Enzo Mari, Falce e martello (1952) |
Nel 1952 Enzo Mari ha
dipinto una falce e martello. Si tratta di una piccola tela dove il
simbolo, in rosso, si stacca su uno sfondo azzurro. Non assomiglia
alla falce e martello dell'iconografia politica. I due strumenti di
lavoro, che simboleggiano il mondo dei campi e delle officine, sono
infatti riprodotti rovesciati: due sagome di legno inchiodate, o
incollate, una sull'altra, viste da dietro, di schiena, issate su un
lungo supporto, un manico, che li regge. L'idea è suggerita anche da
due cartelli raffigurati di scorcio, nella parte bassa del quadro.
L'immagine che ha ispirato questo quadro è un dettaglio degli
affreschi di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi: una gotica
croce dipinta vista da dietro, uno scheletro ligneo retto da un
sostegno metallico. È un particolare della pittura murale che rivela
una straordinaria modernità: sembra un'opera costruttivista alla
Tatlin, alla Rodcenko. Nel quadro di Mari ci sono due direzioni dello
sguardo: la falce e il martello attraversano la tela secondo una
direttrice diagonale nella parte superiore del quadro, così che lo
spazio appare organizzato secondo due dimensioni; nel contempo, se si
osserva l'immagine partendo dal basso, lo spazio acquisisce una
valenza tridimensionale. Anche nel dettaglio della pittura giottesca
c'è un sottile gioco prospettico e al tempo stesso una valenza
bidimensionale: nascita di un nuovo spazio.
Nel 1970 Mari ha dettato
a una studentessa, che compiva un apprendistato nel suo studio di
design,
un'esercitazione: progettare un simbolo per una committenza
alternativa. La scelta è caduta su falce e martello. In un grande
foglio sono raccolte le immagini del simbolo comunista: dai volantini
maoisti alle insegne delle sezioni, dai graffiti murali ai timbri
inchiostrati, dalla tipografia delle tessere ai manifesti a stampa.
Ogni simbolo è diverso dall'altro per spessore, disposizione,
orientamento, dimensione, organizzazione spaziale. Sono 168 quadrati
di pochi centimetri di lato, in bianco e nero. Il risultato del
lavoro è una falce e martello disegnata in modo essenziale, secca ma
amichevole, lineare ma arrotondata, un simbolo grafico in cui - come
scrive Mari nel libretto che accompagna una cartella composta da una
serigrafia, una bandiera e una litografia (Falce e martello, Edizioni
O) - «la forma corrisponde alla funzione, dove funzione è da
intendere, fra l'altro, come: riconoscibilità omogenea (cioè senza
prevalenza di caratteristiche storico-formali) al fine di ampliare la
durata del simbolo sia nel senso temporale che in quello della sua
area di utilizzazione; facilità di riproduzione sia nel senso delle
tecniche e dimensioni da impiegare che in quello di chi deve servirsi
del simbolo».
Mari usa il termine
«simbolo» per definire l'oggetto grafico (ma anche di design)
ottenuto. Ma è
davvero un simbolo? Per i
Greci il simbolo, symballo, è un oggetto di riconoscimento,
possiede un valore materico: sono le due tessere spezzate - anelli,
mani d'argento, terracotta - che si affidavano ai membri di una
famiglia così che i loro discendenti potessero in futuro
riconoscersi unendo le parti. Il significato è: «mettere insieme».
Con il tempo il segno materiale è diventato astratto, si è
trasformato in una figura retorica: bilancia per indicare giustizia,
croce per cristianità, leone per coraggio. I simboli restano fissati
nel tempo, oppure trasmigrano: sono resistenti e insieme volatili.
Non si distruggono con facilità, continuano a significare al di là
del loro oblio, o della loro manipolazione. La falce e il martello
sono anche un'icona. Il termine ha compiuto un complesso cammino: da
«immagine», eikon, dipinto su tavola di piccole dimensioni,
usato a Bisanzio per rappresentare personaggi sacri, per traslazione
ha iniziato a indicare tutto ciò che partecipa di una qualche
sacralità. Da Cristo a Marilyn: Torquoise Marilyn dipinta da
Andy Warhol (1964). L'icona è l'immagine visibile dell'Invisibile.
Nella progressiva secolarizzazione del mondo la realtà divina è
stata marxianamente sostituita dalla «religione della vita
quotidiana» delle merci. L'icona non è un fine, ma un mezzo; è una
finestra aperta fra terra e cielo, aperta nei due sensi, come
affermano i testi bizantini e russi: il continuo passaggio dal mondo
sensoriale a quello spirituale, e viceversa. Quando Warhol ha
riprodotto le scatole Campbell negli anni sessanta, Mao negli anni
settanta, l'icona ha fatto la sua ricomparsa nell'arte. Don Delillo
ha scritto Mao II, ispirato
alle serigrafi di Warhol, che l'aura non è scomparsa nella società
postmoderna a causa della riproducibilità. La riproduzione
ossessiva delle immagini finisce per renderle sacre, come ci
insegnano la pubblicità e la moda: «L'aura si crea col passaggio
dei flash dei fotografi, dei registratori. Non c'è che l'aura, che
si sta sostituendo alla realtà» (De Lillo). Nel 1977 Warhol ha
lavorato sul simbolo comunista: Hammer and Sickle, una serie
di serigrafie riprodotte su tela, matite e acquerelli su carta. A
volte la falce è vicina al martello, a volte lontana, a volte c'è
una scarpetta femminile; in alcuni casi i due strumenti di lavoro si
sovrappongono: si congiungono e si disgiungono, imitano liberamente
il simbolo del comunismo. Si tratta di spostamenti progressivi del
piacere; nelle matite, negli acquerelli, nelle serigrafie della serie
si mima una copula non riuscita: il martello come fallo maschile, la
falce come sinuoso corpo femminile. L'effetto icona di Marilyn e di
Mao qui non c'è. Forse non si tratta neppure di un simbolo: la falce
e il martello hanno resistito alla commercializzazione auratica di
Warhol.
Secondo Peirce, inventore
della semiotica moderna, il «simbolo» istituisce un rapporto
arbitrario, convenzionale, con la realtà denotata: la rosa rossa
quale simbolo dell'amore. L'«icona», invece, ha un rapporto
motivato dalla somiglianza, come un suono onomatopeico che in una
poesia evoca il rumore del cavallo. La falce e martello realizzata
nel 1970 da Mari è un'icona, partecipa di una sacralità. Le icone
sono più difficili da distruggere. Appartengono a una sfera che
supera la stessa realtà delle apparenze. La si può chiamare sogno,
fantasia, immaginazione: il sogno della merce, ma anche il sogno del
comunismo, il bisogno di comunismo. Hammer and Sickle. il
visibile come forma per approssimare l'invisibile.
alias - il manifesto, 19 febbraio 2005
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