Sanniti. Elmo votivo di bronzo dal santuario di Pietrabbondanza |
L’articolo, recensione di una
mostra, è utile divulgazione giornalistica di acquisizioni
storico-archeologiche dell’ultimo mezzo secolo. (S.L.L.)
Guerrieri sanniti in un dipinto tombale (Nola) |
Dobbiamo infatti immaginare un
coacervo di etnie, di tribù sparse in villaggi, che si spostavano di continuo e
si riunivano presso santuari all'aperto in occasione di fiere, mercati, feste
religiose. A causa di carestie o esuberanze demografiche, spesso si
determinavano migrazioni pacifiche e questi eventi erano legati a un culto agricolo-pastorale:
il "ver sacrum". Dopo aver sacrificato alle divinità gli animali più
giovani e i nuovi frutti della terra, si seguivano i movimenti di un
animale-totem che faceva da guida. Per i piceni, ad esempio, era il picchio.
Per i sanniti si trattava di un bue, e Boiano fu la loro prima capitale. Col
tempo, le differenze etniche e geografiche si andarono definendo e il Sannio
vero e proprio fu costituito da cinque tribù e aveva nei Pentri e nel Molise il
suo zoccolo duro.
Il quadro che ci restituisce
l'esposizione è di ampio respiro. Con l'ausilio di ricostruzioni, plastici,
pannelli informativi, si percorrono i secoli che hanno assistito alla
formazione e all'evoluzione del gruppo sannitico: una comunità composita che è
stata aperta a tutte le culture con cui è venuta a contatto, assimilando,
commerciando, elaborando in modo originale. Il punto di partenza è la Sabina,
il ceppo originario di molte popolazioni del centro Italia di lingua osca, che,
difatti, si definivano "safinis" (la denominazione
"Samnites" è nata più tardi a Roma, seguendo il nome dato dai greci),
come testimoniano le iscrizioni trovate in località ed epoche diverse. La
stessa origine di Roma è legata a Tito Tazio, al ratto delle sabine, e non a
caso - quasi all'ingresso della mostra - troneggia la statua del re Numa
Pompilio, nativo di Cures. Dalle necropoli trovate nei pressi di questa
località ai corredi funerari coevi (VII -VI sec. a.C), scoperti in Campania o
nella valle dell'Ofanto, risalta l'omogeneità dei materiali: anfore di ceramica
a impasto, specchi e armi in bronzo, ornamenti legati alla sfera femminile
(bracciali a cerchio, fibule di ogni genere).
Sanniti. La "Toeletta della Dama" in un dipinto tombale (Cuma) |
All'interno della
"touto" esistevano vari tipi di insediamenti, che cominciarono a
munirsi di fortificazioni verso il IV secolo a.C. Le cinte di pietre irregolari
inglobavano luoghi strategici, nuclei abitati e i "vici", le più diffuse
strutture rurali che univano funzioni produttive a poteri amministrativi,
scelti per la loro accessibilità e la capacità di espletare funzioni diverse.
Anche i luoghi di culto seguivano
questa rete di insediamenti. Più anticamente si trattava di luoghi naturali,
come le grotte connesse alla presenza di acque salutari o il laghetto che
ribolliva di acque sulfuree nella valle d'Ansanto in Irpinia, protetto dalla
dea Mefite (nell'esposizione, un prezioso idoletto in legno). In età
ellenistica iniziarono le costruzioni di templi, lasciando a Ercole la pole
position dell'intero pantheon. Era stato venerato dalle antiche popolazioni
abruzzesi come nume delle sorgenti, protettore dei viandanti e dei pastori:
rimase sempre con la sua clava in mano a garantire la difesa dei suoi muscolosi
adoratori.
Al centro della mostra, la
sezione forse più attesa: lo scontro con Roma. L'esca delle guerre fu la
Campania, dove già gruppi sannitici dominavano Capua, Nola, Pompei e la stessa
Napoli. Proprio da affreschi tombali rinvenuti a Nola vediamo a forti colori
l'abbigliamento di alcuni guerrieri. Scudi rotondi, corazze corte con dischi di
bronzo applicati, schinieri alle gambe, elmi provvisti di ornamenti voluminosi
per impressionare i nemici. Lo storico Livio aggiunge particolari, che
sottolineano la ricchezza sfoggiata in alcuni combattimenti: tuniche variopinte
per i soldati con scudo dorato, di lino bianco per quelli provvisti di scudo
argentato. Per i romani del IV secolo a.C. quei vistosi abbigliamenti erano un
incubo.
Le prime battaglie furono
favorevoli alle legioni. Il discorso cambiò quando i consoli decisero di
separare le tribù del Sannio inoltrandosi in un territorio aspro e sconosciuto:
il territorio dei caudini. Le imboscate, gli scontri rapidi, la boscaglia fitta
ebbero la meglio su soldati che marciavano con armature inadatte a quel tipo di
guerriglia: attirati in una gola, i romani si arresero. Gli fu imposto di
passare, uno per uno, sotto un giogo formato da tre lance: le "Forculae
Caudinae". Era il 321 a.C, e solo dopo molti anni i romani, con la
conquista di Boiano e la fondazione di tre colonie, riuscirono a concludere con
onore la cosiddetta seconda guerra sannitica. Non fu l'ultima. Come avvenne
contro i Cartaginesi, ne occorsero tre e quella finale (298-290) fu terribile.
Si trattò di una vera e propria
coalizione italica: assieme ai Sanniti e agli Umbri, ci si misero pure gli
Etruschi e i Galli. Fu l'estremo tentativo di frenare l'espansionismo dell'Urbe
con un esercito più numeroso e motivato. I romani vinsero - i nemici erano
disorganizzati fra loro, non sempre si capivano, non c'era un comando unico -
nello scontrc decisivo di Sentino del 295 a.C.. Ma i Sanniti non si
rassegnarono finché non subirono la terribile disfatta di Aquilonia, la nuova
capitale, dove si erano votati alla morte sedicimila guerrieri scelti. Fu, nel
complesso, una vera e propria epopea per entrambe le forze in campo vi furono
impegnati gli esponenti di due generazioni di romani illustri, che celebrarono
trentatré trionfi.
Sanniti. Una delle "madri di Capua" |
Durò a lungo la sistematica trasformazione
del Sannio da parte dei conquistatori, a causa della sua partecipazione alla
guerra sociale del I sec. a.C. (in verità scatenata per ottenere la
cittadinanza romana). Ma pian piano la romanizzazione del territorio riuscì a
imporsi, favorita dalle classi medio-alte. E anche la fedeltà all'antico
nemico: durante le guerre contro Annibale e nelle guerre di conquista che seguirono,
i sanniti furono al suo fianco, contribuendo notevolmente all'ossatura unitaria
della penisola. A riconoscimento dell'antico valore, la Zecca emetterà, proprio
per l'apertura della mostra, una moneta di uso corrente che riprenderà un
"denarius" d'argento coniato durante la guerra sociale: da una parte,
la testa dell'Italia con la scritta in osco "Vitelio". Dall'altra -
che provocazione! - un toro che incorna la lupa di Roma.
L'Espresso 13 gennaio 2000
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