Stalin non era solito
distribuire complimenti. Per questo fa ancor oggi impressione leggere
quanto disse di Bordiga, quando questi era già una pecora nera.
Sbeffeggiando altri oppositori, accusati di doppiezza, Stalin
assumeva a misura di rettitudine proprio Bordiga, che, affermò,
andava «rispettato» e a cui bisognava «prestar fede» poiché
«egli dice ciò che pensa». Eppure, nonostante le qualità di
coraggio, onestà e capacità di suscitare forte simpatia umana, che
oggi sappiamo gli erano unanimemente riconosciute da coloro con i
quali combatté la battaglia rivoluzionaria prima della sua
espulsione dal PC (della cui fondazione era stato il maggiore
artefice), Bordiga venne trascinato da Togliatti e dai suoi, nel
clima dello stalinismo trionfante, in un fango morale e politico.
Nel bilancio dei primi
Trenta anni di vita e di lotte del PCI, tracciato sotto la
supervisione di Togliatti, Bordiga appariva come un Trozkij del
comunismo italiano, un controrivoluzionario, un vigliacco, un
venduto. Poi, nel clima della destalinizzazione e a confronto con la
dura oggettività dei documenti salvati da Tasca, fu lo stesso
Togliatti a porre nel 1960 le basi di una revisione di giudizio.
Nella sua Storia, Spriano ha segnato un netto distacco dalla
mitologia negativa, e anche volgare, in cui Bordiga era stato avvolto
dal Pci. E un altro comunista, Franco Livorsi, con il suo Amadeo
Bordiga (1889 -1970) (Editori Riuniti, pp. 469, lire 6.500), ci
ha finalmente dato un compiuto lavoro sul capo e teorico comunista,
al quale Andreina De Clementi nel 1971 aveva già dedicato una
monografia.
Marxista senza dubbi e
incertezze, Bordiga era un convinto determinista, e da siffatto
determinismo teorico derivò il suo stile di militante: attivissimo
nella fase che sentiva di avanzata della rivoluzione; capace di
reggere il totale isolamento, con caparbia e pedagogica indifferenza
verso borghesi e «falsi rivoluzionari», nelle fasi che giudicava di
irrimediabile riflusso, senza mai perdere fiducia nel destino, come
ebbe a scrivere poco prima della morte in una lettera del 1969 a
Terracini, della immancabile «nostra rivoluzione, plurinazionale,
monopartitica e monoclassista, ossia soprattutto senza la peggiore
muffa interclassista: quella gioventù così detta "studente"».
Determinismo
teorico
I punti di tale
dottrinarismo deterministico possono essere fissati attraverso alcune
affermazioni capitali di Bordiga stesso, come le seguenti: «Noi non
crediamo alla influenza che esercitano negli avvenimenti gli uomini
vivi; crediamo ancor meno a quella dei morti» (1914) ; «Corollario
del principio della lotta di classe è l'assoluta intransigenza
tattica e l'esclusione di ogni accordo, anche temporaneo, con classi
e partiti 'borghesi» (1918) ; «Al momento decisivo della sua storia
la borghesia (...) si difende attraverso i campioni del metodo
socialdemocratico» (1919) ; «La classe presuppone il partito (...).
La vera e l'unica concezione rivoluzionaria dell'azione di classe sta
nella delega della direzione di essa al partito» (1921).
Spinto da una concezione
tanto semplificata quanto vigorosamente sostenuta del marxismo,
Bordiga fece scelte pratiche intransigentemente coerenti. Negli anni
dell'ascesa rivoluzionaria fra la guerra e il biennio rosso, egli fu
in tappe successive il fautore di una linea vicina a quella di Lenin,
di trasformazione della guerra della borghesia in guerra civile; il
critico implacabile delle debolezze del massimalismo socialista;
l'organizzatore più attivo e autorevole della corrente comunista nel
Psi, la cui funzione concepiva secondo criteri di «primato» del
partito i quali lo portarono a polemizzare, sul tema del rapporto
consigli-partito, con Granisci, accusato di «spontaneismo» e di
«sindacalismo». Fondato il partito comunista, Bordiga assistette
allo sfacelo dello Stato liberale, alla crisi socialista e
all'avvento della reazione fascista, attendendo che tutti questi
elementi trovassero il loro comun denominatore storico nella
dimostrazione dell'impossibilità di altra soluzione per la società
che la rivoluzione proletaria e quindi nella espansione della forza
di ricomposizione sociale di un PC incrollabilmente attestato sulle
sue posizioni, quasi notaio dell'avvenire socialista.
Nessuna alleanza
Allorché il fascismo
prese il potere, giudicando i regimi antirivoluzionari alla luce del
solo «cui prodest» rivoluzionario, negò che il partito
dovesse elaborare altra strategia che quella dell'«attesa»
intransigente del maturare delle condizioni necessarie alla
rivoluzione; e non solo combatté ogni ricerca di alleanze da parte
del partito con altre forze politiche, ma respinse come «laburismo »
ogni strategia «intermedia», scontrandosi infine su questo terreno
nuovamente con Gramsci. Quando il fascismo da un lato e l'involuzione
staliniana dall'altro si consolidarono (nel 1926 aveva avuto un
celebre scontro con Stalin, che criticò apertamente per essersi
messo a capo di un socialismo «nazionale» tale da sacrificare la
rivoluzione mondiale) Bordiga, espulso nel marzo 1930 dal PC, si
isolò senza incertezze.
Continuò a guardare
incessantemente nel «cielo» della storia, interpretandone i
«segni», per scorgervi la ricomparsa della buona stella e tracciare
l'itinerario dell'astro della rivoluzione nuovamente e
definitivamente trionfante. Il modo in cui trasse la lezione dalla
lettura degli astri fece scandalo fra i suoi ex compagni. Fecero
scandalo il suo appartarsi di fronte al regime fascista e la sua
opposizione allo stalinismo; fece scandalo soprattutto il fatto che
durante la seconda guerra mondiale, fedele al «suo» marxismo
rivoluzionario, avesse considerato la grande coalizione antifascista
con gli stessi occhi con cui aveva considerato l'altra coalizione:
entrambi schieramenti imperialistici; più pericoloso il primo perché
dotato, attraverso il «democraticismo», di maggiore carica di
«integrazione» delle masse lavoratrici.
Poche personalità della
storia del movimento operaio appaiono, a mio avviso, più incastonate
nella loro storia, e anche più bruciate da essa, di Amadeo Bordiga
marxista. Quel che però rimane di lui per un verso è un «tipo»
storicamente significativo e per l'altro una testimonianza di
imperturbabile e «spinoziano» atteggiamento mentale.
“la Repubblica”, 29
maggio 1977
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