“Siamo fritti!”. E' l'esclamazione
di va in malora, cade in rovina. Il modo di dire intero è, secondo
Lapucci (Dizionario dei modi di
dire,
Garzanti – Vallecchi, 1969): “Siamo fritti, disse
la tinca ai tincolini”. Ma v'è un'altra tradizione rintracciabile
in rete, anch'essa da ricondurre al mondo dei pescatori, che
inserisce il detto all'interno di un dialogo tra il merluzzo e il
cefalo. “Siamo fritti!” – dice il primo al secondo, quando si
accorge che entrambi erano caduti nella rete del pescatore. “Non
credo, – risponde il cefalo, spiritoso – io sarò arrostito e
farò testamento sulla graticola; tu sarai lessato e nuoterai
nell’olio, incoronato di prezzemolo!”.
Il modo di dire fornì lo spunto a una
barzelletta di gran moda negli anni Settanta, che raccontava come
nelle caserme dell'Arma vigesse un modo economico di preparare i
pesci di paranza. La trasformò in una “striscia” - quella qui ripresa - il disegnatore francese Bertéllier per un fortunato
libello di Samonà e Savelli (Carabinieri,
1977).
Da tutto ciò è facile desumere che l'esser fritti è una tremenda iattura. Ma non vale lo stesso per ogni cottura. Per esempio non è male essere “un furbo di tre cotte”, come recita un altro modo di dire. Spiega Lapucci che vuol dire “essere d'una furbizia sopraffina”, giacché tre cotture (o cotte) sono quelle necessarie per la raffinazione dello zucchero. Talvolta se ne fanno perfino sei.
Da tutto ciò è facile desumere che l'esser fritti è una tremenda iattura. Ma non vale lo stesso per ogni cottura. Per esempio non è male essere “un furbo di tre cotte”, come recita un altro modo di dire. Spiega Lapucci che vuol dire “essere d'una furbizia sopraffina”, giacché tre cotture (o cotte) sono quelle necessarie per la raffinazione dello zucchero. Talvolta se ne fanno perfino sei.
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