Torna in libreria, edito
dalla BFS (il cui nome, Biblioteca Franco Serantini, rammenta una
delle figure più amabili e una delle pagine più nere nella storia
dell'Italia repubblicana), Cafiero, la
biografia dell'internazionalista ottocentesco scritta da Pier Carlo
Masini, lo storico dell'anarchismo italiano, ingiustamente
dimenticato dai più. Riprendo da “Carmilla” la recensione il cui antigramscismo è discutibile, ma che mostra una giustificata simpateticità verso il il biografo e il biografato.
(S.L.L.)
“Amici, vediamo di
affrettare il più presto che possiamo la rivoluzione, imperocché,
lo vedete, i nostri amici si lasciano così morire: o in carcere, o
in esilio, o pazzi per forti dolori”. Le parole finali, pronunciate
con commozione, del discorso tenuto da Carlo Cafiero ai funerali di
Giuseppe Fanelli, già compagno del Pisacane, veterano
dell’Internazionale e morto pazzo a 49 anni nel 1877, sembrano
contenere una premonizione del destino del Cafiero stesso.
Vita e destino che nel
loro sviluppo e nella loro drammaticità, costituiscono il nerbo e la
forza di quella che costituisce, di fatto, la biografia più
importante dell’internazionalista pugliese e, allo stesso tempo,
“l’opera nella quale si riassume e si esalta la vicenda umana e
intellettuale del suo autore”.
Pier Carlo Masini (1923 –
1998) può infatti essere considerato uno dei rappresentanti più
insigni del lavoro storiografico militante svolto in Italia sul
Movimento Operaio e le sue origini.
Amico, sin dalla
gioventù, di Gianni Bosio fu da questi invitato ad entrare nel
comitato di redazione della rivista “Movimento operaio” fin dalla
sua fondazione, ma preferì sempre mantenere la propria autonomia di
militante anarchico nei confronti di imprese di carattere più
istituzionale, più vicine agli storici di area socialista e
comunista.
Questa scelta se, da un
lato, ne fece una sorta di “isolato” nel panorama intellettuale
italiano del dopoguerra e degli anni successivi, dall’altro gli
permise di sviluppare una maggiore attenzione nei confronti di quelle
posizioni anarchiche e comuniste che da sempre avevano segnato la
specificità del movimento operaio italiano nel suo sviluppo storico.
Le “eresie” del movimento operaio, da quelle anarchiche a quelle
della Sinistra Comunista Italiana cui avrebbe voluto dedicare uno
studio dal titolo “La sinistra dissidente: i gruppi minoritari di
sinistra in Italia dal 1926 al 1961”, costituirono infatti, fin
quasi al termine dei suoi giorni, il vero campo di indagine dello
storico toscano.
Anche se la prima
edizione della biografia di Carlo Cafiero uscì nel 1974, gli studi
che ne avevano permesso la realizzazione erano iniziati circa 25 anni
prima. E se altre furono ancora le opere centrali del lavoro di
ricerca di Masini, certo il Cafiero costituì un po’ il coronamento
di una ricerca durata una vita. E l’attuale riedizione dell’opera
è completamente rivista alla luce delle ricerche che l’autore
continuò a condurre praticamente fino alla fine dei suoi giorni.
Più volte, nel corso
della sua vita, lo studioso si era trovato a ripercorrere fisicamente
le orme di Carlo Cafiero; talvolta casualmente e, talaltra,
volontariamente come quando, nel 1947, con una comitiva di compagni
anarchici aveva percorso il cammino seguito dalla banda del Matese
settant’anni prima, nel 1877. Ma quello che avvicina di più lo
storico al soggetto del suo studio fu proprio la passione militante
che fece sì che molti dei suoi studi facessero spesso la loro prima
comparsa nelle riviste militanti di carattere libertario oppure nelle
edizioni di Azione Comunista ancor più che in quelle di indirizzo
meramente storiografico.
Il motivo di ciò lo si
può ben individuare in una lettera, riportata nella postfazione
curata da Franco Bertolucci, scritta ad Aldo Venturini, il 23 luglio
1955, dopo che Giangiacomo Feltrinelli aveva allontanato dalla
direzione di “Movimento operaio” Bosio per sostituirlo con
Armando Saitta.
