sua formazione. Durante la lotta in montagna non ha
mai smesso di scrivere per Il Garibaldino,
La nostra lotta e l’Unità, stampata localmente. Il 25
maggio 1945 torna a casa e si laurea. Poi, si iscrive al Pci che rimarrà il suo
partito per una decina di anni. Riceve anche il diploma Alexander numero 165545
ed e riconosciuto partigiano combattente. Poco dopo, dal Distretto militare di
Savona, riceverà lire 6.687: è la paga da soldato per tutto il tempo della
montagna.
“l’Unità” 11 dicembre 2013
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