Il bibliografo e pacifista belga Paul Otlet |
''Caro amico, ho avuto un
incontro interessante col primo ministro Mussolini che mi ha offerto
gratuitamente dei terreni vicini a Ostia, in riva al mare, per costruire la nostra
Città». Le numerose correzioni a penna tradiscono l'emozione con cui Hendrik Andersen
scrive, il 5 marzo 1926, al compagno di utopie Paul Otlet per invocare un
«parere sincero» sulla proposta del Duce. E' un testo breve e appassionato,
perché lo scultore norvegese che da anni vive a Roma sente di essere a un passo
dal realizzare il sogno di una vita, costruire la «Città mondiale», una
capitale di conoscenza e armonia universale che promuova il progresso e la
pace. A Maccarese, appena fuori l'Urbe. Come sempre ha sperato.
Lo ha anche disegnato, Andersen,
il suo progetto. Nel 1913 ha pubblicato un catalogo di tavole magnifiche che
rivisitano la lezione di Moore e Campanella, una città ideale del pensiero
dall'aspetto neoclassico. L'ha presentata nella certezza che la condivisione
del sapere costituisca la formula in grado di disinnescare i conflitti tra gli
umani.
L'incontro con Otlet -
bruxellese, classe 1868, uomo dai grandi principi, pacifista, anima della
Società delle Nazioni, padre della bibliografia moderna - lo ha ulteriormente
persuaso che sia giusto e bello regalare al pianeta un ombelico morale e
intellettuale. Il belga è uno per il quale tutto è possibile se la causa è
illuminata. Ha rinunciato alla carriera di giurista per amore dei libri, della
documentazione e del pensiero. Neanche trentenne ha istituito l'Ufficio
internazionale di Bibliografia assieme al concittadino Henri La Fontaine,
senatore, premio Nobel per la Pace nel 1910. Sull'esplanade del Cinquantenario, a Bruxelles, hanno fondato un museo
senza pari, «un immenso magazzino dell'intelletto affollato da libri,
documenti, cataloghi e oggetti scientifici», pronto a essere consultato. Il suo
nome è Mundaneum, l'archivio del
sapere. Concettualmente è il nonno di Internet.
Non basta. Intorno al loro
scrigno universale i due belgi vogliono la «Cité Mondiale» , un luogo che
irradi conoscenza e faciliti la cooperazione tra gli Stati. Il loro
interlocutore naturale é Andersen, ben noto a Roma per il talento artistico e
per l'amicizia particolare con lo scrittore americano Henry James. E' il
braccio che occorre alla forza delle loro menti, lui la Città la conosce bene,
nelle forme e nei contenuti. E' per questo che nella primavera 1926 proprio Andersen
chiede udienza a Benito Mussolini, leader che ancora gode di un rispetto
internazionale, un ex socialista incapricciato di ogni arte. A lui svela ogni
dettaglio della capitale della Terra, al centro della quale immagina una «Torre
del progresso» di 320 metri, «simbolo dell'Amore e della Fratellanza», che
ospiti i giornali e l'ufficio mondiale dell'informazione. E' l'antenna
dell'universo tra i palazzi che catalogano il passato e rasserenano il futuro.
Il Duce appare incuriosito. Il norvegese lo definisce «più che serio» nella sua
offerta della bonificata Maccarese. Otlet risponde il 26 marzo, «caro amico, la
proposta di Mussolini è di grande importanza». Eppure il belga sembra nutrire
dei dubbi, chiede di approfondire il caso. Dal carteggio conservato oggi negli
archivi del nuovo Mundaneum di Mons si capisce che Andersen, attento alla
politica, vorrebbe evitare un coinvolgimento della Società' delle Nazioni
«perché gli americani non sono favorevoli». Il belga la pensa altrimenti, visto
che allega una memoria di due cartelle in difesa della candidatura di Ginevra:
«Dall'armistizio tutto si fa lì, non bisogna disperdere le forze». Otlet scrive
comunque a Mussolini: «Eccellenza, vogliamo esprimerle la nostra gratitudine...
». Ammette che Roma sarebbe il luogo ideale, «l'Urbe che è nel cuore di tutti
noi». Aggiunge che «deve simboleggiare l'idea secondo cui l'umanità deve
orientarsi per propria scelta verso una concentrazione delle energie in un
processo di collaborazione continua». A tal fine, auspica che le parti
coinvolte nel programma si vedano.
Il 26 ottobre 1926 Andersen
annuncia che si «rivolgerà' a tutti i membri del ministero» e pensa a un summit
«in maggio o giugno». Ma la riunione non si terrà mai. La corrispondenza tra Andersen
e Otlet lascia intendere un raffreddamento di sensi. «Sono mesi che non ho tue
notizie», confessa il belga in più occasioni. «Perché Ginevra?», lo incalzerà
ancora lo scultore nel novembre 1927. E il 15 dicembre: «L'Italia ha offerto la
terra e faremo di più, presto. La Cité può e deve essere costruita». Non sente
incertezze, il norvegese: «Al ministero dei Lavori pubblici preparano un
rapporto sui costi». Tutto per nulla. Otlet ha cambiato avviso, punta al Lago
Lemano per la Cité, altro castello destinato a cadere. Dal dossier spunta una
promessa dal re del Belgio per Anversa, poi un interessamento per Lussemburgo o
la Saar. Nel 1933 il geniale belga si rivolge al presidente americano Fraklin
D. Roosevelt, è un ultimo appello che nemmeno il tentativo di sostituire Andersen
col francese Le Corbusier rende concreto. I nuovi venti di guerra rendono
sterili i sogni di una pace diffusa. Fra il 1940 e il 1944 Andersen, La
Fontaine e Otlet lasciano questa esistenza, così il Mundaneum cade nell'oblio, e porta con sé la Città della Scienza.
Nei faldoni conservati a Mons non c'è traccia delle lettere di Mussolini e
della sua versione della storia. Ripensando al progetto presentato da Marcello
Piacentini nel 1938 per il quartiere Eur, è tuttavia facile credere che il
Duce, dopo aver sentito Andersen, fosse perlomeno intrigato dall'idea della
Città mondiale. Soprattutto se costruita in una Roma che, come allora si amava
ricordare, caput mundi era già stata
molti secoli prima.
La Stampa, 19 luglio 2011
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