“Saitta, insieme ad
altri storici «puri», ha la fissazione del superamento dei limiti
«corporativi» della storia del movimento operaio, nel senso che la
storia della classe operaia dovrebbe essere parte di una storia
unitaria, e quindi in definitiva «l’altra faccia» della storia
della borghesia in quanto classe egemone. Questa impostazione, giusta
se si limitasse a postulare l’inquadramento della storia del
movimento operaio nella storia generale, civile, della società tutta
intera, presenta il pericolo di una interpretazione neutra, non
militante, di questa storia, o peggio di una sua interpretazione
«borghese»” (pag. 251)
Questa opposizione
militante ai dogmi ed alle derive istituzionali legate alla
storiografia “di partito” sembra richiamare idealmente lo scontro
che accompagnò la breve ed intensa vita politica di Cafiero che,
dopo essersi avvicinato alla Prima Internazionale in occasione della
Comune di Parigi, ebbe poi, soprattutto con Friedrich Engels, un duro
confronto proprio sulle modalità di indirizzo e direzione di quella
prima esperienza di organizzazione sovranazionale e partitica dei
lavoratori.
Engels che, qui occorre
dirlo, proprio sul movimento operaio italiano prese una delle sue
maggiori cantonate, finendo col liquidare un’esperienza che si
andava sviluppando tra mille difficoltà, ma anche con apporti
originali ed interessanti, con supponenza, settarismo e autoritarismo
prettamente teutonico. E che ottenne come unico risultato quello di
fare approdare Carlo Cafiero e il nascente movimento operaio italiano
sulle sponde dell’anarchismo bakuniniano.
Brevissima e intensa fu
la stagione vissuta politicamente da Cafiero prima che la follia,
forse già in lui latente, lo trascinasse fuori dal mondo e lo
immettesse nel circuito dei manicomi e dell’interdizione. Poco più
di dieci anni, tra il 1871 e il 1883.
Un ex-leader del
Movimento Studentesco, anni fa, scrisse un libro di memorie sul ’68
intitolandolo presuntuosamente Formidabili quegli anni. Come
si sarebbe potuta intitolare, allora, un’opera dedicata alla vita
del militante anarchico ottocentesco?
Dalla adesione alla Prima
Internazionale alla prima traduzione italiana del primo libro del
Capitale di Marx in compendio; dalla promozione delle assemblee
internazionali di lavoratori da cui sarebbe scaturita l’Alleanza
Internazionale dei Lavoratori e dal primo esperimento
guerrigliero-insurrezionale in chiave socialista sulle montagne del
Matese fino alla formazione del primo raggruppamento politico
socialista degli operai in Italia.
Questo lo straordinario
percorso di un rivoluzionario che, proveniente da una famiglia agiata
e ricca del Sud, spese fini all’ultimo quattrino per favorire la
causa rivoluzionaria, riducendosi in miseria. Come testimonia un
rapporto della questura di Milano del 1882: “Pel trionfo del suo
programma e della lotta internazionale ha sciupato tutto il suo
patrimonio di qualche centinaio di migliaia di lire, sussidiando i
compagni e somministrando loro i mezzi per la distruzione della
proprietà e dell’ordine attuale e per la guerra fra le classi
sociali” (pag. 3).
Un’esperienza che, al
contrario di quanto pensato da Engels, proiettò il nascente
movimento operaio italiano in un ambito internazionale rendendolo da
subito protagonista centrale delle lotte dell’ultimo quarto del XIX
secolo. Accanto ai terroristi e ai populisti russi che all’epoca
avevano iniziato a scuotere il modo ad Oriente come ad Occidente e di
cui Cafiero finì con lo sposare, con esiti deludenti per entrambi,
una delle rappresentanti più sconosciute, Olimpiada Kutuzova, che
aveva percorso a piedi migliaia di verste nella steppa russa per
fuggire dalla prigionia siberiana.
Ma molti altri nomi
entrano nella sua biografia: da Michail Bakunin, con cui fu legato da
un autentico rapporto di collaborazione e, talvolta, di amore-odio
dovuto alla spendaccioneria del secondo, a Errico Malatesta con cui
condivise la militanza e, anche, la partecipazione al fallito moto
insurrezionale del Matese. Dalla bellissima Anna Kuliscioff, donna
intelligente e indipendente di cui sicuramente si innamorò, ad
Andrea Costa da cui fu separato sia a causa dell’amore per la
stessa Kuliscioff sia, soprattutto, per le scelte politiche che
questi avrebbe fatto a favore dello strumento partitico e
parlamentare. Ma in cui, alla fine, lo stesso Cafiero, rassegnandosi
un attimo prima della follia, riconobbe l’inevitabile passaggio
verso la maturità politica del movimento.
