Perché è sempre così facile citare
Oscar Wiide? Non basta dire che !a sua prosa era una catena di
paradossi costruita nel tono della conversazione e gettata come un
guanto sopra la spalla: non basta perché non è vero. Come
giustamente rileva Masolino D'Amico (a cui si deve quanto di serio e
di buono è stato fatto in Italia su Wilde), non solo il pensiero di
Wilde è un insieme coerente di verità premature, ma si trova su
quella scia di pensiero che corre da Coleridge a Keats, a Gautier, a
Poe, a Baudelaire, a Swinburne, a Pater.
Ma citarlo oggi è un altro modo di non
prenderlo sul serio. Di non mettere alla prova della verità le sue
parole, di costringerlo ancora a scherzare. Naturalmente Wilde
scherzava. Scherzava perché non appena smise di farlo fu condannato
a due anni di lavori forzati (ne testimonia il brano riportato in questi Saggi, dove Wilde
difende, meglio di Galileo, le proprie affermazioni contro
l'inquisitore Edward Carson). Scherzare significa dire la verità
impunemente.
In questa raccolta - che contiene,
oltre agli scritti più noti, alcuni insoliti e piacevolissimi - vi è
un breve scritto su Chuang Tsù, saggio cinese del IV secolo avanti
Cristo, che Wilde definisce «la più caustica critica della vita
moderna in cui mi sia imbattuto». «È chiaro che Chuang Tsù, è
uno scrittore assai pericoloso», scrive Wilde, «e la pubblicazione
del suo libro in inglese, duemila anni dopo la sua morte, è
evidentemente prematura». Così è per Oscar Wilde, scrittore
eminentemente saggio, e come tale costretto a parlare ai suoi
contemporanei non tanto per paradossi quanto per apologhi.
La forma che assumeva la sua saggezza
ce la rivela Andre Gide nelle memorie che scrisse un anno dopo la
morte di Wilde (e di cui alcuni brani sono riportati in un curioso
libretto sul soggiorno napoletano di Wilde e Alfred Douglas dopo la
prigionia): «Wilde non conversava: raccontava», dice Gide. E questa
sua notazione è confermata da Wilde: «Credono che i pensieri
nascano nudi... Non capiscono che non posso pensare altrimenti che
per racconti. Lo scultore non cerca di tradurre in marmo il suo
pensiero; pensa in marmo, direttamente».
Come Chuang Tsù, come ogni saggio,
Wilde raccontava: è questo suo talento di raccontatore saggio, sotto
la fluida forma del dandy, che si offre in verità alla
citazione; un racconto infatti è sempre citabile perché non ha
contesto, e Wilde stesso citava, di quando in quando, i propri
racconti come si cita un proverbio.
Eccone un esempio: quando Narciso morì,
i fiori dei campi chiesero al fiume lacrime per piangerlo. Il fiume
rispose: «Non bastano a me le lacrime: lo amavo». «E come potevi
non amarlo?», dissero i fiori: «Era bello». «Era bello?», disse
il fiume. «Chi può saperlo meglio di te? Ogni giorno chino sulle
tue acque ad ammirarvi la sua bellezza...». «Se lo amavo», rispose
il fiume, «è perché quando si sporgeva sulle mie acque vedevo il
loro riflesso nei suoi occhi».
L'Europeo, ritaglio senza data,
probabilmente 1981
Nessun commento:
Posta un commento