Nato il 1° settembre del
1846 da una famiglia benestante di Barletta, “ben accetta a Dio, al
re, alle banche e perfino agli elettori” (pag.2), e dopo aver
lasciato gli studi presso il seminario vescovile di Molfetta per
seguire gli studi in Legge presso l’Università di Napoli, Cafiero
fu, fino ai 24 anni, un giovane di bell’aspetto e dai modi
elegantissimi, amante della vita mondana, del teatro e delle donne.
Che nel 1870 si trovava a Parigi, ma che alle prima avvisaglie della
guerra franco-prussiana lasciò per recarsi a Londra.
Qui, proprio in occasione
della Comune di Parigi entrò in contatto con Marx ed Engels da cui
“venne incaricato di recarsi subito in Italia per accertare lo
stato del movimento e imprimergli un orientamento rispondente
all’indirizzo del Consiglio Generale” dell’Associazione
Internazionale dei Lavoratori (pag. 11).
Da quel momento Carlo
sarebbe diventato non solo la pecora nera della sua famiglia che,
come riferiva ancoro lo stesso rapporto della Questura di Milano,
“non condivide ma deplora i suoi principi di condotta”, ma anche
uno degli uomini su di cui si concentrò maggiormente l’attività
di indagine e repressione delle Questure d’Italia. E fu la Comune,
più ancora che la teoria del nascente socialismo scientifico,
l’impulso decisivo per Cafiero, così come per tanti altri giovani
italiani, a incamminarsi dietro le bandiere dell’Internazionale.
A partire da questo
punto, con tutte le rotture e le scelte che ne seguiranno, ebbe
origine una vita intensa (conclusasi a 46 anni nel 1892), una
militanza quasi unica che portava in sé già tutti i germi
dell’anomalia o dell’eresia italiana all’interno del Movimento
Operaio. Una specificità che si sarebbe manifestata negli anni a
venire non solo nella diffusione del movimento anarchico, ma, anche,
nella formazione di un socialismo che sarebbe poi sfociato, con la
nascita del PCd’I di Amadeo Bordiga, in una delle esperienze più
radicali del comunismo novecentesco e di cui il pensiero di Gramsci
avrebbe costituito soltanto uno smorto riflesso.
Un percorso che dagli
ideali risorgimentali e democratico-borghesi avrebbe portato, già
nello stesso Cafiero, all’intuizione di una società altra e che
ebbe nel Sud d’Italia e, soprattutto a Napoli vista alla fine
dell’ottocento come la polveriera d’Italia, uno dei suoi centri
principali di evoluzione.
In cui il comunismo a
venire non sarebbe più stato frutto dell’Utopia, ma ben radicato
nelle lotte dei lavoratori, nella loro autonomia politica, nel
contributo degli intellettuali che tradivano la loro classe
d’appartenenza e nello sviluppo delle conoscenze
tecnico-scientifiche. Un sogno dirompente che, forse
inconsapevolmente, anche Lenin avrebbe fatto in seguito suo quando,
nelle pagine del Che Fare?, avrebbe affermato che bisogna sognare!
E’, dunque, quella di
Masini un’opera da leggere e da studiare, pagina dopo pagina, per
chiunque sia interessato alla storia del movimento operaio. Di cui
non costituisce soltanto un’analisi delle origini, ma che proietta
già il lettore in tutte le problematiche che questo ha dovuto e deve
ancora affrontare nel suo percorso di liberazione dalla schiavitù
salariale e dallo sfruttamento coatto dell’umanità.
Un testo che costituisce
un autentico modello di indagine e di storiografia militante ed è
davvero con orgoglio che la Biblioteca Franco Serantini di Pisa può
rivendicarne la pubblicazione della nuova edizione ampliata.
Per finire, un libro
appassionante, anche per la scelta operata dell’autore che, in una
lettera del 1973, rivelava, in questi termini, di essere ben conscio
della sua struttura espositiva: ”Devo precisarti che da vent’anni
a questa parte i miei interessi si sono spostati da una angolazione
storico-politica a quella storico-socio-psicologica. Insomma di
Cafiero mi ha interessato e mi interessa molto di più delle sue
vicende avventurose ed esterne (alle quali ho dato peraltro il dovuto
spazio), la sua vicenda umana, la sua personalità, le ragioni della
sua pazzia. Ma tutto questo giova ad una trascrizione drammatica e
rende più moderna una interpretazione della figura” (pag. 268).
da “Carmilla.it”,
giugno 2014
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